Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

venerdì 29 marzo 2013

Il pranzo di Babette

Il pranzo di Babette, Danimarca, 1987, Regia di Gabriel Axel

Recensione di Alberto Bordin


Una storia semplice, ma solida e puntuale; deliziosa come una favola, quelle favole che sanno di casa e di vero, quelle che si raccontavano solo una volta, dove non c’era timore di dire pane al pane, e in cui il lieto fine non era una necessità, ma una verità. 

Oscar al film straniero 1987, da un racconto di Karen Blixen – la stessa autrice de “La mia Africa” – il film sollecita nervi davvero singolari e in singolare maniera. 

È quasi magico che la pellicola sappia commuovere a tal punto servendoci un piatto di così poca sostanza:un banchetto d’anniversario nella Danimarca di fine ‘800 dentro un minuscolo villaggio di puritani perso sulla costa danese. Eppure è capace di parlarci di amore, amicizia, di vocazione, arte, di mondo, religione, e commuove due volte per questa stessa magia. 

Si tratta di quello stesso incanto che da duemila anni, in così tanti – ma così pochi – hanno saputo riconoscere accadere a tavola, al lavoro, nello studio, nella malattia, scoprendo una vita accompagnata, dalla culla alla tomba. È l’incanto che esercita quella gente colma di grazia e di vita, che riesce a fare la spesa come se andasse a nozze, e va a nozze come se facesse la spesa, e ognuno s’innamora di quella dolce sposa. È quella gente che come Babette entra, non si sa come, nelle nostre vite, e vive la santità nell’opera quotidiana, nel lavare i pavimenti, stendere i panni e preparare la zuppa per i vecchi. 

In una piccola comunità protestante, dove tutti sanno tutto di tutti, arriva in cerca di asilo una straniera –in fuga dalla Francia sconvolta dalla guerra –di cui nessuno conosce la vita passata. La rettitudine e la ferrea moralità del luogo non sembrano turbarla, e Babette si adatta con arte alla sobrietà e austerità di quei fedeli, fossilizzati in una fede ricca di sentenze e povera di risposte. Eppure Babette non è come gli altri. Vive tra di loro, ma non vive come loro, cucina gli stessi piatti ma sono più buoni, compra le stesse vivande ma sono più belle, e nessuno sembra notare la sua presenza, ma tutti soffrono la sua mancanza. La sua è una vita condotta nel silenzio dove si parla soltanto, una vita dedita all’opera dove l’unico strumento di vera morale sembra essere la parola – forse ricca di senso, ma ormai disossata della propria sostanza. In una comunità che nel timore di Dio vive la povertà come dogma, Babette offre la propria povertà come dono. Possiamo privarci solo di ciò che possediamo, e possiamo donare soltanto ciò che amiamo; questo Babette lo sa, ed è per questo motivo che insiste tanto perché possa preparare quel grande banchetto. 

Come già accennato, nel film si parla molto di arte. L’arte è il dono che Dio fa all’uomo e che l’uomo a sua volta dona agli altri; e poiché nell’altra vita possiederemo solo quanto abbiamo donato, ecco che l’arte ci è promessa nuovamente in dono per ogni volta che ce ne siamo resi strumento. Babette dona tutto, e la verità del suo dono è più loquace di qualunque sermone; la stessa dolcezza di cui sono pregni i salmi si adagia sulle loro papille gustative e allieta le loro gole. Il ristoro dell’anima, che è più della mera carne, trova però albergo nella carne, per cui il luogo in cui dimora ogni conflitto, dolore e peccato, è ora tempio ed asilo per un’anima amata e perdonata: ed è nuovamente un incanto. 

Perché non è forse un incanto che quanti ci insegnano sull’amore ci educhino meglio facendolo attraverso lo studio? E che quanti ci parlano di arte catturino il nostro cuore indicandoci il cielo stellato? E così non è più commovente che una donna ci testimoni la grazia di Cristo nell’offrirci un piatto di minestra? 

Perché questa è la via dei cristiani.

domenica 24 marzo 2013

La porta del paradiso


Tutti gli esseri umani che popolano questa terra, noi compresi, se riflettono un secondo, quello che in ultima analisi fanno ogni giorno, con più o meno consapevolezza, è imparare ad amare e prepararsi a morire.

Appare evidente che la prima delle due attività è molto più interessante e stimolante della seconda che anzi si cerca di dimenticare e di nascondere nel fondo della coscienza: rimane comunque un passaggio obbligato per tutti, ma passaggio per dove?

La settimana che inizia quest’oggi ci condurrà, Domenica prossima alla Pasqua.

Pasqua significa liberazione, passare oltre.  Agli Ebrei ricorda l’Angelo sterminatore che uccise gli Egiziani e risparmiò gli Ebrei in fuga dall’Egitto. A noi cristiani la Pasqua ricorda il passaggio da questa vita alla terra promessa, dal centuplo quaggiù al paradiso.

Il paradiso rimane per noi cristiani la meta promessa. E’ Cristo stesso che ci parla del paradiso ma, attenzione, ne parla solo sulla Croce, nella desolazione del Calvario, non prima. Non esiste un passo dei Vangeli dove Gesù parla del destino che attende l’uomo dopo la morte, il paradiso, prima del momento in cui stava per essere crocifisso. Ci aiuta a riflettere su questo tema l’ultimo saggio del filosofo francese Fabrice Hadjadj, Il paradiso alla porta, pubblicato in Italia da Lindau di Torino.

Riportiamo  un passo del Vangelo di Luca 23, 32-43: Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati. Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. […] Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!” Ma l’altro lo rimproverava: “Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male”. E aggiunse: “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.  Gli rispose: “ In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”.

Scrive Hadjadj nel suo saggio: “così il paradiso non appare né come una grande luce impersonale, né come un faccia a faccia privato. Si manifesta in un incontro, nella relazione tra un Io e un Tu ben definiti, relazione che cerca in modo esemplare di fare entrare anche il terzo in un’intimità simile. “Gesù ricordati di me… Oggi Tu sarai con Me in paradiso”. Tu e io, io e tu, ecco ciò che introduce al Cielo, ma a condizione che anche gli altri vi siano chiamati (Neanche tu hai timore di Dio?) Niente paradiso senza ricordo del Signore e attenzione verso i criminali. “(pag. 226 – 227)

Ecco quindi che per prepararsi a morire, occorre imparare ad amare  le persone e tutto quanto ci circonda, il creato nel suo complesso. 

Non è un compito semplice, non è un lavoro che si esaurisce, prosegue sino all’ultimo respiro che il Signore ci concede, ma è l’unica strada che abbiamo da percorrere, e questo vale per tutti gli esseri umani che popolano questa terra, noi compresi.

Un augurio di Buona Pasqua a tutti i lettori di Aldebaran, a quelli in cammino e a quelli che stanno cercando ancora la strada che porta al paradiso.





 

  

lunedì 18 marzo 2013

Il male minore...

Trecento milioni di euro al giorno, tre miliardi di euro ogni dieci giorni, 9 miliardi di euro al mese. 

E’ la spesa per interessi sul Debito Pubblico che il nostro Paese deve pagare a coloro che ci prestano i denari per andare avanti, per pagare i dipendenti pubblici e le pensioni dei nostri genitori. 

Potremmo terminare qui il post, non essendoci molte altre considerazioni da fare… 

E’ chiaro a tutti (a tutti?) che la prima cosa che il Governo, una volta costituito, dovrà affrontare sarà quella di trovare una soluzione per abbattere il Debito Pubblico, altrimenti ogni altra misura, ogni altro provvedimento, sarà inutile. 

Anche iniettare risorse per investimenti che producano nuova occupazione e nuovo lavoro sarebbe inutile se non si facesse qualcosa per abbattere un Debito Pubblico che è diventato il buco nero della nostra economia reale. 

Eppure sembra che il nuovo Parlamento, rinnovato da qualche settimana, ringiovanito e ringalluzzito dal Movimento 5 Stelle, non si renda conto della gravità della situazione. Ieri, lo sguardo del Presidente Napolitano intervistato dalle TV in occasione dell’anniversario dell’Unità d’Italia esprimeva, senza bisogno di parole, tutta la preoccupazione del momento storico che stiamo vivendo. Contemporaneamente il Capo Bastone del M5S bastonava, per ora verbalmente, i Senatori dissidenti che avevano osato votare a favore dell’elezione di Pietro Grasso a Presidente del Senato. Interessante modo di affacciarsi sulla scena politica istituzionale da parte del Leader dei 5S. 

Invece di collaborare nell’accelerare il più possibile la formazione di un Governo forte che inizi da subito a rispondere ai bisogni del Paese, coinvolgendo il più possibile tutte le forze politiche presenti in Parlamento che abbiano veramente voglia di cambiare rotta con il passato, il nuovo Movimento, cui tanti italiani delusi hanno dato fiducia e voto credendo di avere a che fare con persone adulte e responsabili, sta facendo melina, perdendo tempo prezioso e puntando a nuove elezioni, ritenendo così di poter incrementare i già alti consensi ottenuti. 

Credo che così facendo i grillini stiano sbagliando strategia, ma soprattutto stanno danneggiando il Paese. 

Non siamo economisti ma, ribadiamo: 300.000.000 di euro al giorno, 3.000.000.000 di euro ogni dieci giorni, 9.000.000.000 di euro al mese (cioè circa 18.000.000.000.000 di vecchie lire al mese) di interessi ci sembrano un po’ troppi da sostenere, anche per un Paese come il nostro. 

In questo Paese esiste ancora qualche personalità illuminata che dimostri di aver compreso il problema e incominci seriamente a pensare a come risolverlo? (un piccolo consiglio: lasciamo stare l’aumento delle tasse, ci ha già provato il Governo dei Professori in Economia, ma l’esito è sotto gli occhi di tutti, è stato una tragedia, peraltro annunciata da molti). 

La strada deve essere un’altra. 



Altrimenti penso che a noi italiani rimanga solo una cosa da fare, quello che fa il Presidente di un club che ha già esonerato e sostituito durante il campionato tutti gli allenatori disponibili in Italia, ma nonostante ciò la squadra continua a perdere e rischia di andare in Serie B: ingaggiare un allenatore straniero. 


Diamo l’incarico di Primo Ministro ad un leader straniero che, senza inciuci e senza guardare in faccia a nessuno, senza conflitti di interessi, affronta i mali cronici che affliggono il nostro Paese iniziando dall’ abbattimento programmatico, deciso, continuo, risolutivo del Debito Pubblico. 

Se ci pensiamo, potrebbe essere il male minore…



domenica 17 marzo 2013

Face to face with Silvia and Ugo

Ugo and Silvia welcome me with children, Richard of five years and Letizia of 3, in a gloomy Friday of January, in the late afternoon after kindergarten. I know Ugo of over twenty-five years, he was my best man and more than three years is suffering from ALS, which is no longer a rare disease known as Amyotrophic Lateral Sclerosis. Communicates through a voice synthesizer controlled by the eyes, the only part of the body is still able to move. 

Q. I ask Silvia: talk to the beginning of your relationship. 
A. We met as adults: a year of engagement, plus Ugo lived in China for work [Ugo is a mechanical engineer]. We fought a lot, from boyfriends! Luckily we got married a few months later. One day, instantly, I had a certainty that this man, since time immemorial, had been designed by God for me. There were no other persons with whom, like him, felt that it did not need to pretend. I could not let me go! It was a small great certainties of life, insights into how flames are the way to find the fire. We got married in 2005, do you remember our real wedding! Richard was born in February 2008, shortly after I look forward to Letizia whose birth is scheduled for September 2009. In June 2009, we find that Ugo is suffering from ALS. 

Q. How did it go? 
A. Ugo felt a little tired. A friend physiatrist has the foresight to tell some tests that seems advisable to make. The verdict is terrible: Ugo is suffering from ALS. The 'impact of this news was brutal. The specialist looked in the face of my husband and me, I had the belly of the seventh month of pregnancy, and told us in no uncertain terms not to make long-term plans, not to take out a mortgage in ten years. It 'was a shock and an insult. We tried to react and deal with the reality, however, unexpected and full of anguish. The aid has come from the center of Nemo, Niguarda (Milan), a specialized center for ALS, where the approach is quite different: the drastic "nothing to do" that we felt sentencing the doctor is in contrast here a simple and concrete "see what we can do." We were next to help us understand what is the best way to deal with the situation. Unfortunately, with Ugo ALS immediately showed a voracious beast. In early September, when Letizia was born, Ugo already struggling to stand up. We begin terrible months, in which, with frightening speed, Ugo seems to give ground to the disease in a retreat without respite in a few months in a wheelchair. In February 2010, after a lengthy stay at Nemo, Ugo no longer moves his arms. 

Q. How did you go on? 
A. When Ugo comes from Nemo, in February, began a movement of solidarity and friendship which soon assumes proportions not provided. Our friends, especially those of the movement Communion and Liberation are organized in shifts, every night there's at least two, with dinner ready and the sleeves rolled up. Of course, this situation has some difficult aspects: it means that the home ceases to be home, and must be open to a coming and going of generosity and friendship that has beautiful aspects but requires acceptance and welcome. Makes a great attention to our situation, and yet, paradoxically, many of the people who come here say they do so because they feel helped by us. It is to help, but often the motive is stronger, and resides in that we all need to be helped. This was miraculous. We do not do anything, do not want to teach anything to anyone, but when someone comes here and tells us to get better himself, and there are several people who want to be able to come and help us. Do you think you are in the parish shifts because every day there is someone who recites the rosary for Ugo. We thus know that someone dedicates time daily prayers and especially for us. Others have organized pilgrimages to the tomb of Don Giussani, which has been recently opened the beatification cause, ask for the grace of healing. A pray for us there are friendly people, but also many unknown: even a cloistered monastery in Armenia, to which a friend told our situation. The power of prayer is real. For us, especially for me, it's like having a close person. It is difficult to explain, if you do not have experience: they are not empty words, that come to naught, but it is a very real and substantial aid. Spiritual help, then joins the practical help. We have people who come here and lend a hand in everything. When I need something, pick up the phone and I always find a greater response than expected. 

Q. How have you changed in recent months? 
A. I learned, first of all, to love my husband as I never imagined and hoped. I love him and remarry immediately, in a situation where it is located. I understand that a person is not what can or can not do: its value lies elsewhere. And then I learned to ask for help, friendship, support and companionship. Too often we try to do everything by themselves, arrogating the right to do it to ourselves. Instead we are creatures dependent, and Ugo shows a striking. He objectively depends on the other in anything from smaller, like scratching his forehead, right down to basics like eating or even breathing. Yet he shows, so extreme, that each of us is. I myself have learned to ask for help, because objectively I can not do: it is a situation bigger than all of us. You get to see that man is made to be with others in a community setting. I am convinced that those who die of despair on the one hand not to have realized that every difficulty holds good possibilities for people who live there and the other has closed in on itself, remaining alone and so condemned to anguish. The presence of others is a huge help: someone who comes and asks how you are, how you doing, if you need something, and not only asks for formality, but because he truly cares about you. This gives you an infinite breath, gives you the opportunity to start again, to look at those around you and that you love in a new way every day. And what is more necessary than ever, as each day is marked by fatigue. Since awakening, Ugo has breathing problems because of secretions that accumulate in the cannula during sleep. Then you have to move for personal hygiene. Too often approaches to people with such difficulties as if they were first of all ill. Instead, Ugo first of all is my husband, and a man who needs to take a shower like everyone else. And, like everyone else, Ugo take a shower every morning. Sure, it's an effort, first of all for him, because we want to move a lift ... Yet all that keeps you on your dignity. We had suggested a motorized bed, such as hospitals, from the first admission. However, we have chosen to sleep together again today, in the "Latvian", as any married couple. We want to maintain a family atmosphere for all purposes for our children. Ugo is the father of her children: a father with problems, a sick father, but always dad. And the whole family live the faith and the hope of healing. Children are wondering when the father can heal, as if he had a cold. None of us lives in a perspective of negativity without hope very much believe in miracles. It could be something striking: close the door, go in the other room and I find my husband standing healed. And this could be! Or, another miracle would be that he was a curative therapy for ALS, and this is the miracle that my husband asks God, because it would not only healing for him. And I believe that only those who suffer as an ALS sufferer can understand what it means to ask the same salvation for some other patient who do not even know. 

Q. I understand that you and Ugo hold a course for engaged couples, is not it? 
A: Silvia smiles: I believe I have "stretched" the boys who have come here! I told them plainly that in life you never know what will happen, and you have to consciously face the decisive step of life, that of marriage, knowing that it can also happen a situation like ours. Of course, when you do the marriage vows, "in sickness and in health", you always hope that the disease does not happen. Yet there promises to be next to each other even in sorrow, it can also be the pain of betrayal, but also to see that we have betrayed the idea of ​​the other. I, Silvia, I had the grace, the wedding day, to hear this very clearly: I made those promises with consciousness, that day, "I was there" with the head and heart and I was overwhelmed by emotion. I took charge of this mission, because marriage is a mission, like going to Africa and helping people to convert. Marriage is not only the means of "that day", but yes a renewed every day and every night, when we will not go to sleep with resentment and anger in their hearts, because the moment of darkness of the night does not extend to all life. Although falling in love passes, constantly reaffirms the significance dell'accompagnarsi each other to their fate: to become more real every day, reaching the truth about themselves. Looking back on these years of hard work, who I would not be justified if I dropped everything? What keeps me tied to a family situation like this, where, in addition to Ugo, the kids I require a great deal? The yes my wedding is not a yes only me, but is accompanied by the presence of an Other. It is thanks to him that I can now watch my husband with a tenderness and a love more powerful than those of the wedding day, it is thanks to him that my husband, in turn, want me so well. "I need you," she says, and it is not only a need for things to do ... As a husband has the freedom to tell his wife something like that? Our relationship is true because it's very free. We look for what we are, and this is a difficult goal. We feel "blessed" because to us, however, this disease has brought so much grace. Our promises were spoken in front of an Other who lives with us, and whose presence and closeness is what keeps us together and helps us to have mercy on our limits: those of the other, but also their own. Sometimes, unknowingly, I happen to hurt Ugo: and there, first of all, to myself that I have to ask for forgiveness, admitting to be limited and they can not do everything well. Loving each other means not from his own limitations, but by the presence of the other. Also because it was not easy to live with Ugo in any case: it's a terrible big head! (And this is true, I can subscribe too!) 

Thank you Silvia and thanks Ugo for your testimony.

sabato 16 marzo 2013

Il barbiere di Siberia

Il barbiere di Siberia, Russia - Francia - Italia - Repubblica Ceca, 1998, Regia di Nikita Michalkov

Recensione di Alberto Bordin

Mentre Anna Karenina si appresta a uscire dalle sale, la memoria potrebbe tornare a un altro film che trovò scena nella Russia zarista; pochi l’avranno visto e meno ancora lo ricorderanno, tuttavia questo non ne sminuisce certo la bellezza: si tratta de Il Barbiere di Siberia. Con la regia del premio oscar Nikita Mikhalkov, se la pellicola trovò un seggio tra i titoli ospitati a Cannes, non ebbe invece strada facile tra le feroci critiche in patria; feroci nel loro silenzio,che tacciava l’opera di essere filo-zarista, nonché un non riuscito tentativo di emulare la grandezza di Zivago. 

Il giudizio fu ingiusto, ma per quanto miope, l’occhio della critica ci vide bene. Il film trasuda la nostalgia di una Russia imperialista, ancora potente e orgogliosa; e la storia, che intreccia l’amore con l’onore, e la lealtà con la dignità, vuole essere una grande epopea che attraversa il globo intero, dalle lande forestali della Siberia fino alle coste del continente americano. Intenti in una bieca accusa anti-nostalgica, quei critici non seppero vedere l’onestà di una simile opera, né riconoscerne la magniloquenza storica. Ma prima introduciamoci al plot. 

Springfield, Massachussetts, 1905. L’intero racconto prende vita tra gli inchiostri di una lettera, dove una donna racconta al giovane soldato Andrew la triste storia d’amore avvenuta tra sua madre e un promettente cadetto russo prima che questi nascesse. Saltiamo al 1885, quando Jane Callahan (Julia Ormond) giunge a Mosca per soccorrere finanziariamente il padre (Richard Harris), un eccentrico inventore impegnato nel suo ultimo folle progetto: una rivoluzionaria macchina taglia alberi da lui battezzata “Il Barbiere di Siberia”. Durante il suo viaggio in treno, Jane incontra accidentalmente il giovane cadetto Andreij Tolstoi (Oleg Menshikov), timido e goffo soldato di famiglia borghese, amante dell’opera lirica e, in particolare,di Mozart; la scuola militare imperiale reciterà prossimamente a teatro Le Nozze di Figaro, e Tolstoi ne sarà il protagonista. Andreij, avendo occasione di incontrare di nuovo Jane, s’innamora perdutamente della donna, la quale, dapprima divertita dalle attenzioni del giovane, scoprirà presto la tremenda serietà con cui il popolo russo mette in gioco il proprio onore; e in questo, Andreij, è profondamente russo, perché l’onestà, specialmente l’onestà del cuore, è una sostanziale faccenda d’onore. 

In un’avventura che alterna con efficace e ponderato gusto sovietico la tragedia alla commedia, la farsa al dramma e il serio al grottesco, Mikhalkov dipinge una Russia viva e a tratti rimpianta, dove la tradizione lotta per sopravvivere al modernismo dilagante, e dove la cappa e la spada vestono l’orgoglio e affondano nell'oltraggio; una società che, per quanto dolorosamente rivoluzionaria e afflitta dalla corruzione dei potenti, è ancora capace di sentirsi autenticamente russa. 

E le tre ore di film si fanno sentire in maniera assolutamente opportuna, gestite intorno a un personaggio che le merita tutte. È la figura di Andreij che colma con la propria statura umana ogni minuto della pellicola; è la sua onestà, così ingenua e così solida, ad ammortizzare il peso di ogni conflitto, di ogni intemperia, contro un mondo che irride gli uomini onesti.Se la dignità potesse essere fatta a film, questo sarebbe certamente un tentativo riuscito. 

E commuove che allo stupore si sommi la meraviglia, e che quest’opera sappia prometterci ancora tanto di più; poiché quando anche il bene di quest’uomo fosse sradicato, e la sua dignità fosse infangata e calpestata, e anche quando ogni suo sforzo si rivelasse inutile, fino a rimanere dimenticato ai confini del mondo, là, nella perdita di ogni speranza, è la Speranza sola a sopravvivere, perché la misteriosa volontà della vita permette al frutto di un uomo di perdurare quando era da chiunque creduto morto; poiché finché la vita vive, gli uomini veramente vivi non possono morire. 

E quando anche la Russia, quella vera, non fosse più: finché esiste un uomo veramente russo, allora la vera Russia vivrà ancora.

lunedì 11 marzo 2013

Ttip: nuovo cavallo di Troia?


Nel luglio 1973 David Rockefeller con alcuni amici fondò la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta. 

Dopo quasi quarant’anni, il Presidente Obama, il 12 Febbraio, durante il suo primo discorso dopo la rielezione,  sullo stato dell’Unione,  ha annunciato che gli USA e la UE hanno raggiunto l’accordo per aprire i negoziati Ttip (Transatlantic trade and investment partnership) vale a dire i negoziati per eliminare da entrambe le parti le tariffe che ancora pesano sul libero scambio e sul commercio bilaterale, realizzando così il sogno di David Rockfeller e dei suoi amici.

Entro il 2015, data prevista per l’entrata in vigore degli accordi, che a quanto pare si danno già per raggiunti o quanto meno realisticamente raggiungibili, si dovrebbe quindi creare una zona di libero scambio che peserà, secondo le stime, circa il 40% del PIL mondiale. Gli analisti economici più informati e accreditati stanno già incominciando a calcolare quanto benessere, in termine di PIL,  porterà ai cittadini questa zona di libero scambio, alcuni calcolano un aumento dello 0,5%  annuo  per USA e UE, altri addirittura una stima maggiore.  Ma siamo proprio sicuri, noi europei, che stiamo andando nella direzione giusta? E’ chiaro che in questa partita sono in gioco interessi mondiali. Ma questa zona di libero scambio a chi porterebbe maggior giovamento, all’Europa o agli Stati Uniti?

In questo momento storico, l’Europa sta vivendo un periodo di crisi economica reale, ma di fatto “voluta”, derivante da una maniacale attenzione alla tenuta dei conti pubblici degli Stati e dallo stretto monitoraggio di ogni possibile focolaio inflattivo che si dovesse intravedere all’orizzonte. Inoltre l’Europa, a differenza degli Usa, non dispone di una Banca Centrale che possa intervenire direttamente nel governo dell’economia, governo che rimane in mano alla politica europea con tutte le conseguenze che ormai abbiamo imparato a conoscere.

Dall’altra parte dell’Atlantico invece, il Governo Usa e la Fed  stanno portando avanti una politica monetaria più liberista, immettendo liquidità nel sistema per sostenere l’economia (non per niente l’indice borsistico DJ è tornato ai massimi di sempre in queste settimane) non preoccupandosi troppo dell’inflazione. E’ chiaro che questa politica economica per sostenersi meglio ha bisogno di ampliare i mercati e le zone di influenza delle aziende e dei prodotti americani.

Creare una zona di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico, se da un lato può sembrare allettante per tutti noi, donne e uomini che ci riconosciamo nell’identità culturale occidentale, dall’altro lato di fatto significa che in Europa potranno essere venduti i prodotti americani a prezzi molto competitivi e allettanti per i consumatori europei. Certo, sarà valido anche l’opposto, ma quante sono numericamente le aziende multinazionali europee in grado di competere sui mercati internazionali e in grado di conquistare spazi significativi del mercato USA? Probabilmente poche. Le italiane? Pochissime.

E’ così che questo Ttip rischia di trasformarsi in un cavallo di Troia, servitoci su un piatto d’argento e condito  con promesse di crescita del nostro PIL (molto teoriche) e crescite dei fatturati delle multinazionali Usa (quasi certe).  Nel 2015 Obama sarà quasi in scadenza di mandato e certamente, se riuscirà a portare a casa questo risultato, potrebbe ipotecare la rielezione di un altro Democratico alla Presidenza degli Usa. Rimane da capire se i conservatori Repubblicani gli daranno una mano oppure prevarrà nel partito l’anima isolazionista e protezionista.

E in casa nostra cosa si dice? Finora le notizie di stampa dei principali giornali a riguardo sono frammentarie, ma generalmente a favore del negoziato. Del resto la partita si gioca a Bruxelles e fino ad ora resta in mano agli addetti ai lavori. Certo, sarebbe bello che il popolo europeo fosse messo in grado di comprendere quali ripercussioni porterebbe questo negoziato nella vita quotidiana di noi cittadini. Sono quesiti astratti? Quando troveremo sul bancone del super i nostri amati spaghetti ad un prezzo dieci volte più basso di quello che siamo abituati noi oggi a trovare, spaghetti americani, ottimi, che tengono la cottura meglio dei nostri, ma prodotti con grano transgenico, la domanda allora apparirà in tutta la sua concretezza.  

Ma forse sarà troppo tardi per chiedere una spiegazione…



venerdì 8 marzo 2013

Lincoln

Lincoln, USA - India, 2012 - Regia di Steven Spielberg

Recensione di Anna Toniato



Con Daniel Day-Lewis, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, Jared Harris, James Spader, Lee Pace, Jackie Earle Haley, Sally Field, Michael Stuhlbarg, Joseph Cross, John Hawkes, David Strathairn, Hal Holbrook, Walton Goggins, Bruce McGill 

Non si può negare che Lincoln sia una specie di personaggio"mitico", nonché uno dei presidenti più amati dal popolo americano, nonostante sia stato accompagnato da una sanguinosa guerra civile e da una politica che oggi non appare più così trasparente e benefica come un tempo.

Inspirato dal saggio di Doris Kearns Goodwin "Team Rivals: the political genius of Abraham Lincoln", il film di Spielberg si concentra sull'approvazione del tredicesimo emendamento che porterà all'abolizione della schiavitù e sulla fine della guerra civile (di cui vengono mostrati sanguinosi scorci). Nonostante l'indubbia passione del regista per il personaggio, il Lincoln di Spielgerg é, prima di tutto, un politico perennemente alla ricerca di consensi più che un eroe, un abile affabulatore con la passione per gli aneddoti e le frasi ad effetto, che non esita a mentire e imbrogliare i membri della sua stessa compagine politica per ottenere quello che vuole.

Grazie alla solida sceneggiatura di Tony Kushner (noto al grande pubblico per il bellissimo e pluripremiato dramma "Angels in America", da cui è stata tratta una altrettanto premiatissima serie televisiva) la pellicola alterna il Lincoln "politico" al padre di famiglia, diviso tra lo strazio di una moglie (una monocorde Sally Field) devastata dalla perdita di un figlio bambino, l'amore per il piccolo figlio Tad (Gulliver McGrath) e le ambizioni del primogenito Robert (Joseph Gordon Levitt, un giovane attore sempre più in ascesa).

Spielberg limita le grandiosità e le scene di battaglia, lasciando spazio alla parola (con qualche lentezza di troppo nella prima parte e qualche caduta nel patetico, che però è una delle cifre del regista americano) e alle performance degli attori, su tutti un Tommy Lee Jones che sa essere sardonico e dolce insieme e un immenso, mostruosamente bravo Daniel Day Lewis, capace di "sparire" letteralmente nel personaggio.

giovedì 7 marzo 2013

A tu per tu con: Silvia e Ugo

Incontro Ugo con Silvia e i bambini, Riccardo di 5 anni e Letizia di 3 un venerdì uggioso di gennaio, in un tardo pomeriggio post asilo. Ugo lo conosco da più di venticinque anni, è stato il mio testimone di nozze e da più di tre anni è malato di SLA, la ormai non più rara malattia meglio nota come Sclerosi Laterale Amiotrofica. Comunica tramite un sintetizzatore vocale comandato dagli occhi, l’unica parte del corpo che riesce ancora a muovere.

Io e Ugo il giorno del suo matrimonio con Silvia nel 2005


D. Chiedo a Silvia: parlami dell’inizio del vostro rapporto.
R. Ci siamo conosciuti da adulti: un anno di fidanzamento, oltretutto vissuto a distanza per impegni lavorativi in Cina di Ugo [che è ingegnere meccanico].  Abbiamo litigato tantissimo, da fidanzati! Per fortuna ci siamo sposati dopo pochi mesi. Un giorno, istantaneamente, ho avuto una certezza: che quest’uomo, dalla notte dei tempi, era stato pensato da Dio per me. Non c’erano altre persone con cui, come con lui, sentissi di non aver bisogno di fingere. Non potevo lasciarmelo scappare! Era una delle piccole grandi certezze della vita, intuizioni come fiammelle che sono la strada per trovare il fuoco. Ci siamo sposati nel 2005, ti ricordi vero il nostro matrimonio?! Nel febbraio 2008 nasce Riccardo, dopo poco rimango in attesa di Letizia la cui nascita è prevista per settembre 2009. A giugno 2009 scopriamo che Ugo è affetto da SLA.

D. Come è andata?
R. Ugo in quel periodo si sentiva un poco stanco. Un amico fisiatra ha l’accortezza di indicarci alcuni esami che sembra opportuno effettuare. Il verdetto è terribile: Ugo è affetto da SLA. Il nostro impatto con la malattia è stato brutale. Lo specialista ha guardato in faccia mio marito e me, che avevo il pancione del settimo mese di gravidanza, e ci ha detto senza mezzi termini di non fare progetti a lunga scadenza; di non accendere un mutuo a dieci anni, e che se Ugo voleva fare una corsa oggi non la rimandasse a domani perché forse domani non avrebbe più potuto farla.  E’ stato uno choc ed un insulto.  Abbiamo cercato di reagire e di affrontare comunque la realtà inattesa e carica di angoscia. L’aiuto ci è venuto dal Centro Nemo del Niguarda di Milano, un polo specializzato per la SLA, dove l’approccio è del tutto diverso: al drastico “non c’è nulla da fare” che ci eravamo sentiti sentenziare dal medico si contrappone qui un semplice e concreto “vediamo cosa si può fare”. Ci sono stati accanto per aiutarci a capire qual è il modo migliore di affrontare la situazione. Purtroppo, con Ugo la SLA si dimostra subito una brutta bestia vorace. All’inizio di settembre, quando Letizia nasce, Ugo già fatica a stare in piedi.  Iniziamo mesi terribili, in cui, con velocità spaventosa, Ugo sembra cedere terreno alla malattia in una ritirata senza tregua: in pochi mesi è in sedia a rotelle. A febbraio 2010, dopo un ricovero al Nemo, Ugo non muove più le braccia.

D. Come hai fatto tu, con i bambini, in questa circostanza ad andare avanti?
R. Quando Ugo esce dal Nemo, a febbraio, inizia un movimento di amicizia e solidarietà che ben presto assume proporzioni non previste.  I nostri amici, in particolare quelli del movimento di Comunione e Liberazione si organizzano in turni: ogni sera arrivano almeno in due, con la cena pronta e le maniche rimboccate.  Certo, questa situazione ha degli aspetti difficili: significa che la propria casa smette di essere casa propria, e deve aprirsi per forza ad un via-vai di generosità e amicizia che ha aspetti bellissimi ma richiede comunque accettazione ed accoglienza. Nasce una grande attenzione nei confronti della nostra situazione; eppure, paradossalmente, molte delle persone che vengono qui dicono di farlo perché si sentono aiutate da noi. Si viene per dare una mano, ma spesso la motivazione profonda è più forte, e risiede nel bisogno che tutti abbiamo di essere aiutati. Questo ha del miracoloso. Noi non facciamo proprio niente, non vogliamo insegnare niente a nessuno, eppure quando qualcuno viene qui poi ci confida di stare meglio lui stesso, e ci sono diverse persone che chiedono di poter venire ad aiutarci. Pensa che in parrocchia si fanno i turni perché ogni giorno ci sia qualcuno che recita il rosario per Ugo.  Noi così sappiamo che quotidianamente qualcuno dedica tempo e preghiere espressamente per noi. Altri hanno organizzato pellegrinaggi alla tomba di don Giussani, di cui è stata recentemente inaugurata la causa di beatificazione, per chiedere la grazia della guarigione. A pregare per noi ci sono persone amiche, ma anche tanti sconosciuti: addirittura un monastero di clausura in Armenia, a cui un amico ha raccontato la nostra situazione. La forza della preghiera è tangibile. Per noi, in particolare per me, è come avere accanto una persona in più. È difficile spiegarlo, se non se ne ha esperienza: non sono parole vuote, che finiscono nel nulla, ma è un aiuto veramente concreto e sostanziale. All’aiuto spirituale si affianca poi l’aiuto pratico. Abbiamo persone che vengono qui e danno una mano in tutto. Quando ho bisogno di qualcosa, alzo il telefono e trovo sempre una risposta maggiore delle aspettative.

D. Come sei cambiata in questi mesi?
R. Ho imparato, prima di tutto, ad amare mio marito come non avrei mai immaginato e sperato: sono innamorata di lui e lo risposerei immediatamente, nella situazione in cui si trova. Ho compreso che una persona non è ciò che può o non può fare: il suo valore è altrove. E poi ho imparato a chiedere aiuto, amicizia, sostegno e compagnia. Troppo spesso siamo portati a cercare di far tutto da soli, arrogandoci il diritto di poter bastare a noi stessi. Invece siamo creature dipendenti, e Ugo lo mostra in modo eclatante. Lui, oggettivamente, dipende dagli altri in qualsiasi cosa: dalle più piccole, come grattarsi la fronte, fino a quelle fondamentali come il nutrirsi o addirittura il respirare. E tuttavia lui mostra, in modo estremo, quello che ciascuno di noi è. Io stessa ho imparato a chiedere aiuto, perché oggettivamente non ce la faccio: è una situazione più grande di tutti noi. Si inizia a vedere che l’uomo è fatto per stare con gli altri, in un ambito comunitario. Sono convinta che chi muore di disperazione da un lato non si sia reso conto che ogni difficoltà racchiude possibilità buone anche per chi lo vive, e dall’altro si sia chiuso in se stesso, restando solo e così condannandosi all’angoscia. La presenza degli altri è un immenso aiuto: qualcuno che viene e chiede come stai, come va, se hai bisogno di qualcosa; e non lo chiede solo per formalità, ma perché veramente ci tiene a te. Questo ti dà un respiro infinito, ti dà la possibilità di ripartire, di guardare a coloro che hai vicino e che ami in un modo nuovo tutti i giorni. E ciò è più che mai necessario, in quanto ogni giornata è segnata dalla fatica.  Fin dal risveglio, Ugo ha problemi respiratori per via delle secrezioni che si accumulano nella cannula durante il sonno. Poi bisogna spostarlo per l’igiene personale.  Troppo spesso ci si approccia alle persone con difficoltà di questo tipo come se fossero prima di tutto ammalate. Invece, Ugo prima di tutto è mio marito: ed è un uomo che ha bisogno di fare una doccia, come tutti. E, come tutti, Ugo fa la doccia tutte le mattine. Certo, è una fatica, prima di tutto per lui, perché per spostarlo ci vuole un sollevatore... Eppure tutto ciò mantiene alta la sua dignità. A noi avevano suggerito un letto motorizzato, come quello degli ospedali, fin dal primo ricovero. Noi invece abbiamo scelto di dormire insieme ancora oggi, nel «lettone», come una qualsiasi coppia di sposi. Vogliamo preservare un ambiente familiare a tutti gli effetti per i nostri figli.  Ugo rimane il papà dei suoi figli: un papà con dei problemi, un papà ammalato, ma sempre il papà. E tutta la famiglia vive la fede e la speranza della guarigione.  I bambini si chiedono quando il papà potrà guarire, come se avesse un raffreddore. Nessuno di noi vive in una prospettiva di negatività senza speranza: crediamo tantissimo nei miracoli. Potrebbe essere qualcosa di eclatante: chiudo la porta, vado nell’altra stanza e mi trovo mio marito in piedi, guarito. E questo potrebbe essere! Oppure, l’altro miracolo sarebbe che si trovasse una terapia risolutiva per la SLA: e questo è il miracolo che mio marito chiede a Dio, perché sarebbe la guarigione non solo per lui. E credo che solo chi soffre come un malato di SLA possa capire cosa vuol dire chiedere la stessa salvezza per qualche altro malato che nemmeno conosciamo.

D. mi hanno raccontato che tu e Ugo tenete anche un Corso per fidanzati?
R:  Silvia sorride:  credo di averli «stesi», i ragazzi che sono venuti qui! Ho detto loro chiaro e tondo che nella vita non si può sapere cosa accadrà, e bisogna affrontare coscientemente il passo decisivo della vita, quello del matrimonio, sapendo che può capitare anche una situazione come la nostra. Certo, quando si fanno le promesse matrimoniali, «nella salute e nella malattia», si spera sempre che la malattia non accada. Eppure ci si promette di restare accanto all’altro anche nel dolore, che può anche essere il dolore di un tradimento, ma anche quello di veder tradita l’idea che abbiamo dell’altro. Io, Silvia, ho avuto la grazia, il giorno del matrimonio, di sentire ciò molto chiaramente: ho fatto quelle promesse con coscienza, quel giorno «c’ero» con la testa e con il cuore e non ero sopraffatta dalle emozioni. Ho preso in carico questa missione: perché sposarsi è una missione, come andare in Africa a convertire e aiutare le persone. Il matrimonio non è soltanto il sì di “quel giorno”, ma un sì rinnovato tutti i giorni e tutte le sere, quando ci si impegna a non andare a dormire con il rancore e la rabbia nel cuore, perché il momento di buio della notte non si estenda a tutta la vita. Anche se l’innamoramento passa, si riafferma continuamente il significato dell’accompagnarsi reciprocamente al proprio destino: diventare più veri ogni giorno, raggiungendo la verità di sé. Ripensando a questi anni di fatica, chi non mi avrebbe giustificata se avessi mollato tutto? Cosa mi tiene legata ad una condizione familiare come questa, in cui, oltre ad Ugo, anche i bambini mi richiedono moltissimo? Il sì delle mie nozze non è un sì soltanto mio, ma è accompagnato dalla presenza di un Altro. È grazie a Lui che posso oggi guardare mio marito con una tenerezza ed un amore molto più potenti di quelli del giorno del matrimonio; è grazie a Lui che mio marito, a sua volta, mi vuole così bene. «Io ho bisogno di te», mi dice: e non è solo un bisogno di cose da fare... Quale marito ha la libertà di dire alla moglie una cosa del genere?  Il nostro rapporto è vero perché è molto libero. Ci guardiamo per quello che siamo, e questa è una meta difficilissima. Noi ci sentiamo «benedetti», perché a noi, comunque, questa malattia ha portato tanta Grazia. Le nostre promesse sono state pronunciate davanti ad un Altro che vive con noi, e la cui presenza e vicinanza è ciò che ci tiene insieme e ci aiuta ad avere pietà dei nostri limiti: di quelli dell’altro, ma anche dei propri. A volte, inconsapevolmente, mi capita di far male ad Ugo: e lì, prima di tutto, è a me stessa che devo chiedere perdono, ammettendo di essere limitata e di non poter far bene ogni cosa. Amarsi vuol dire non partire dal proprio limite, bensì dalla presenza dell’altro. Anche perché non sarebbe stato mica facile vivere con Ugo in ogni caso: è un testone terribile! (E questo è vero, lo posso sottoscrivere anch’io!)

Grazie Silvia e grazie Ugo per la vostra testimonianza.


venerdì 1 marzo 2013

Ralph Spaccatutto

Ralph Spaccatutto, USA, 2012 - Regia di Rich Moore


Recensione di Alberto Bordin



Un cartone animato o dice tutto o non dice niente: è davvero impressionante. Non ci sono le mezze misure, le mezze verità, gli intellettualismi o le supposizioni ideologiche: il piccolo pubblico esige una chiarezza pari a quella di un cristallo. 

È questa la prima sorpresa che ci offre Ralph Spaccatutto: è chiarissimo. La trama è complessa, l'intreccio è articolato, ambientato in un mondo fantastico, quello dei videogame,con tutte le sue regole che andranno introdotte e illustrate, e poi la morale della favola non viene mai pronunciata in maniera esplicita, lasciando che i fatti parlino per sé e limitandosi al puro simbolismo; eppure non si perde il filo per un solo istante. Una tale chiarezza e pulizia del pensiero e della storia,non solo è prova di un grande estro, ma anche di un profondo amore al bimbo di fronte allo schermo. Dentro Ralph Spaccatutto, Il bambino inesperto, è accompagnato con grazia e senza pedanteria a notare gli indizi seminati durante la storia, sollecitandolo in maniera molto discreta e opportuna a memorizzare luoghi, regole, situazioni ed eventi sparsi lungo il percorso, e attendere così che venga il tempo propizio per la maturazione,e se ne assaggi il frutto in una potente catarsi. Una vera prelibatezza. 

Ma tale limpidezza, non è solo chiarezza narrativa ma anche onestà concettuale. La ribellione di Ralph,che vuole essere qualcosa di più di ciò che è costretto ad essere – un cattivo dei videogiochi –, è originariamente giusta, perché nessun discorso fattogli dai suoi compagni di gioco può sedare il suo desiderio di un di più per la propria vita. Ma sarà l'esperienza invece a porgli di fronte l'evidenza dei fatti: Ralph è uno spaccatutto, e sempre lo sarà. Ogni sua azione, ogni suo gesto, non possono venir meno a ciò che lui è, al modo in cui è fatto, alla sua stazza o alla sua forza. E così pure i gesti di affetto e di bene saranno sempre il prodotto di questa sua peculiare natura. Il "talento" di Ralph è infine l’indizio sintomatico che ogni cosa è opera di quella meravigliosa forza che si chiama provvidenza. 

Solo altri due cartoni avevano saputo essere tanto onesti: Nightmare before Chirstmas e Lilo & Stitch; ma mentre il primo si ferma all'affermazione dell’identità di sé, per cui Jack Skeleton riscopre l'orgoglio di essere il re delle zucche, solo Stitch, come Ralph, esige che questa rivelazione passi attraverso un rapporto. È infatti la stima di una bambina che risveglierà in Ralph il desiderio di qualcos'altro, qualcosa di più della mera affermazione di sé, e cioè l'affermazione di lei, di ciò che è meglio per lei; sarà un percorso di confessione, un fiorire all'onestà verso sé. E le parole che gli amici gli avevano pronunciato un giorno prima, allora così vuote, ora usciranno dalle sue labbra traboccanti di commozione e di senso, perché Ralph ne ha potuto finalmente constatare la verità. 

E tutto è detto nella battuta finale. Tanto dolce e commovente e rivelatrice,posta in chiusura perché la possiate cogliere solo là dove è seminata,per raccoglierla quando il tempo sarà più maturo e permettervi una vera emozione catartica:è l’amore per quel pubblico che siete voi.