Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

giovedì 31 luglio 2014

L'ombelico del mondo




E' sempre impegnativo raccontare la politica estera di una nazione. Quando poi il Paese di cui vogliamo parlare sono gli Stati Uniti d’America, l’analisi si complica ancora di più. Proviamo comunque ad esporre alcune riflessioni.

La politica estera degli Stati Uniti, prima potenza militare mondiale, sotto la presidenza Obama, è mutata. Si è abbandonato l'interventismo militare diretto, proprio delle presidenze di Reagan prima e poi di Bush padre e Bush figlio e di Clinton per teorizzare un mondo che finalmente potesse fare a meno dell'intervento militare americano per auto governarsi pacificamente.

Il risultato? E’ un bene questo ritorno americano all’analisi del proprio ombelico? Guardiamoci intorno.

Le tanto osannate primavere arabe che dovevano segnare l’avvio di un nuovo rinascimento dei popoli arabi hanno visto, con l'appoggio "esterno" degli USA, la caduta dei vecchi "dittatori" e la contemporanea rinascita di guerre tribali tra opposte fazioni etniche religiose, armate per abbattere il vecchio potere ed ora intente a sopraffarsi le une sulle altre.

Nei Paesi devastati da decenni di guerra, Iraq e Afghanistan, la situazione se vogliamo è ancora più tragica. Dopo la deposizione di Saddam Hussein, l'Iraq è stato formalmente normalizzato dall'intervento delle forze di pace, guidate dagli USA. Peccato che ancora oggi, ogni settimana a Baghdad esplodano autobombe che provocano decine di morti e le diverse componenti etnico religiose presenti, sunniti, sciiti e curdi sono in continua lotta tra di loro per la gestione del potere e non si sia riusciti ancora a contribuire alla formazione di un Governo di unità nazionale che affronti la ricostruzione del Paese. Inoltre, è cosa delle ultime settimane, i movimenti ultra estremisti islamici dell'Isis, attivi in Siria contro il regime di Assad, hanno conquistato parte dell'Iraq settentrionale e della Siria, proclamando la rinascita del Califfato islamico abolito nel 1924 nell'ambito delle riforme promosse dal leader turco Mustafa Kemal.

In Afghanistan la situazione è altrettanto grave. Dopo l'invasione sovietica della fine degli anni 70, durata dieci anni e terminata nel 1989 con la vittoria dei Mujaheddin sostenuti dagli Stati Uniti, il Paese è precipitato in una guerra civile religiosa che nel 1996 ha visto prevalere la fazione dei Talebani. Costoro applicarono al Paese una versione estrema della shari'a e ogni deviazione dalla loro legge venne punita con estrema ferocia. Molti ricorderanno la cattura dell'ultimo presidente della repubblica democratica afgana Mohammad Najibullah; venne preso dal palazzo delle Nazioni Unite di Kabul, dove era rifugiato, e venne torturato, mutilato e trascinato per le strade con una jeep prima di essere giustiziato con un colpo alla testa. Altro episodio che ha fatto clamore è stata la distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001. Dopo gli attentati dell'11 settembre 2001 gli Stati Uniti e le forze della coalizione da loro guidata invasero l'Afghanistan e sconfissero i talebani nel novembre dello stesso anno. Dopo 13 anni di controllo politico militare dell'Afghanistan la situazione interna è tutt'altro che risolta e vaste zone di territorio sono sotto lo stretto controllo dei fanatici religiosi talebani. Ora, con la situazione sopra descritta, Obama già nel corso di quest’anno e poi nel 2015 ritirerà le sue truppe dal Paese e nel 2016 dovrebbero restare solamente 1000 uomini dell'esercito statunitense in appoggio alle forze regolari afghane. Cosa succederà nel Paese asiatico dopo la ritirata dei militari della coalizione è facile immaginarlo, visto quello che è successo in Iraq dopo il ritiro dell’esercito USA nel 2011.

E’ evidente a tutti ormai che fu un errore invadere quindici anni fa questi due Paesi come è stato un errore abbandonare l’Iraq al suo destino (e domani abbandonare l’Afghanistan) senza averlo dotato di una robusta struttura democratica che fosse in grado di governare pacificamente la nazione. La democrazia non si impone con la forza militare, semmai la si esporta negli anni attraverso gli scambi culturali tra persone di fede ed educazione diverse che si conoscono, si stimano e imparano reciprocamente il modo migliore di vivere sulla terra.

E veniamo all’ultimo errore che, a nostro giudizio, stanno commettendo gli USA nell’approccio alla crisi dell’Ucraina. Non è con le sanzioni commerciali e con la minaccia di ritorsioni che si deve trattare con la Russia di Putin su come risolvere la crisi in atto che, ricordiamolo, coinvolge pesantemente gli interessi dell’Unione europea.

Che i territori dell’est del Paese siano storicamente più legati alla nazione russa a differenza di quelli dell’ovest, più europeizzati, è cosa nota. Basterebbe prendere un manuale e leggere la storia dell’Europa centrale degli ultimi mille anni. Ora non si capisce perché non si possa dare la parola al popolo ucraino e indire un referendum per decidere liberamente da quale Governo vuole essere amministrato? Dopodiché se le province dell’est vogliono essere governate dalla Russia di Putin, si troverà il modo di ricompensare l’Ucraina per la perdita di quei territori e a questo punto la situazione tornerà assolutamente pacifica. Fanta politica? Non ci sembra. Certo che se l’Europa continuerà a brillare per la sua assenza dagli scenari internazionali e lascerà agli Stati Uniti gestire, in casa propria, questo tipo di situazioni, non prevediamo un finale entusiasmante per la crisi ucraina.

Non dimentichiamo poi che se si prosegue sulla scia delle ritorsioni e contro ritorsioni, il tempo che passa gioca a favore di Putin. Con l’arrivo dell’inverno il Capo del Cremlino avrà in mano un’arma di ricatto potentissima: bloccare il flusso di gas verso l’Europa. Ora con la situazione poco tranquilla (per usare un eufemismo) in Libia e con la Russia che chiude i rubinetti del gas, come passerà la nostra cara Italia il prossimo inverno? Certo, i francesi, gli inglesi, i tedeschi hanno le centrali nucleari, noi però quelle che stavamo costruendo le abbiamo bloccate ed ora sono ferme in attesa di essere smontate, come la Concordia che aspetta a Genova di essere fatta a pezzi. Certo, gli Stati Uniti sono lontani migliaia di miglia dall’Ucraina e poi sono diventati da poco auto sufficienti dal punto di vista energetico. Una bella cosa, per loro. Noi italiani invece, per scaldarci, dipendiamo dai Paesi arabi e dalla Russia…quindi potremmo affermare che il nostro prossimo futuro lo prevediamo molto caldo…

Riuscirà l’Europa in questo caso a suonare una musica differente da quella proposta dagli USA e ad evitare di esasperare sempre di più una situazione già al limite? Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane vedremo se il premier Renzi e il ministro Mogherini sapranno rappresentare agli alleati una via d’uscita dalla crisi ucraina diversa da quella che si sta intravedendo, decisa e condotta dagli Stati Uniti.

mercoledì 30 luglio 2014

Imprenditori italiani...

Carlo De Benedetti


La notizia è apparsa sulle pagine dei quotidiani senza lasciare strascichi o commenti particolari, forse perché in questo caso in ballo ci sono denari privati (siamo sicuri che sia proprio così?), ma iniziamo dalla notizia.

Il 23 luglio scorso i soci di Sorgenia spa (la CIR dell’imprenditore De Benedetti con il 53% e l’austriaca Verbund AG con il 46%) hanno sottoscritto un accordo con le banche creditrici per la ristrutturazione del debito della stessa. Il risultato finale di questo accordo (previsto entro la fine dell’anno in corso) sarà il passaggio del controllo di Sorgenia dai due soci attuali alle banche creditrici.

Ma facciamo un passo indietro. Sorgenia nasce nel 1999 all’indomani della liberalizzazione del mercato dell’energia in Italia ad opera del gruppo De Benedetti alleato, in questa impresa, con gli austriaci di Verbund AG (operatore austriaco attivo anch’esso nel mercato energetico).

Sorgenia cresce velocemente e nel 2003 acquista da Enel una quota del 39% di Tirreno Power che le permette di fare un importante salto dimensionale. Nel 2013, secondo quanto pubblicato sul sito internet istituzionale della controllante CIR, il gruppo Sorgenia ha generato ricavi per 2,3 miliardi di euro, diventando il secondo fornitore elettrico delle aziende italiane, dietro Enel. 

Una storia di successo quindi? Non proprio. L’altra faccia della medaglia della crescita dei ricavi è il pesantissimo debito accumulato con le banche finanziatrici: 1,8 miliardi di euro. Dopo quindici anni di vita, Sorgenia è arrivata al capolinea e per sostenere gli investimenti e le quote di mercato acquisite nel tempo a suon di debito, i due soci fondatori cosa hanno pensato di fare? Passare il testimone alle banche che con i loro generosi finanziamenti evidentemente hanno creduto nell’iniziativa molto più dei soci industriali. 

A questo punto la storia di Sorgenia diventa molto simile a quella di altre vicende che hanno interessato l’imprenditoria italiana. Purtroppo in Italia esiste ancora una classe di pseudo imprenditori che investono in settori ritenuti “promettenti” facendo ricorso ai finanziamenti bancari e quando la situazione volge al peggio si tirano indietro e passano la mano ai soci “occulti”, cioè alle banche. 

A questo punto sorge spontanea una domanda: per quale ragione le banche italiane, che dal 2008 vivono comunque la crisi economica come ogni altra impresa ed hanno attraversato un periodo di stretta creditizia, hanno concesso a Sorgenia finanziamenti così cospicui? Le cifre lette sui giornali parlano di 600 milioni di euro prestati dal Monte Paschi di Siena, 371 milioni di euro da Banca Intesa, 180 milioni di euro rispettivamente da Unicredit e da UBI, 177 milioni di euro da Popolare di Milano, 157 milioni da Banco Popolare per finire con importi minori da parte di banche più piccole. Sollecitazioni politiche? Nooooo….. 

Ma ancora: è moralmente accettabile in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, concentrare su un unico soggetto economico finanziamenti così importanti senza chiedere ai soci dell’iniziativa uno sforzo finanziario almeno equivalente? Perché tutti sono capaci di giocare a fare gli imprenditori con i denari altrui (delle banche in questo caso): quando le cose vanno bene gli utili se li incassano i soci, quando invece vanno male, come in questo caso, i cocci vanno alle banche che sono obbligate ad accettare, pena l’azzeramento dei propri crediti in caso di fallimento dell’iniziativa. 

Certo, gli istituti di credito prestano il denaro a chi vogliono, secondo criteri di merito creditizio, ma svolgono anche un ruolo sociale importantissimo: senza il loro supporto le imprese, soprattutto le più piccole e le più giovani, non riescono a crescere e a svilupparsi. Di conseguenza non può crescere e svilupparsi neanche il nostro Paese. Ecco perché i denari privati delle banche svolgono anche una funzione pubblica e di questo le aziende di credito devono tenerne conto. 

Ma torniamo al nostro caso: l’imprenditore questa volta è stato addirittura diabolico: nell’accordo siglato con le banche ha fatto inserire una clausola c.d. di earn – out: in sostanza se negli esercizi successivi all’entrata degli istituti di credito in Sorgenia le cose dovessero migliorare e la società producesse utili, la parte di questi utili che eccedesse quanto versato dalle banche creditrici, verrà ristornata ai vecchi soci. Quindi: se rimangono le passività, queste restano in bilancio alle banche, se arriveranno gli utili, una parte di questi andranno ai vecchi soci De Benedetti e Verbund. La logica di tutto ciò? A noi sfugge.

In conclusione: mentre tutti i media in questi giorni si sono focalizzati sull’affaire Alitalia, sulla Costa Concordia e sulle riforme istituzionali che non decollano, a noi ha colpito la vicenda di questo ennesimo tentativo, purtroppo finito male, di creare in Italia una vera concorrenza in un mercato così strategico come quello dell’energia. 

Probabilmente una sfida così impegnativa ai moloch ENI ed ENEL andava affidata a gruppi imprenditoriali più strutturati, con maggiori disponibilità finanziarie e con la voglia di investirle in Italia. L’anomalia italiana è legata ai rapporti malsani tra politica e classe imprenditoriale. Quando la politica sponsorizza l’imprenditore amico di turno, che magari ha una visione imprenditoriale, ma non vuole rischiare più di tanto il proprio patrimonio e quindi cerca altri mezzi finanziari e altri appoggi per realizzare quello che ha in mente, allora il risultato è quasi sempre fallimentare. Il caso Alitalia è da questo punto di vista, emblematico.

Cosa faranno le banche di Sorgenia è presto per dirlo. Di certo non si metteranno a vendere il contratto di luce e gas allo sportello….o forse….perché no?



martedì 22 luglio 2014

Gira la giostra...



E’ un mese di luglio particolare quello che stiamo vivendo in questo 2014. L’estate stenta a decollare, almeno in Italia e nel mondo vagano venti di crisi, per non chiamarli venti di guerra vera e propria. Ucraina, Israele, Palestina, Siria, Iraq, Afghanistan, Sudan, Somalia, Eritrea, Nigeria, Egitto solo per citare alcuni Paesi ove i conflitti sono alla luce del sole o momentaneamente sopiti. 

Per fortuna che l’Unione europea si appresta nel prossimo mese di agosto a nominare un Alto Rappresentante per gli Affari esteri di esperienza così da far sentire con forza tutto il peso politico di cui, come noto, è capace…

Tuttavia è del conflitto italiano che desideriamo occuparci oggi: il conflitto in atto e tutto interno alle forze politiche che sono ormai giunte al punto di non ritorno delle riforme renziane.

Ormai non c’è più tempo per la discussione, nelle aule parlamentari è giunto il momento di passare alle votazioni. Da domani si fa sul serio, si vedrà chi vuole le riforme e chi no.

Ma quali riforme? Siamo proprio sicuri che così come stiamo architettando la nuova struttura costituzionale, il nostro Paese ne uscirà meglio attrezzato per affrontare le sfide del futuro? 

Francamente in questo caso concordiamo con il M5S che vede una deriva autoritaria negli uomini del governo Renzi. Del resto, che i sodali del nostro Primo Ministro ogni tanto si facciano prendere la mano, non è cosa nuova...

Ma le riforme andrebbero condivise da un’ampia maggioranza, dicono tutti. Ma le riforme, comunque sia, vanno portate a termine, altrimenti non siamo credibili in Europa, dicono i renziani. Ma se i grillini avessero iniziato a collaborare con il Governo Letta due anni fa e non si fossero ritirati sull’Aventino, magari oggi Firenze avrebbe ancora il suo vecchio sindaco e noi forse avremmo già una nuova legge elettorale, un nuovo Senato composto da 100 senatori eletti dal popolo e Berlusconi e Alfano sarebbero ancora amici per la pelle, come lo sono sempre stati…

Purtroppo la storia non si fa con i se e con i ma, però qualcuno nel M5S dovrebbe comunque fare autocritica e ammettere che sono stati persi due anni durante i quali il renzismo ha preso piede, l’Italia è rimasta in stato comatoso ed ora ci troviamo il fiato sul collo delle riforme che vanno fatte a qualunque costo…

Ma siamo proprio sicuri che vadano fatte a qualunque costo? E se qualcuno volesse fermare la giostra e scendere? Nessun problema compagni: il Comandante in Capo scende in campo e con la forza incredibile che caratterizza questo indomito ottantanovenne viene data una nuova spinta e la giostra riprende a girare, a girare, a girare…

Il tempo è un grande maestro: trova sempre il finale migliore. 

Questo pensava il grande Charlie Chaplin. In un Paese dove un comico si crede leader politico e dove i politici di professione ormai fanno solo ridere, mi sembra il finale più corretto…

sabato 19 luglio 2014

Berlusconi e il caso Ruby



Speravamo di non doverci più occupare delle vicende personali dell’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ormai definitivamente fuori dall’agone politico a seguito di una condanna definitiva passata in giudicato per reati fiscali (per il c.d. processo Mediaset).

E invece poche ore fa, per alcuni inaspettatamente, per altri finalmente, la Corte di Appello di Milano ha prosciolto Berlusconi da tutte le accuse, a dire il vero piuttosto infamanti per un ex Primo Ministro, legate alla storia boccaccesca del così detto caso Ruby.

E subito abbiamo visto apparire sui mass media, in televisione e alla radio, i sodali dell’ex Premier che, commentando la sentenza di assoluzione della magistratura, favorevole in questo caso all’imputato Berlusconi, chiedono a gran voce la riabilitazione politica del Cavaliere e auspicano la sua ridiscesa in campo per il bene del Paese.

Eppure l’ex Premier rimane condannato per un reato molto grave (frode fiscale) dalla stessa magistratura italiana che oggi lo ha assolto in via definitiva. E’ grave perché commesso da una persona che ha ricoperto negli anni prestigiose cariche pubbliche. E nel processo Ruby non mi sembra che sia emerso che l’imputato non si sia intrattenuto con giovani ragazze disponibili a passare allegre serate con lui, all'epoca Presidente del Consiglio italiano in carica. 

Quindi, riassumendo, la condotta dell’ex Premier nel caso Ruby, come hanno deciso i giudici di Appello, non rappresenta una condotta da sanzionare penalmente (leggeremo poi le motivazioni di questa decisione), ma tutto il sottofondo di degrado morale che avvolge la vicenda, quello rimane eccome anche se non possiede una valenza penalmente rilevante.

Ricordiamo che molto recentemente, per una storia per certi versi molto simile, l’ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale è stato costretto alle dimissioni e la sua carriera politica è terminata immediatamente.

Non mi sembra quindi che nel caso italiano ci sia molto da festeggiare per gli elettori di Forza Italia che non hanno più in Berlusconi la possibilità di trovare il leader in grado di rappresentare il futuro dei moderati italiani. 

Speriamo che l’eco di questa sentenza si spenga presto perché altri sono i problemi che l’Italia si trova ad affrontare per colpa dei governanti che si sono succeduti negli ultimi due decenni almeno. Forse a Berlusconi, come del resto a Prodi e a D’Alema, solo per citare tre ex Premier i cui governi potevano tentare di portare a termine le riforme del sistema Italia, si potrebbe chiedere conto delle mille occasioni perse che hanno portato il nostro Paese alla situazione attuale, altro che caso Ruby…



sabato 12 luglio 2014

Esame di Stato... e dopo?



Anche quest’anno si è concluso l’esame di maturità per gli studenti italiani. D’accordo, da alcuni anni si chiama Esame di Stato, ma la morale è sempre quella: un ciclo di studi e di vita si chiude e se ne apre uno nuovo: per alcuni lavorativo, per altri l’inizio di un nuovo ciclo di studi, più specialistico, universitario.

Quello della scelta dell’università è un problema che attanaglia il cuore e la mente di molti giovani in queste settimane. Per chi non ha la fortuna di avere le idee chiare ed ha già deciso che cosa farà da grande (lavoro permettendo) si aprono sentieri ampi come autostrade che portano in direzioni opposte.

Purtroppo, stante il perdurare della crisi economica che non accenna a concludersi, una scelta di vita a diciotto / diciannove anni è ancora più complicata soprattutto per chi decide di continuare gli studi.

Mi iscrivo oggi a medicina, ma tra dieci anni chi mi dice se ci sarà bisogno di medici oppure i laureati in medicina saranno in soprannumero rispetto ai posti disponibili? Mi iscrivo a ingegneria meccanica, ma tra cinque anni ci sarà un’azienda italiana che avrà bisogno di un nuovo ingegnere da inserire nel proprio organico?

Questo ragionamento, cari maturati del 2014, è sbagliato! Non bisogna pensare al lavoro di domani, perché tanto oggi nessuno è in grado nemmeno di prevedere come andrà l’economia italiana da qui a Natale, figuriamoci immaginare come sarà il mondo del lavoro e delle professioni tra cinque o dieci anni!

Che la vostra scelta universitaria sia una scelta dettata dalla passione per quella materia in particolare che avete scoperto negli anni delle scuole superiori. Sono l’amore e la passione che muovono il mondo, anche quello del lavoro! Se vi siete appassionati alla storia, studiatela senza pensare all’occupazione di domani. Se non troverete lavoro come storico in Italia, lo troverete in un altro Paese del mondo. 

Perché questa, cari ragazzi, è l’unica certezza che voi avete mentre pensate al vostro futuro: voi siete una generazione che avrà come confine il mondo intero. Il vostro lavoro futuro, la vostra vita personale potrà svolgersi in Italia come in Europa o in qualsiasi altra parte del mondo. 

Questo fatto può essere visto da alcuni come il frutto della crisi che ha investito fortemente la nostra economia e quindi come un aspetto negativo, come un ritorno ai secoli scorsi quando gli italiani erano costretti ad emigrare per trovare un lavoro.

Ma se ci pensiamo bene non è così: gli italiani che emigravano nell’Ottocento erano poveri contadini o figli dei primi operai che volevano tentare la sorte e cercare fortuna nel nuovo mondo. Erano quasi tutti analfabeti e senza istruzione, i lavori che andavano a svolgere nei Paesi stranieri erano inizialmente umili e non certamente prestigiosi.

Voi giovani italiani del 2014, che tra cinque anni deciderete di accettare una proposta di lavoro all’estero, sarete brillanti laureati, parlerete almeno la lingua inglese come l’italiano e andrete a svolgere professioni autorevoli. 

Quindi, giovani maturati, impegnatevi nello studio scegliendo una facoltà che gratifichi il vostro desiderio di conoscere la materia che più amate e studiate le lingue straniere, indispensabili per essere cittadini del mondo e vedrete che il futuro, nonostante tutto, vi sorriderà.

In bocca al lupo!

martedì 8 luglio 2014

Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA)



La notizia è per gli addetti ai lavori: dal primo di luglio è entrato in vigore anche in Italia Il Foreign Account Tax Compliance Act (FATCA).

Di cosa stiamo parlando? Il FATCA è una legge statunitense del 2010 rivolta alle istituzioni finanziarie straniere (denominate FFI) e ad altri intermediari finanziari che mira ad evitare l’evasione fiscale da parte di US Person (soggetti giuridici di cittadinanza statunitense) tramite l’utilizzo di conti offshore. 

Lo scopo che si pone l’Amministrazione statunitense con il FATCA è molto semplice: individuare e ostacolare l’evasione fiscale offshore da parte dei cittadini statunitensi o dei residenti negli Stati Uniti, richiedendo informazioni in merito a tali persone per aumentare la trasparenza nei confronti dell'Internal Revenue Service (IRS – l’Agenzia delle Entrate USA) e imponendo una ritenuta alla fonte laddove non siano soddisfatti i requisiti in materia di adeguata documentazione e rendicontazione. 

In termini generali, le entità straniere come banche, intermediari/operatori di borsa, compagnie di assicurazione, hedge fund, veicoli di cartolarizzazione, società capogruppo, determinati trust e fondi di private equity saranno ritenuti FFI. Tra le entità esonerate da tale legislazione si annoverano le società di capitali quotate, i governi stranieri e le agenzie interamente controllate da organizzazioni o banche centrali straniere. 

Di fatto le banche e istituzioni finanziarie italiane, come quelle di tutti gli altri Paesi aderenti al FATCA, dovranno obbligatoriamente mappare e profilare i propri clienti statunitensi e consegnare alla IRS tutta una serie di informazioni di natura patrimoniale e fiscale. Una serie di incombenze burocratiche tutte a favore del fisco USA che se ne servirà in patria per aggiornare il profilo fiscale dei propri contribuenti. 

I Paesi che hanno già aderito al Fatca sono: Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Norvegia, Isole Cayman, Irlanda, Costa Rica, Danimarca, Messico, Paesi Bassi, Mauritius, Malta, Jersey, Italia, Isola di Man, Ungheria, Guernsey e Canada. Belgio e Lussemburgo sono in fase di negoziazione.

A questo punto sorge spontanea una domanda: visto che l’Italia ha aderito al progetto statunitense di monitorare il profilo finanziario estero dei propri cittadini, non era possibile chiedere agli USA l’applicazione reciproca di questo accordo? Non si poteva organizzare uno scambio reciproco di informazioni tra le due Agenzie delle Entrate, quella italiana e quella statunitense?

E poi, visto che aderiscono al FATCA diversi Paesi facenti parte dell’Unione europea, non è possibile predisporre a livello europeo una disciplina simile al FATCA statunitense?

In effetti qualcosa si sta muovendo e tra i Paesi aderenti all’OCSE dal 2017 dovrebbe entrare in vigore il Common Reporting Standard (Crs), il nuovo standard multilaterale per lo scambio automatico delle informazioni finanziarie. Vogliamo crederci.

Ma, come spesso accade in Italia, si parla tanto di lotta all’evasione fiscale e si perde l’occasione concreta di compiere un passo avanti in questa direzione. Intanto forniamo gratis al fisco USA i dati dei contribuenti americani con investimenti nel nostro Paese, per conoscere quelli dei nostri concittadini che hanno conti e disponibilità finanziarie negli States aspettiamo fiduciosi una delle riforme del Governo Renzi… 




giovedì 3 luglio 2014

La famiglia normale



Il 3 luglio 1993 mi sono sposato a Milano con la mia attuale consorte presso la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù alla Cagnola.

Il giorno delle nozze entrambi avevamo in cuore il desiderio, non la pretesa, di formare qualcosa di più di una coppia, di formare una famiglia. E per grazia di Dio, nel giro di alcuni anni, sono nati due figli, ora adolescenti.

Non abbiamo mai effettuato analisi mediche particolari e, una volta in attesa, diagnosi prenatali per conoscere lo stato di salute dei nascituri.

Se non fossero arrivati figli nostri, ci saremmo rivolti a qualche struttura assistenziale per adottare un piccolo orfano. E se i nascituri avessero avuto qualche problema di salute, l'avremmo accettato sic et simpliciter.

Non racconto queste mie vicende personali per motivi particolari. Credo che io e mia moglie siamo due persone come tante, assolutamente normali e siamo circondati da amici che, come noi, hanno effettuato le nostre medesime scelte e condividono il nostro medesimo modo di pensare.

In realtà, raccontare pubblicamente questi pensieri, oggi, ha un significato particolare, perché questa nostra normalità di vita e di pensiero sembra essere diventata originale, a-normale.

Se leggiamo i giornali e le riviste alla moda, se guardiamo la televisione o navighiamo in rete, siamo colpiti da messaggi, pensieri e opinioni che considerano normale e alla moda vivere tutta la vita da single, consumare avventure occasionali con partner diversi, costituire unioni con persone anche del medesimo sesso spacciandole come unioni normali, rappresentanti il modo di oggi di formare una famiglia. 

E per queste unioni normali, i maître à penser chiedono a gran voce i medesimi diritti concessi alle altre unioni, ma raramente sento parlare di medesimi doveri che vengono invece richiesti alle famiglie tradizionali.

Posto che il termine famiglia presuppone la presenza all'interno di una coppia di almeno un figlio (e dalla relazione tra due persone del medesimo sesso qualcuno mi deve ancora spiegare come è possibile che nasca un figlio), non credo che i nuovi modelli di vita oggi proposti rappresentino la regola sulla quale una società di esseri umani possa crescere, progredire, prosperare.

Neanche il mondo animale (quello dei mammiferi intendiamoci) vede un approccio simile al vivere quotidiano. Non mi risulta infatti che esistano coppie stabili nel tempo di animali della stessa specie e del medesimo sesso.

Ma certo l'uomo, nella sua grandezza, dotato del suo libero arbitrio, può sicuramente superare gli animali per immaginazione e intelligenza...

Intendiamoci, nessuno ormai, nel 2014, credo che si permetta di condannare la scelta di vita di una persona. Sono finiti i tempi dell'oscurantismo e dell'ignoranza che facevano vedere il diverso da noi come una persona malata o pericolosa, da eliminare.

Tuttavia non è accettabile la mistificazione della realtà. Non è possibile che l'unione stabile, fondata sul reciproco amore e collaborazione, tra due persone del medesimo sesso, venga propagandata come modello e come normalità di vita, come famiglia dei tempi moderni. 

Tra l’altro questo tipo di unione non può generare figli e quindi non credo che i partner possano pretendere di adottarne uno per il semplice motivo che la natura stessa di questa particolare unione non permette la nascita di un figlio. E credo che questa mancata possibilità non sia casuale.

Escludendo pertanto il discorso adozioni, penso invece che sia giusto e doveroso, per queste unioni, una volta rese pubbliche per mezzo della loro iscrizione nei registri dello Stato Civile, garantire i medesimi diritti e doveri esistenti per le persone coniugate civilmente che hanno deciso di costituire una coppia che sia in grado di formare in seguito una famiglia, nel senso che sopra abbiamo descritto.

Dobbiamo ripartire da questo semplice buon senso per riuscire a porre un limite al delirio di onnipotenza dell’uomo contemporaneo, che da solo non riesce a distinguere il legittimo desiderio di felicità dalla pretesa della sua realizzazione a tutti i costi.

C’è bisogno di questo buon senso? Osserviamo la realtà intorno a noi e diamoci la risposta.