Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

mercoledì 27 gennaio 2016

E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino...




E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino...

Viene da dire che il Ministro Padoan forse poteva concedersi qualche ora di sonno in più nella giornata di ieri ed evitare un tour de force con la dura commissaria danese Margrethe Vestager per spuntare un risultato come quello ottenuto sulla bad bank italiana che, alla fine, come voleva l’Europa, non si farà.

Dodici mesi di dibattiti, polemiche, incontri, più o meno istituzionali, sui diversi tavoli europei per poi partorire un accordicchio come quello di ieri. Che disastro. Per il nostro Governo, per Renzi, ma anche per l’economia italiana e in ultima analisi anche per l’Europa. 

Questo i falchi delle Nazioni del Nord non l’hanno ancora capito: ostacolare la ripresa della nostra economia e del nostro sistema finanziario, alla lunga non gioverà neanche a loro, sempre che alla lunga ci sia ancora una parvenza di unità economica europea da difendere.

Per rendere comprensibile al maggior numero di lettori il nocciolo dell’accordo ottenuto dal nostro ministro ieri sera possiamo dire che al posto di una bad bank italiana, ci saranno più cartolarizzazioni di crediti a sofferenza.

Mi spiego: i crediti a sofferenza delle banche (circa 200 miliardi di euro) resteranno nei bilanci delle singole banche che però potranno (non saranno obbligate) a fronte di un pacchetto di crediti ben individuato e con ancora qualche possibilità di recupero (in sostanza quelli meglio garantiti in via reale con ipoteche) cartolarizzarli, ossia emettere obbligazioni di pari valore dei crediti individuati. 

Inoltre, alla garanzia reale già collegata a questi crediti cartolarizzati, lo Stato italiano per renderli maggiormente appetibili a coloro che sottoscriveranno le obbligazioni, offrirà, dietro il pagamento di una commissione a carico della banca emittente, una ulteriore garanzia pubblica, statale. 

Così confezionato, il pacchetto regalo di obbligazioni “ex spazzatura” potrà essere allocato presso la BCE dove il nostro concittadino Draghi li accetterà in conto deposito elargendo alla banca depositaria liquidità che potrà essere spesa per sostenere, in teoria, gli investimenti di famiglie e imprese.

Questo in estrema sintesi. 

Di fatto questo è un modo elegante per prendere tempo senza risolvere il problema. E' certo infatti che prima o poi le obbligazioni dovranno essere rimborsate dalla banca emittente la quale per giunta si troverà sempre nei suoi bilanci i crediti a sofferenza, quelli appunto che nel frattempo ha cartolarizzato. E quindi mantenendo questi incagli nel suo bilancio, la banca dovrà sempre effettuare accantonamenti di fondi a scopo prudenziale come prevede la normativa bancaria europea. Questi accantonamenti continueranno pertanto, come accade oggi, ad essere una zavorra alla crescita economica.

In sintesi da questa super manovra del nostro Ministro Padoan non si otterrà quella spinta che tutti aspettavano per dare una scossa alla nostra economia che, ormai è chiaro, ha riacceso il motore, ma è rimasta in folle, e la strada non è in discesa.

Ci si accorge ora che non aver affrontato il problema banche negli anni passati, quando altre Nazioni hanno approfittato dei fondi Salva Stati per ripianare i buchi nei bilanci degli istituti di credito, è stato un errore strategico. Ora la normativa europea è cambiata con l’entrata in vigore del c.d. Bail in e non è più possibile operare come in passato, ma questo è avvenuto anche grazie al voto dei rappresentanti italiani presenti in Europa.

Allora viene un dubbio: ma i nostri parlamentari e politici eletti nelle diverse istituzioni europee hanno idea di cosa votano, e si rendono conto se i temi che si discutono possano o meno danneggiare il Paese?

L’impressione che si ricava da questa come da altre vicende europee è quella che abbiamo eletto in Europa una massa di politici impreparati ad affrontare temi tanto complessi, che si riempiono la bocca in campagna elettorale di parole di cui probabilmente ignorano il significato e che forse sono più interessati agli emolumenti che le cariche europee riconoscono che a portare avanti politiche sensate per il nostro Paese.

Alla fine, si ritorna sempre al punto fondamentale: quello che fa la differenza è la coscienza con cui si compie il proprio lavoro, qualunque esso sia, dal pulire una strada al votare una legge a Strasburgo o scrivere un articolo alla sera dopo cena, perché l’ultima a morire è la passione per questo Paese, il più bello del mondo, se non fosse per certi concittadini.

sabato 16 gennaio 2016

Cinema è Sogno



Cinema: una parola che segna tutte le stagioni della vita di ognuno di noi. La fanciullezza con i primi film a disegni animati che ci fanno ridere e contemporaneamente ci insegnano le regole elementari della convivenza, la gioventù con l’attenzione rivolta a conoscere il mondo dei sentimenti nel quale siamo immersi fuori e dentro di noi, l’età adulta, fatta di giudizio, di confronto, di conferme ed a volte di delusioni, la vecchiaia che si consola del tempo passato di fronte a quel medesimo schermo che le aveva svelato anni prima il futuro.

Il buio nella sala, il silenzio improvviso, la musica e le immagini: che lo spettacolo abbia inizio! Quanti brividi lungo la schiena hanno accompagnato l’inizio del film che avevamo scelto di vedere per trascorrere un paio d’ore in un altro mondo, forse in un nuovo mondo dove non saremmo mai più tornati?

Le parole. Nell’esperienza che si prova guardando un film, e non a caso non si dice leggendo un film, forse le parole, il discorso scritto e letto dei dialoghi ascoltati gustando l’opera, sono il lato più nascosto dell’arte cinematografica.

A questa lacuna, se così possiamo definirla, ha posto rimedio il volume di Giuseppe Alessio Nuzzo, Cinema è Sogno, edito da Pulcinella Editore di Acerra, Napoli.

L’opera raccoglie alcune tra le battute più significative e passate alla storia, dei film italiani dal 1930 ai giorni nostri. Certo, sono le frasi più belle secondo il gusto e la sensibilità dell’autore, che peraltro vive di e per il cinema, [Giuseppe Alessio Nuzzo, per chi non lo conoscesse è l'Ideatore e il Direttore del Social World Film Festival, Mostra Internazionale del Cinema Sociale di Vico Equense e vanta plurime esperienze internazionali nel mondo del cinema] ma vi assicuro che leggendo il libro sarà come ritornare indietro nel tempo della propria fanciullezza (che per il sottoscritto è iniziata nei primi anni Settanta) e da lì ripartire in avanti nel tempo per rivivere quelle sensazioni, quei sentimenti e quelle gioie provate la prima volta di fronte alle pellicole e scoprire che le stesse hanno costituito il nostro animo, il nostro modo di vedere la vita più di quanto noi stessi potevamo immaginare.

E’ stato un piacere profondo leggere e ricordare le frasi e i dialoghi di quei film che ci avevano colpito e stupito e fatto riflettere e pensare, come invece è stata una sorpresa leggere delle frasi o spezzoni di film che, senza averli visti in sala, ci è venuta voglia di conoscere. 

Perché anche a questo serve la scrittura e servono i libri: a divulgare e a far sorgere il desiderio di conoscere e di scoprire la realtà che ci circonda. Quello di Nuzzo è un libro per gli amanti del cinema, ma non solo. Direi per gli amanti della vita in generale, che se poi la vita la leggi attraverso gli occhi di una bella storia vista al cinema, forse è ancora più bella.

Però attenzione: “La vita non è come l’hai vista al cinematografo: la vita è più difficile”. Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, 1998 – Cristaldifilm

Cinema è Sogno è un’opera da tenere a portata di mano sul proprio comodino per farci compagnia quando ne abbiamo bisogno, peccato tenerla semplicemente sullo scaffale della libreria.


lunedì 11 gennaio 2016

Le référendum est-nous



L'appuntamento politico italiano più importante dell'anno 2016 sarà il referendum costituzionale che si terrà in ottobre. Il Premier Renzi non smette di sottolinearlo in queste prime giornate di ripresa della vita politica. Tutto ruoterà attorno a quell'evento. Dall'esito della consultazione dipenderà il futuro politico di Renzi e del Governo. Almeno, è in questi termini che la questione è stata posta dai medesimi.

In effetti, a ben pensarci, tutto quanto ha fatto sinora il Governo, indipendentemente dal giudizio positivo o negativo che ciascuno di noi dà al suo operato, trova le sue fondamenta nelle riforme di quelle norme costituzionali che sono state votate, attenzione non decise, ma solamente votate, in Parlamento. 

Da tali riforme l'Italia si dovrebbe aspettare la ripresa di quel circolo virtuoso che rimetterebbe in moto la vita politica, quella civile e infine quella economica del Paese. Personalmente crediamo e speriamo che un forte contributo alla rinascita del nostro Paese possa veramente arrivare da queste riforme, attese da anni. 

Ecco allora che diventa fondamentale per il destino del Paese, in questi dieci mesi che ci dividono dall'appuntamento referendario, approfondire e comprendere le modifiche che sono state approvate dal Parlamento, cercando di essere liberi il più possibile da pregiudizi e steccati ideologici perché in gioco c'è il futuro dell’Italia.

Se venissero bocciate le riforme, significherebbe che la stagione riformista del più giovane Premier che l'Italia repubblicana abbia avuto è arrivata al capolinea. Viceversa, se confermate, il Governo avrebbe il via libera nel proseguire la sua opera riformatrice almeno sino alle politiche del 2018.

Ma il problema secondo noi sta proprio qui. E' corretto collegare la vita del Governo Renzi all'esito del referendum? Tutti noi siamo consapevoli di come l'Italia abbia bisogno di ridisegnare il suo abito costituzionale, in alcuni punti desueto e tagliato su misura per un'Italia diversa da quella di oggi.

Ma c'è modo e modo per giungere ad un risultato. Quello scelto da Renzi, lo diciamo senza problemi, non ci convince in alcuni passaggi, soprattutto perché in gioco c'è la modifica della Costituzione. Certo, il Premier fa valere il fatto che si è comunque giunti ad una riforma, mentre in passato i tentativi di modificare il sistema si erano sempre arenati. Ma è sufficiente l'aver voluto raggiungere un risultato a tutti i costi per ritenersi soddisfatti? 

Sono solamente due i precedenti analoghi referendum costituzionali: il referendum del 2001 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo D'Alema) e quello del 2006 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo Berlusconi). Il primo confermò la decisione del Parlamento (con una partecipazione al voto decisamente bassa: 34,1% degli aventi diritto che approvarono la riforma con il 64,2% dei voti) e la riforma entrò in vigore; mentre il secondo venne bocciato dal popolo (la partecipazione al voto fu superiore al 2001 e pari al 52,30% degli aventi diritto ma la riforma fu bocciata dal 61,32% dei votanti). 

Nel primo caso, nel 2001, quando si tenne il referendum, le forze politiche (di Centro Destra) che sostenevano il Governo in carica (Berlusconi) erano opposizione al tempo della riforma votata dal Parlamento e confermata dal voto popolare (Riforma D'Alema). Nel 2006 capitò la medesima cosa: quando si tenne il referendum (25 e 26 giugno 2006) era da un mese salito in carica il secondo Governo Prodi e le forze politiche che avevano proposto la modifica della Costituzione (di Centro Destra) erano diventate minoranza nel Paese. La riforma però questa volta fu bocciata nel referendum con una maggioranza superiore a quella del 2001.

Questo per dire che un conto è sostenere la politica di riforme, anche coraggiose, che sta portando avanti l'attuale Governo Renzi, diverso è valutare nel merito la bontà o meno delle riforme stesse.

Certo non è un compito facile, ma abbiamo ancora dieci mesi per informarci e pensarci. L'importante è non sprecare questo tempo. Facciamoci trovare preparati perché questa volta sarebbe un errore imperdonabile mancare l’appuntamento con la storia.

sabato 2 gennaio 2016

L’ultima parola non è la parola fine, ma la parola bene


Il giorno del matrimonio nel 2005 

Il 31 dicembre 2015, poche ore prima della mezzanotte, il mio amico Ugo è salito al cielo. Era malato di SLA da sei anni e forse qualcuno di voi ha già letto i post che parlano di lui su questo blog.

Ora, dopo aver partecipato al suo funerale questa mattina, in una chiesa strapiena di persone, non mi resta che ringraziare lui e Silvia, la moglie, per la testimonianza che ci hanno dato in questi anni. 

Sono stati sei anni di fatica, tantissima, per Silvia che non lo ha mai lasciato solo un giorno, e nel frattempo ha cresciuto i due figli che ora hanno sei e otto anni, ma anche per Ugo che, oltre a dover subire la malattia che avanzava a passi da gigante, vedeva passare davanti agli occhi la vita dei suoi cari senza poter fisicamente agire.

Eppure dal rapporto tra marito e moglie, dove ad operare era l’essenziale e non altro, attraverso la fatica del quotidiano, giorno dopo giorno, sono germogliati un’infinità di relazioni, di situazioni, di incontri che hanno cambiato la vita stessa delle persone coinvolte. Era impossibile rimanere gli stessi dopo una visita a casa di Ugo e Silvia. A casa loro si stava bene, tutti stavano bene. Ci si sentiva meglio, si usciva cambiati.

Si andava a casa loro con la scusa di salutare Ugo, ma in realtà era come si volesse vivere un poco vicino a quell’unione, si volesse contemplare l’unità presente tra un corpo immobile, Ugo e sua moglie Silvia. Unità che rimandava a qualcosa d’altro, ad una Presenza che la rendeva possibile, umanamente possibile.

Come ha detto Don Giorgio nell’omelia, non siamo qui così in tanti per celebrare la fine di tutto questo, la fine di Ugo. Sarebbe assurdo fare una cerimonia se tutto finisse qui. Ugo ci ha testimoniato con il suo sacrificio cos’è l’essenziale della vita e sua moglie Silvia ci ha documentato con il suo sì - nella salute e nella malattia - ripetuto il giorno del matrimonio e ogni giorno della malattia di Ugo, il miracolo quotidiano che si compie con la Grazia di Cristo. 

Quello che Ugo ci ha lasciato, ci ha affidato, sono le persone e i momenti di rapporti vissuti insieme che ci hanno testimoniato l’esistenza di una Presenza che può dare una risposta di senso e verità anche al dolore più intenso, in apparenza più assurdo. 

Sta a noi fare memoria e rendere testimonianza di questo dono ricevuto. Come scrive Giovanna De Ponti Conti nella sua favola “Arco di Luce”: “l’ultima parola non è la parola fine, ma la parola bene”. 

Ugo e Silvia ci hanno aiutato a sperimentare un assaggio di quel bene. E per questo li ringraziamo.



venerdì 1 gennaio 2016

Il Sesto Senso

Il Sesto Senso, USA, 1999, Regia di M. Night Shyamalan




Recensione di Alberto Bordin



Delle cinque emozioni di Inside Out, una che varrebbe davvero la pena indagare in futuro è Paura. Gioia non è in sé sufficiente a descrivere quella forza che ci muove e chiamiamo Amore, né le altre tre possono reclamare una simile potenza e autonomia; ma Paura: la paura è un motore – o antimotore, che dir si voglia – di energia esorbitante. Quanto possiamo vivere dominati dalla paura, quante scelte pensate, organizzate, agite, in virtù di essa. È difficile concepire le giornate, una vita, dominate da rabbia o disgusto, forse dalla tristezza, ma sempre come un risultato, come un quoziente del vivere. La paura invece può porsi alla radice del nostro quotidiano. Ed è tuttavia difficile parlare con coscienza della paura, e pertanto è difficile farne un film.

Lasciamo da parte quella produzione strozzata di pellicole che si autofagocitano in un mercato di salti sulla poltrona, squartamenti sanguinolenti e mostri senza un perché e senza un come – ricordiamo che pure il Demonio ha un perché e un come. Anche nell’esiguo mercato restante, trovare soddisfazione da un film horror è cosa rara. Alcuni utilizzano l’horror come pretesto – andate a vedere l’ultimo film di Del Toro Crimson Peak: è una storia d’amore condita di fantasmi – mentre i restanti fanno dell’horror un gioco immorale, una disperata corsa verso la salvezza senza redenzione o catarsi.
Dentro un panorama tanto desolante, film quali Il Sesto Senso sono una manna dal cielo.

Malcolm Crowe è uno psichiatra infantile, medico di successo, felicemente sposato, finché una notte un suo vecchio paziente irrompe in casa sua accusandolo di averlo abbandonato; gli lascia in regalo una pallottola nell’addome e si spara. Sono passati otto mesi e apparente tutto è tornato alla normalità, ma ora Malcolm sente pesare il senso di colpa, e l’ossessione che l’attanaglia in cerca di redenzione sta mandando in frantumi il suo matrimonio. A soccorrerlo, ecco la sua occasione: il piccolo Cole di 9 anni soffre degli stessi disturbi del paziente suicida. Il bambino si sente perseguitato da un male profondo, è dissociato dal mondo, additato dai compagni come uno stupido, e la madre single per quanto bene gli voglia non è tuttavia in grado di aiutarlo. Crowe, non senza preoccupazione, si accolla il caso. E sarà in un’acquisita intimità che il bambino gli confesserà il suo grande segreto: “io vedo la gente morta. Continuamente”.

16 anni fa, Il Sesto Senso fu un film di sorprendente qualità; nella scrittura, con uno dei più eclatanti e imprevedibili colpi di scena di sempre, e nella regia, prima grande opera a battezzare l’astro cadente che è stato M. Night Shyamalan. Il Sesto Senso racconta una storia di terrore, ma è sul primo punto che vorremmo focalizzarci: racconta una storia; ed è il secondo che ci sorprende per non porsi a contraddizione del primo: di terrore. Quella di Crowe e Cole è un’avventura terrificante ma non priva di speranza. È la chiamata a un cammino che con l’angoscia nel cuore i due protagonisti si apprestano a percorrere con una sola domanda, quella che dovrebbe implicitamente chiedersi ogni eroe: qual è il significato di tutto ciò?

Elogiamo la fotografia sobria, le inquadrature meticolose atte a raccontare, l’interpretazione convincente di Bruce Willis e quella magistrale del piccolo prodigio Haley Joel Osment, e poi le musiche, che incarnano la dolorosa nostalgia delle anime che vagano in pena sulla terra. Lodiamo gli sceneggiatori per regalarci una storia che ne contiene dentro un’altra: queste sono le vere sorprese, quelle sorprese che adoriamo e che restano immortali, ovvero le sorprese che non erano attese, le spiegazioni che se non fossero giunte non ci saremmo aspettati di ricevere; pensavamo di aver visto un film – un bel film – e invece era uno anche migliore – ricordate Fight Club? Psycho? L’Impero Colpisce Ancora? è di questi film che stiamo parlando. Ma appunto Il Sesto Senso è un bel film prima della sua rivelazione, perché è una storia di trasformazione e di crescita. Il Sesto Senso ci fa paura per insegnarci una cosa importante: non dobbiamo averne. Non vogliamo averne, combattiamo per non averne più. E pur nell’ansia e attanagliati dal terrore di un bambino di 9 anni abbandonato a sé stesso, solleviamo quella tenda rossa andando incontro a ciò che ci chiama, per scoprire perché ci sia concesso questo spaventoso dono.

È il cammino della vocazione, perché in fondo ogni avventura inizia con una chiamata. E nella pace della rivelazione, gli spiriti e gli uomini possono guardare a ciò che hanno di più caro e scoprire quel significato profondo. Porre termine alle proprie afflizioni e finalmente essere liberi: ovvero redenti.