Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

domenica 28 aprile 2013

Abbiamo un Governo, ed ora?


E’ noto che noi italiani non possiamo rinunciare a due cose: commentare la formazione della nazionale di calcio scelta dal Mister per partecipare ai mondiali e la composizione di un nuovo Governo (tra l’altro quest’ultimo accadimento prima dell’avvento dell’era berlusconiana era più frequente del primo). 

Ci permettiamo quindi anche noi, insieme ai moltissimi che in queste ore lo stanno facendo, di esprimere il parere sul primo Governo di Enrico Letta. 

Sinceramente facciamo gli auguri al neo Premier perché la situazione politico – economica non è mai stata così difficile e complicata da gestire come in queste settimane e, come se non ce ne fosse bisogno, lo dimostra anche il gesto folle e disperato dell’attentatore che questa mattina ha sparato su due carabinieri in Piazza Montecitorio. L’attentatore ha dichiarato che in realtà voleva sparare ai neo ministri che entravano nel palazzo per il loro primo Consiglio dei Ministri. 

Passiamo ad analizzare la lista dei nomi che compongono questo Governo: ecco che incominciano ad apparire alcune criticità. Quasi tutti i Ministri, salvo il Vice Premier e Ministro dell’Interno Alfano, sono personaggi politici di secondo piano, se non tecnici, del proprio partito di appartenenza. Questo, per un Governo definito dal Presidente della Repubblica un Governo politico, è un segnale di debolezza, certamente non di forza. 

Sui nomi scelti, posto che si è deciso di non proporre un Governo composto dai politici big di partito (oppure i big di partito non hanno voluto esporsi in questa fase), la coppia Napolitano – Letta poteva scegliere forse con più accuratezza nomi diversi per alcuni Ministeri importanti. Ministeri come quello della Salute o delle Politiche agricole, così importanti e fondamentali in questi periodi di crisi economica, meritavano maggiore attenzione e competenze tecniche che non riscontriamo presenti nei nomi scelti. 

Ma tant’è, ormai la squadra è fatta e ci rendiamo conto che non deve essere stato facile per il neo Premier Letta arrivare a comporre un puzzle come quello di dare un Governo all’Italia. 

A questo punto crediamo che il Governo debba da subito iniziare a porre in campo tutte quelle riforme necessarie per far sì che il nostro Paese incominci finalmente ad uscire dall’immobilismo in cui versa da vent’anni. 

Le prime cose da fare sono, da un punto di vista economico, bussare agli organismi competenti europei e chiedere con forza e ottenere una modifica del patto di stabilità, per permettere alla nostra economia di riprendere a crescere e di creare nuovi posti di lavoro. Mentre, da un punto di vista politico, la prima cosa da fare è la riforma della legge elettorale, con l’introduzione della possibilità per il cittadino di esprimere la propria preferenza per il politico da eleggere. Evitare anche questa volta di portare avanti questa riforma vorrebbe dire tradire il popolo italiano ed aprire le porte, la prossima volta che si andrà a votare, ai grillini da un lato e all’astensionismo dall’altro. 

Per nostro conto, concluse queste due operazioni salva Paese, potremmo chiedere anche al Presidente Napolitano di sciogliere il Parlamento e tornare alle urne, questa volta con una nuova vera legge elettorale. 

Un Parlamento di eletti dal popolo e non di nominati dai partiti, come è quello attuale, sarà in grado di dare nuova linfa alla politica italiana e di traghettarla fuori dal pantano in cui si trova. 

Di questo ne siamo certi.






sabato 27 aprile 2013

Alla ricerca di Utopia (nel senso di eutopia)


Chi ha visto la puntata del 25 aprile di Servizio Pubblico di Michele Santoro sino al termine, è stato spettatore dell’intervento dello scrittore Roberto Saviano. 

Saviano, come piace fare a lui, ha raccontato una storia. La storia della rinascita del popolo cileno che nel 1988 avuto in dono dalla comunità internazionale un referendum per dire SI o NO alla continuazione della dittature del Generale Pinochet, inaspettatamente decide di voltare pagina e a maggioranza vota NO. 

Lo spunto Saviano lo prende da un recente film, NO, di Pablo Larrain, vincitore a Cannes nel 2012 dell’Art Cinema Award. Come hanno fatto i sostenitori del NO, all’inizio in netta minoranza nel Paese, a convincere la maggioranza dei cileni che la vita senza Pinochet era meglio della vita con Pinochet? Utilizzando in modo nuovo, originale la comunicazione. Non hanno parlato dei crimini commessi dal regime, ma hanno mostrato il Cile che avevano in mente, libero, pieno di colori, dove tutti potevano vivere in pace, dove il militare e lo studente potevano camminare in piazza vicini, senza che l’uno avesse paura dell’altro. Hanno proposto un sogno, una visione di un mondo nuovo che sarebbe stato possibile realizzare se avessero vinto i NO. L’alternativa era continuare il solito tran tran, la solita vita grigia che i cileni conducevano sotto Pinochet, senza poter scegliere in autonomia la propria vita, il proprio modo di vivere. 

A poco a poco, grazie anche a una campagna comunicativa fatta di spot televisivi propositivi e avvincenti, il popolo cileno ha perso la paura generata dal cambiamento, ha capito che si poteva vivere senza Pinochet, che votare NO non avrebbe generato particolari traumi e che forse valeva la pena non perdere l’occasione. I NO hanno vinto e il Cile ha voltato pagina. 

I riferimenti alla nostra situazione attuale sono evidenti, anche se da noi al momento non esiste un Generale Pinochet, anzi semmai si teme una sua venuta. 

Cosa ha voluto dire Saviano al popolo della sinistra italiana, ai suoi esponenti politici? 

Ha voluto dire di cambiare strategia, di non cercare lo scontro diretto con la destra, con Berlusconi e i suoi processi. Arroccarsi sulle proprie posizioni non modifica il modo di pensare dell’altra parte, di chi la pensa diversamente. La Sinistra per crescere nel Paese deve proporre, deve comunicare un mondo nuovo, diverso, deve far intuire che cambiare l’attuale stile di vita che ci ha portato a questa situazione di crisi è possibile e per farlo occorre avere fiducia nei propri leader politici. E’ un po’ quello che in questi ultimi cinque anni ha fatto Grillo che ha proposto una visione nuova di mondo, temi nuovi e nuovi stili di comportamento e che ha raccolto un ampio consenso. 

Una domanda però mi piacerebbe porre a Saviano, senza vena polemica. Qual è la visione del nuovo mondo che la Sinistra ha in mente e vuole proporci? Dove sono i leader da seguire che ci conducono verso questa Utopia (nel senso di eutopia)? Perché, alla fine, il problema è questo, avere una visione per il futuro, anche solo per i prossimi venti/trent’anni, e immaginare un mondo diverso, migliore di quello attuale, dove far crescere e vivere felici i nostri figli. 

Di questo Saviano, purtroppo, non ha parlato. 









venerdì 26 aprile 2013

L'ultimo libro

Consigliatomi da mia moglie, ho letto il romanzo di Zoran Zivkovic, L'ultimo libro. L'autore, nato nel 1948 a Belgrado, vi risiede ancora con la famiglia. Ha pubblicato una ventina di romanzi e dal 2007 tiene corsi di scrittura creativa.

L'ultimo libro e' un piacevole thriller ambientato in una cittadina che potrebbe essere la stessa Belgrado o comunque di quelle zone. La scena dei crimini e' una piccola libreria gestita da due amiche dove, all'improvviso, iniziano a morire, sembra per cause naturali, i clienti che la frequentano. 

L'ispettore Dejan Lukic è incaricato delle indagini che avanzano di pari passo con la relazione sentimentale del poliziotto con Vera, una delle due proprietarie de Il Papiro. Il principale indagato per i delitti sembra essere un misterioso oggetto...l'ultimo libro!

Il finale a sorpresa rivela la fantasia dello scrittore che conduce tutta la trama con una scrittura elegante, sobria, senza dilungarsi in descrizioni superflue che annoiano il lettore di un giallo. 

Per concludere una lettura piacevole che tiene compagnia in quelle giornate uggiose invernali e ti fa sentire in sintonia con i protagonisti del romanzo.


Zoran Zivkovic, L'ultimo libro, TEA spa Milano 2008





mercoledì 24 aprile 2013

A tu per tu con: Danilo Zappa


Danilo Zappa è Private Banker presso uno dei più importanti Gruppi Bancari a livello nazionale. 
Dal 2009 dedica il suo tempo libero alla sua grande passione, il calcio, allenando la squadra “Open” della SAMZ (Parrocchia di Sant’Antonio Maria Zaccaria di Milano). 




D.: Danilo, come nasce la passione per il calcio e quella di allenare i giovani? 
R.: Sono nato il 25/10/1954 e la passione per il calcio ha visto la luce la mattina del 26/10/1954. Da sempre ho giocato a calcio appena possibile. Cortili,strade o campi veri non faceva differenza,ho sempre mangiato "pan e balùn" come diceva la mia povera nonna. Una passionaccia che mi ha dato anche la soddisfazione di vincere un Campionato Italiano di categoria UISP nel 1981/82 e di arrivare secondo perdendo ai rigori l'anno dopo. La squadra era quella della Bracco e...giravano anche dei bei soldini! 
Bei tempi! 
Il ruolo di allenatore è nato il 10/11/1989 quando mia moglie ha dato alla luce Davide e si è temprato e consolidato il 25/11/1993 quando è nato Stefano. 
Oh Signore,due maschi quindi solo calcio! Parole della Sig.ra Zappa... 
In effetti allenare la SAMZ è scaturito da una richiesta specifica dei ragazzi. 
Giocavano insieme all'oratorio a 9-10 anni (sono tutti '88 e '89) poi si sono dispersi nelle varie squadrette di quartiere. 
Quattro anni fa (ormai quasi cinque) a giugno mi arriva la richiesta esplicita:"Vuoi fare ancora il nostro allenatore? Sei l'unico che ha dimostrato di capirci qualcosa riguardo questo gioco". 
Troppo buoni e tanto cari. Ho accettato. 
Abbiamo cominciato un po' in sordina ma,anno dopo anno,abbiamo sempre migliorato la posizione finale in classifica senza mai perdere di vista i valori essenziali di gruppo e amicizia. 
Con me giocano tutti a prescindere dal valore tecnico. La più grossa soddisfazione che abbiamo avuto, condivisa con Don Martino,è quella che la mia squadra ha fatto da "locomotore trainante" per lo sviluppo del calcio alla Samz da dove era letteralmente sparito per 10 anni prima che ricominciassi io con i miei ragazzi. 
Da allora,anno dopo anno,le squadre sono sempre aumentate di numero e con l'avvento del nuovo campo in sintetico (giugno 2012) abbiamo toccato l'attuale record di 6 squadre ufficiali. 
Open,Top-Junior,Juniores,Under 13,Under 11 e Under 10. 
Finalmente la Samz, da quest'anno,ha riaperto le porte alle "piccole leve",alle giovanissime generazioni. 





D - In questi anni cosa ti ha più colpito nei ragazzi che vengono ad allenarsi e sognano di diventare magari dei campioni? 
R.: Da noi nessuno arriva a giocare a calcio per diventare un campione.  Se lo fosse, tecnicamente e volitivamente, non sarebbe qui... A noi interessa il messaggio che riusciamo a dare alla nostra comunità anche attraverso lo sport. Il nostro è un tipo di sport strano,altamente alternativo che cerca di far sentire il singolo parte integrante del gruppo,della squadra di appartenenza a prescindere dalle qualità calcistiche possedute. 
Anche a costo di non vincere per portare avanti questa idea. Per esempio,seguendo questa traccia,ai miei allenamenti mancano sempre in media tre/quattro ragazzi su 18 per motivi di lavoro o di studio,non per mancanza di voglia o per delusione sportiva. E gestire 18 unità quando la partita ti permette di schierare 7 giocatori più 5 rincalzi alla volta non è proprio semplicissimo. Eppure non abbiamo mai avuto uno screzio o un litigio pesante. Qualche discussione si,ci mancherebbe,non siamo certo tutti uguali e io sono...abbastanza vulcanico. Se poi penso di aver ragione e sono condiviso e supportato da altri, apriti cielo! 


D. Danilo, raccontaci come è stata l'esperienza di giocare all'interno del carcere di san Vittore e come è nata l'occasione ? 
R.: Quest'anno abbiamo anche avuto la "doppia opportunità" di giocare all'interno di S. Vittore. Doppia perché loro,ovviamente,non possono andare in trasferta... 
Abbiamo avuto questa occasione e l'abbiamo accettata (molte altre squadre si sono rifiutate di giocare in carcere) nonostante le grosse difficoltà morali e burocratiche da superare. L'abbiamo fatto soprattutto perché pensavamo di poter regalare un paio d'ore di felicità a ragazzi che,sebbene abbiano sbagliato,restano sempre ragazzi con le loro paure e con le loro poche certezze. 
E' stata una sensazione strana,diversa,anche di timore all'inizio. Poi però,parlando e incontrando il gruppo dei ragazzi carcerati,ci siamo resi conto di quanto siano fortunati i miei ragazzi che hanno tutti una famiglia alle spalle. Una famiglia con la "F" maiuscola a prescindere dal reddito di ciascun padre e di ciascuna madre,una famiglia sempre "presente". 


D.: Danilo, tu sei padre di due ragazzi ormai già adulti, come genitore / educatore vuoi lasciare un pensiero ai ragazzi che ancora devono scegliere la propria strada e stanno vivendo in questi tempi così difficili soprattutto per i giovani ? 
R.: Torno un attimo sul ruolo di allenatore che deve essere prima di tutto quello di educatore. 
Senza strafare o stravolgere il proprio carattere,basta avere un minimo di moderazione nel linguaggio,nei gesti e nelle reazioni durante le partite. 
Ti assicuro che spesso gli altri allenatori non sono e non la pensano così. 
A volte vorresti strangolare un arbitro o un avversario per decisioni insulse o falli cattivi e gratuiti,ma poi deve sempre prevalere il buon senso,l'educazione ed il senso civico. 
Come "allenatore dei grandi" godi sempre di un certo carisma agli occhi dei giocatori più giovani ed a quelli dei bambini che ti vedono e ti "sentono" all'opera. Devi essere prima di tutto un esempio per tutti. 
Ai ragazzi che potranno o vorranno leggere questa mia piccola intervista,suggerisco e soprattutto auguro,di vivere l'esperienza sportiva propria allo stesso modo di come la stanno vivendo i miei ragazzi,i miei giocatori. 
Uniti,educati e amici in qualunque caso. 
I "miei ragazzi" sanno di essere un po' anche "miei figli" e quindi possono contare su di me anche al di fuori del perimetro del campo di calcio. 

Grazie Danilo.





domenica 21 aprile 2013

Il nuovo che avanza: e dopo Giorgio, Mario (Monti) ?


A circa due mesi dalle elezioni politiche, i segnali di cambiamento politico – istituzionale richiesti dal popolo italiano con l’esito delle votazioni sono sotto gli occhi di tutti . Non abbiamo ancora un nuovo Governo che incominci ad affrontare la grave situazione economica e sociale che stiamo attraversando, ma in compenso abbiamo un nuovo Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano, chiamato per la prima volta nella storia repubblicana a rimanere sul Colle per (teoricamente) quattordici anni. Quando scadrà il suo secondo mandato, il Presidente compirà novantaquattro anni. Se ben ricordo, neanche i Segretari del Plenum del Soviet Supremo dell’ormai misconosciuta Unione Sovietica restarono in carica sino a questa età. 

Intendiamoci, tanto di cappello al Presidente Napolitano. 

La sua elezione è stata perfettamente legittima, costituzionalmente ineccepibile e chi grida al golpe anche questa volta ha perso un’occasione per pensare prima di parlare. 

Il problema è politico e riguarda tutte le forze presenti in Parlamento. 

Per i Democratici l’elezione di Napolitano certifica in diretta TV la divisione ormai insanabile tra le componenti che hanno creato il PD. Bersani ha le sue colpe (e infatti si è dimesso) ma tutti i capi bastone che hanno agito nell’ombra (dall’Italia, dall’Africa o dalla Cina) portano seco la medesima responsabilità che dice una cosa sola nei fatti: i problemi degli italiani vengono dopo l’egemonia del proprio gruppo all’interno del partito. Vedremo al prossimo congresso se la base ridarà la fiducia a questi Lazzaro oppure deciderà di voltare pagina definitivamente. 

Il M5S in questi due mesi non ha ottenuto nulla rispetto a ciò cui poteva aspirare in base ai voti ricevuti dagli elettori. Grillo è un grande uomo di spettacolo e infatti in tutte le piazze dove ha portato il suo tour ha fatto il pieno, ma, come politico, di strada deve ancora compierne parecchia. Quando una forza politica siede in parlamento, per ottenere un risultato favorevole alla propria parte deve per forza cercare un accordo con le parti politiche più vicine alla propria, altrimenti i casi sono due: o non si ottiene nulla (e allora non si capisce perché si è deciso di sedere in parlamento) oppure non siamo in democrazia. 

Berlusconi e il PDL in apparenza sono quelli che hanno ottenuto una vittoria in questa fase, avendo da sempre optato per una scelta di grandi intese, di santa alleanza per il bene del Paese con la creazione di un governo trasversale politico al posto di quello tecnico guidato da Monti. Ma ora che questa soluzione si avvicina con l’elezione di Napolitano, Berlusconi sa benissimo che se si andasse subito a votare il PDL molto probabilmente avrebbe la maggioranza nel Paese (anche per l’auto distruzione del PD) e la tentazione di sfilarsi da questo governo di larghe intese è fortissima. Vedremo nei prossimi giorni quale strada il PDL deciderà di percorrere. 

Scelta Civica con il professor Monti si appresta a vivere un ritorno di fiamma insperato. Un governo di larghe intese vedrebbe sicuramente i moschettieri del Presidente in prima fila e magari il senatore Mario Monti (ora politico a pieno titolo in quanto a capo di un partito democraticamente eletto) potrebbe essere chiamato a far parte di un governo politico di unità nazionale, cosa impossibile sino a ieri. 

E gli italiani? A noi popolo italiano non ci rimane altro, a questo punto, che rivolgerci al nostro Presidente democraticamente eletto dai parlamentari e chiedergli una sola cosa: imponga, Signor Presidente a questi pseudo leader politici di mettersi subito d’accordo per costituire un Governo. Affronti, questo Governo, subito senza indugi la situazione economica e dica alle istituzioni europee competenti che la gestione della crisi come fatta sino ad ora non va bene perché soffoca la crescita. Dia, questo Governo, agli italiani una nuova legge elettorale permettendo all’elettore la scelta del proprio rappresentante in parlamento. 

E dopo, Signor Presidente, verificato che questi due compiti siano stati eseguiti, sciolga le Camere e ci rimandi a votare. 

Grazie Signor Presidente.





domenica 14 aprile 2013

Il Paradiso alla porta

Risulta difficile sintetizzare nelle quaranta righe di una pagina word (lo spazio che mi sono imposto per ogni recensione che pubblico sul blog) il contenuto dell’ultimo saggio del filosofo francese Fabrice Hadjadj, Il Paradiso alla porta, edito in Italia da Lindau. 

A chi si rivolge il filosofo? A tutti noi, pellegrini erranti su questa terra. Chi, almeno una volta nella vita, non si è mai chiesto che fine farà dopo la morte? La domanda è una di quelle classiche sulla quale i filosofi sono al lavoro da millenni. 

Ebbene, Hadjadj propone la risposta cristiana, il Paradiso, e ne descrive, per quello che un essere umano può descrivere, gli elementi costitutivi, il contenuto, lo spazio e i confini utilizzando i riferimenti dell’arte, della poesia, della musica, della letteratura e chiaramente della filosofia. 

E’ un’opera che mostra la maturità raggiunta dal pensiero di questo ancor giovane filosofo convertitosi al cristianesimo in età adulta e per questo, forse, ancor più entusiasta della novità, della buona novella che lo ha raggiunto per grazia e lo ha convertito affascinando la ragione e il cuore. 

Gioia, tempo ritrovato, consolazione, eternità, relazione, canto sono solo alcune delle parole che troviamo nel saggio e che contribuiscono a disegnare il Paradiso ai nostri occhi e alle nostre orecchie. La prima parte dell’opera è dedicata a coloro che, nella storia, hanno pensato di portare il Paradiso sulla terra senza comprendere che il Paradiso esiste, consiste in un’altra dimensione. Il tentativo di attuare il Paradiso sulla terra ha generato unicamente orrori e dolori ai popoli che lo hanno dovuto subire. 

Le considerazioni sul Paradiso che ci propone Hadjadj sono rivoluzionarie così come è stata rivoluzionaria la venuta di Cristo sulla terra. Il popolo aspettava la venuta di un re che lo liberasse dal dominio di Roma ed è arrivato il Figlio di Dio che si è lasciato mettere in croce per la salvezza di tutto il creato. Commoventi le pagine in cui il filosofo descrive e commenta l’episodio di Disma il buon malfattore, che chiede sulla croce: Gesù ricordati di me… e Gesù che gli risponde: “Oggi, TU sarai con ME in Paradiso”. Paradiso, luogo di relazione, TU con ME. 

Nell’ultima parte dell’opera Hadjadj pone le basi di quella che chiama la fisica eucaristica. Sono considerazioni personali che meritano una riflessione attenta e suscitano sicuramente interesse e meraviglia. 

Il Paradiso alla Porta, saggio su una gioia scomoda, come sottotitola lo stesso autore, è un’opera complessa, che pone al centro il Paradiso visto, scrive l’autore: “come un orizzonte di fecondità traboccante e non un sogno sterilizzatore”. Di questa fecondità traboccante l’opera è colma. 

Quello che colpisce il lettore, a volte perso nei riferimenti letterari e filosofici proposti dall’autore, è la bellezza che rimane come fosse realtà concreta dopo aver terminato la lettura della singola pagina e del capitolo intero. Ma forse questa bellezza permane perché scopriamo che è il Paradiso ad essere attraente. 

In conclusione, come scrisse Don Luigi Giussani: “Gesù si rivolge a noi, si fa incontro per noi chiedendoci una sola cosa: non “cosa hai fatto?” , ma “mi ami?”. 

Dell’amore di Cristo è ricolmo il Paradiso descritto da Hadjadj nel suo saggio. 



Fabrice Hadjadj, Il Paradiso alla porta, Lindau srl, Torino – prima ed. febbraio 2013 






sabato 13 aprile 2013

I veri Saggi


In questi giorni abbiamo riletto cosa hanno scritto due grandi Saggi.

Il primo:

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto.  Per la grazia che mi è stata concessa, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto è conveniente valutarsi, ma valutatevi in maniera da avere di voi una giusta valutazione, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la misura della fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi l'insegnamento, all'insegnamento; chi l'esortazione, all'esortazione. Chi dà, lo faccia con semplicità; chi presiede, lo faccia con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
La carità non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene; amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore.  Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell'ospitalità. Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto.
Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.  Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti.  Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore.  Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo. Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. “

Il secondo Saggio ha scritto:

“Se riesci a tenere la testa a posto quando tutti intorno a te
L'hanno persa e danno la colpa a te,
Se puoi avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te,
Ma prendi in considerazione anche i loro dubbi.
Se sai aspettare senza stancarti dell'attesa,
O essendo calunniato, non ricambiare con calunnie,
O essendo odiato, non dare spazio all'odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo da saggio;

Se puoi sognare, senza fare dei sogni i tuoi padroni;
Se puoi pensare, senza fare dei pensieri il tuo scopo,
Se sai incontrarti con il Trionfo e la Rovina
E trattare questi due impostori allo stesso modo.
Se riesci a sopportare di sentire la verità che hai detto
Distorta da furfanti per ingannare gli sciocchi,
O guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con strumenti logori.

Se puoi fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare dal principio
e non dire mai una parola sulla tua perdita.
Se sai costringere il tuo cuore, tendini e nervi
A servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c'è più nulla
Tranne la Volontà che dice loro: "Tenete duro!"

Se riesci a parlare alle folle e conservare la tua virtù,
O passeggiare con i Re, senza perdere il contatto con il popolo,
Se non possono ferirti né i nemici né gli amici affettuosi,
Se per te ogni persona conta, ma nessuno troppo.
Se riesci a riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua è la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!

Come avete intuito, non parliamo di quello che hanno scritto i saggi scelti da Napolitano, ma di quanto scritto duemila anni fa da san Paolo e nel 1895 dallo scrittore Joseph Rudyard Kipling.

Vedere in questi giorni come i quattro leader dei maggiori schieramenti politici, Berlusconi, Bersani, Monti e Grillo si stanno comportando rispetto alla grave crisi politica ed economica che attanaglia il Paese lascia sconcertati, senza parole.

Il Presidente Napolitano, anziché nominare una doppia commissione con dieci saggi avrebbe fatto meglio a fotocopiare e distribuire ai quattro leader politici i testi sopra riportati.  

Chissà, forse il cuore di qualcuno di loro avrebbe potuto riprendere a pulsare.



venerdì 12 aprile 2013

Il grande e potente Oz

Il grande e potente Oz, USA, 2013, Regia di Sam Raimi


Recensione di Deborah Lepri


Il grande e potente Oz di Sam Raimi è uno di quei film che davvero non puoi permetterti di vedere su uno schermo più piccolo di quello di un cinema. Il 3D è maneggiato con maestria (richiama quasi i fasti di Hugo Cabret) e sicuramente il film si regge sulla potenza dell'immagine. 

Sì, perché il mondo di Oz è un tale tripudio di colore, natura e magia che si vorrebbe fare un tuffo nel campo di girasoli! Oltretutto l'arrivo nel mondo magico spiazza lo spettatore, dato che Oscar-Oz e il suo spettacolo in fiera ci vengono presentati in un Kansas in bianco e nero.

I personaggi sono costruiti davvero bene, e sono stati scelti attori credibili e a loro agio nell'ambientazione fantasy della pellicola (ma penso che nessuna avrebbe avuto difficoltà a mostrarsi affascinata dal sorriso di James Franco, e viceversa nessuno avrebbe resistito alla bellezza di Mila Kunis e Rachel Weisz e Michelle Williams).

Il film poi è pieno di omaggi e citazioni: dalla classica iconografia della strega, a Harry Potter, al Signore degli Anelli, a ovviamente Il Mago di Oz del 1940 - ma in realtà questo film si gusta anche senza conoscerne l'illustre predecessore o senza cogliere i rimandi.

Ultimo ma non meno importante, come in ogni film Disney che si rispetti, non può mancare un insegnamento: in questo caso si sottolinea come tutti abbiano del buono dentro al proprio cuore, e come si possa rendere l'impossibile possibile impegnandosi a fondo.

lunedì 8 aprile 2013

La Fabbrica del Duomo

Milan Cathedral, dedicated to the Nativity of Mary, has a unique feature: its construction is still in progress. The first stone was laid in the year 1386 under the supervision of Simone da Orsenigo, general engineer appointed 16 October 1387 and since then the Fabbrica del Duomo di Milano is still in business.

If we think about it, the yard of the Milan Cathedral is open for over six hundred years. There is no similar case in the world.

A work of this kind could not be carried out without the contribution of all the milanesi. Many over the centuries have worked and continue to do so for the Fabbrica del Duomo, but many have donated their property or inheritance, large or small, in the belief that the construction of the Cathedral expresses the ideal that gives meaning to life, personal and of the community. The construction and maintenance of the cathedral is still financed in this way.

The construction of the cathedral departed from the apse and from there through the centuries until the development facade built in the nineteenth century. Between 1756 and 1774 we are building the spire topped by a gilded copper Madonnina that blesses the city of Milan, 108 meters in height.

The Cathedral was consecrated the first time October 16, 1418 by Pope Martin V and solemnly rededicated October 20, 1577 by St. Charles Borromeo who gave the definitive implant inside the Cathedral.

The numbers of the Duomo di Milano will leave you speechless: 52 columns (one for each week of the year), in over 400 statues of saints, while overall the statues of the Cathedral are more than 3,500, the last positioned in our day; the spiers are 135.

A curiosity. The material used for the construction of the Duomo, the precious marble that gives luster to the Cathedral Church, it was not even in town and nearby. The marble used for the Cathedral was one of the quarries of Candoglia on Lake Maggiore in Val d'Ossola. For centuries, thousands of stonecutters have extracted from the quarry, inside the mountain, not in the open, then the marble through a complex river route along the waterways natural and artificial (the canals named Navigli ) reached the lake of St Eustorgius, then the port of Milan. On the stones destined to the construction site was engraved: AUF, Ad Usum Fabricae. Only the material that carried these three letters engraved did not pay the duty due to transport, customs duty paid instead the other cargo.

As you can see from this brief exposure, the construction of the Cathedral is the result of the effort of the people of Milan that over the years has been united in its desire, at work and in our efforts to complete the construction of the cathedral church, place of faith and the center, not only religious but also civil city.

Even today when two milanesi want to give an appointment in the city center say I'll see you in the Cathedral, not wishing to see you within the Church, but we find ourselves in that place the symbol of the city center.

For those visiting Milan, wanted to learn more about the history of the Cathedral and visit his factory, we point out the website where you can find all the relevant information and also help, as has been done for over six hundred years, the construction and maintenance Church Cathedral:  http://www.duomomilano.it/

We thought it useful today to tell the story of the construction of the Cathedral of Milan, as the history of a people working together for a common good larger Ideal for giving answer to the life of the individual and that of the community. As he said Antoni Gaudi, the great architect of the Sagrada Familia in Barcelona, "while I built the Sagrada, Sagrada built me", so you can say the same thing about the people of Milan: while the people edified the Duomo, this generated and shaped the 'cultural and political identity of the milanesi.






domenica 7 aprile 2013

La Fabbrica del Duomo

Il Duomo di Milano, dedicato alla Natività di Maria, ha una caratteristica unica: la sua costruzione è ancora in corso. La prima pietra venne posata nell’anno 1386 sotto la supervisione di Simone da Orsenigo, nominato ingegnere generale il 16 ottobre 1387 e da allora la c.d. Fabbrica del Duomo di Milano è ancora in attività. 

Se ci pensiamo, il cantiere del Duomo di Milano è aperto da oltre seicento anni. Non esiste al mondo un caso analogo. 

Un’opera di tal genere non poteva essere portata avanti senza il contributo di tutti i milanesi. Moltissimi nel corso dei secoli hanno lavorato e continuano a farlo per la Fabbrica del Duomo, ma moltissimi hanno donato i propri beni o eredità, grandi o piccole, nella convinzione che la costruzione della Cattedrale esprimesse l’ideale che dà senso alla vita, personale e della comunità. La costruzione e la manutenzione del Duomo è tuttora finanziata in questo modo. 

La costruzione del Duomo partì dalla zona absidale e da lì si sviluppo lungo i secoli sino alla facciata realizzata nel corso dell’Ottocento. Tra il 1756 e il 1774 viene realizzata la guglia maggiore sormontata dalla Madonnina in rame dorato che benedice la città di Milano dai suoi 108 metri di altezza. 

Il Duomo venne consacrato la prima volta il 16 ottobre 1418 da Papa Martino V e riconsacrato solennemente il 20 ottobre 1577 da San Carlo Borromeo il quale diede l’impianto definitivo all’interno della Cattedrale. 

I numeri del Duomo di Milano lasciano senza parole: 52 pilastri (uno per ogni settimana dell’anno), all’interno oltre 400 statue di Santi, mentre complessivamente le statue del Duomo sono oltre 3.500, le ultime posizionate ai nostri giorni; le guglie sono 135. 

Una particolarità: il materiale usato per la costruzione del Duomo, il pregiato marmo che dona lustro alla Chiesa Cattedrale, non si trovava in città e nemmeno nelle vicinanze. Il marmo utilizzato per il Duomo fu quello delle cave di Candoglia sul Lago Maggiore in Val d’Ossola. Per secoli migliaia di scalpellini hanno estratto dalla cava, interna alla montagna, non a cielo aperto, il marmo che poi attraverso un complesso percorso fluviale, lungo le vie d’acqua naturali e artificiali (i Navigli) giungeva al laghetto di sant’Eustorgio, allora il porto di Milano. Sulle pietre destinate al cantiere veniva incisa la scritta AUF, Ad Usum Fabricae. Solo il materiale che portava incise queste tre lettere non pagava il dazio dovuto per il trasporto, dazio che invece pagavano le altre merci trasportate. 

Come si può intuire da questa breve esposizione, la costruzione del Duomo rappresenta l’esito della fatica del popolo milanese che nel corso degli anni è stato unito nel desiderio, nel lavoro e nella volontà di portare a compimento l’edificazione della Chiesa Cattedrale, luogo di fede e centro, non solo religioso, ma anche civile della città. 

Ancora oggi quando due milanesi si vogliono dare un appuntamento in centro città dicono: ci vediamo in Duomo, non intendendo ci vediamo all’interno della Chiesa, ma ci ritroviamo in quel luogo simbolo del centro della città. 

Per chi, visitando Milano, desiderasse approfondire la conoscenza della storia del Duomo e visitare la sua Fabbrica, segnaliamo il sito internet dove è possibile reperire tutte le informazioni del caso ed anche contribuire, come si è fatto da oltre seicento anni, alla costruzione e manutenzione della Chiesa Cattedrale : http://www.duomomilano.it/

Ci è sembrato utile riproporre oggi la storia della costruzione del Duomo di Milano, in quanto storia di un popolo che lavora unito per un bene comune più grande, per un Ideale che dà risposta alla vita del singolo e a quella della comunità. Come disse Antoni Gaudì, il grande artefice della Sagrada Familia di Barcellona: "mentre costruivo la Sagrada, la Sagrada costruiva me"; così si può dire la stessa cosa del popolo milanese: mentre il popolo di Milano edificava il Duomo, questo generò e plasmò l’identità culturale e politica dei milanesi.



martedì 2 aprile 2013

The train to Hogwarts ...

If I think of Italy to this rainy early spring 2013, I am reminded of the principle of the film the boy wizard Harry Potter and the journey of the steam train departed from platform 9 and 3/4 carrying the cheerful aspiring wizards to Hogwarts Castle . The locomotive grinds km in the dark film, emitting the characteristic white puff of steam, following the curves of the track, direct to nowhere...

That this is Italy today: a train at high speed toward what? No one today would be able to give an answer to this question, I think.

But let's step back to December 2012.

Chancellor Angela Merkel in a year-end interview with the Financial Times has exposed this simple concept: if Europe today has only 7 percent of the world's population, produces about 25 percent of global GDP and must finance 50 percent social spending overall, then it is obvious that will work very hard to maintain its prosperity and its way of life.

Now it is clear that if this is the backdrop on which to play our future, in Europe the countries that will suffer more this situation (which is historically inevitable) will be those countries, such as Italy, which are the weakest point of view of economic resources and, above all, more politically plaster, with a ruling class that, at all levels, seems incapable of making team - Country and continues to play into the hands of their own petty interests of the bell tower.

In the end we were still, as mindset, Italy of a thousand common medieval: guilds are fans war on each other, seeking help and benefices from the Lord of the moment, so the populace, ignorant and foolish in the end it always pays the bill ...

After a thousand years of this script, maybe it is time that we understood that we Italians or remain united or history inevitably bring us back to being colonized again, not foreign states, but from central banks and sovereign wealth funds.

The work before us is immense and time inexorably rushing. But perhaps there is still time, only you can not see the horizon yet the will to change course. The last thirty days have shown a class of new MPs who seem to have not understood the seriousness of the situation we face.

One gets the impression that prevail are still the vetoes and the internal squabbles of political parties, while the country, in fact, without a guide, running fast to nowhere.

Faced with this situation, what should a foreign institutional investor must decide where to allocate retirement savings of their clients? Why should invest their savings in our country? Frankly, we find it hard to find some plausible reason to encourage them to invest in Italy. Not to mention the other side of the coin, equally dangerous for our country, which is of the same institutional investors and sovereign wealth funds, providing significant financial resources, do shopping of our best companies (which thankfully still exist) and pieces "quality" of our beautiful country. The risk actually exists and whether the economic crisis will continue with this intensity, I think we will be spectators of such situations.

How to react? The only solution is to stick together, like other European countries most mature and responsible of us do for decades, even centuries. United Italy has a hundred fifty years, but politically it still seems a carefree teenager.

lunedì 1 aprile 2013

Quel treno per Hogwarts...

Se penso all’Italia di questo piovoso inizio di primavera 2013, mi viene in mente il principio dei film del maghetto Harry Potter e il viaggio del treno a vapore partito dal binario 9 e 3/4 che trasporta gli allegri aspiranti stregoni al Castello di Hogwarts … La locomotiva macina chilometri nel buio della pellicola, emettendo il caratteristico sbuffo bianco di vapore, seguendo le curve dei binari, diretta verso il nulla… 

Ecco questa è l’Italia odierna: un treno a vapore diretto a grande velocità verso che cosa? Nessuno oggi sarebbe in grado di dare una risposta a questa domanda, credo. 

Ma facciamo un passo indietro, al dicembre 2012. 

La Cancelliera Angela Merkel in una intervista di fine anno al Financial Times ha esposto questo semplice concetto: se l’Europa oggi conta solo il 7 per cento della popolazione mondiale, produce circa il 25 per cento del pil globale e deve finanziare il 50 per cento della spesa sociale globale, allora è ovvio che dovrà lavorare molto duramente per mantenere la sua prosperità e il suo stile di vita. 

Ora è chiaro che, se questo è lo scenario di fondo sul quale si gioca il nostro futuro, in Europa i Paesi che più soffriranno questa situazione (che storicamente appare inevitabile) saranno quei Paesi, come l’Italia, che sono più deboli dal punto di vista delle risorse economiche ma, soprattutto, più ingessati politicamente, con una classe dirigente che, a tutti i livelli, sembra incapace di fare squadra – Paese e continua a fare il gioco dei propri piccoli interessi di campanile. 

In fondo siamo rimasti fermi, come mentalità, all’Italia dei mille comuni medievali: le corporazioni si fan guerra a vicenda, cercando aiuto e prebende dal Signore del momento; tanto il popolino, ignorante e stolto, alla fine il conto lo paga sempre… 

Dopo mille anni di questo copione, forse sarebbe ora che anche noi italiani comprendessimo che o si fa gioco di squadra oppure la storia inevitabilmente ci riporterà ad essere colonizzati nuovamente, non da Stati stranieri, ma da Banche Centrali e Fondi Sovrani. 

Il lavoro che ci attende è immenso e il tempo inesorabilmente scorre veloce. Ma forse siamo ancora in tempo, solo non si vede all’orizzonte ancora la volontà di cambiare rotta. Gli ultimi trenta giorni ci hanno mostrato una classe di neo parlamentari che sembra non abbiano compreso la gravità della situazione che abbiamo davanti. 

Si ha l’impressione che a prevalere siano ancora i veti incrociati e le beghe interne ai partiti, mentre il Paese, di fatto senza guida, corre veloce verso il nulla. 

Di fronte a questa situazione, cosa dovrebbe fare un investitore istituzionale estero che deve decidere dove allocare i risparmi pensionistici dei propri assistiti? Per quale motivo dovrebbe investire i propri risparmi nel nostro Paese? Francamente facciamo fatica a trovare qualche motivazione plausibile per invogliarlo ad investire in Italia. Per non parlare dell’altra faccia della medaglia, altrettanto rischiosa per il nostro Paese, che è quella che gli stessi investitori istituzionali o fondi sovrani, disponendo di ingenti risorse finanziarie, facciano shopping delle nostre aziende migliori (che ancora per fortuna esistono) e dei pezzi “pregiati” del nostro bel Paese. Il rischio esiste realmente e se la crisi economica continuerà con questa intensità, penso che saremo spettatori di situazioni del genere. 

Come reagire? L’unica soluzione è imparare a fare gioco di squadra, come gli altri Paesi europei più maturi e responsabili di noi fanno da decenni, da secoli. L’Italia unita ha cento cinquant’anni, ma politicamente sembra ancora una spensierata adolescente.