Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

venerdì 31 gennaio 2014

In attesa della legge elettorale ...facciamo un po' di conti

Mentre l’opinione pubblica italiana, o almeno quella che scorre ancora un quotidiano o guarda sonnecchiando un telegiornale, segue febbrilmente le sorti della riforma della legge elettorale, due notizie sono apparse questa settimana, sulle pagine dei giornali, come meteore che hanno lasciato dietro di loro solo polvere di stelle e nulla più. 

La prima: Fiat, dopo aver terminato l’acquisto del 100% di Chrysler, ha deciso di spostare la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Reazione del Governo italiano a questa notizia? La stiamo ancora aspettando. Nel senso che il premier Letta ha dichiarato che i vertici di Fiat l’avevano avvisato già qualche giorno prima (beato lui che era al corrente già da qualche giorno) e il ministro per lo Sviluppo Economico Zanonato ha dichiarato che vigilerà che tutta l’operazione rispetti la normativa vigente. Come se i vertici della Fiat fossero dei ragionieri delle scuole serali e prendessero una decisione che non rispettasse le leggi vigenti… Di fatto nessuna reazione. Dai sindacati invece è arrivato…. il medesimo atteggiamento. Preoccupazione espressa dai leader nazionali per l’occupazione degli operai in cassa integrazione e per gli investimenti promessi anni addietro e subitanea dichiarazione distensiva dei vertici di Fiat: non preoccupatevi, la scelta di de localizzare le sedi legali e fiscali non pregiudicherà gli investimenti in Italia. A dire il vero unica voce fuori dal coro quella della CGIL che ha toccato il tema del mancato gettito delle imposte che non saranno più versate in Italia, ma nessuno ha ripreso il ragionamento e tutto è tornato sotto silenzio. 

Proviamo a fare un po’ di conti. Siamo andati a prendere gli ultimi dieci bilanci consolidati ufficiali del Gruppo Fiat dal 2003 al 2012 (si trovano facilmente su internet) e di seguito trovate i numeri (espressi in milioni di euro) delle imposte pagate dal Gruppo in Italia, dal 2003 al 2012. Una nota e una precisazione. La nota: per gli anni 2011 e 2012 non sono state conteggiate le imposte aggregate pagate da Chrysler, versate negli USA. La precisazione: nel 2004 il Gruppo non ha versato imposte causa le pesanti perdite registrate nei due esercizi precedenti, quando la Fiat rischiò il fallimento. Ecco i numeri:

Bilancio Consolidato GRUPPO FIAT
Imposte versate in milioni di euro
ANNO 2003
650
ANNO 2004
zero
ANNO 2005
844
ANNO 2006
490
ANNO 2007
719
ANNO 2008
466
ANNO 2009
448
ANNO 2010
484
ANNO 2011
464
ANNO 2012
420


Siete riusciti a fare il conto del totale delle imposte pagate in Italia dal Gruppo Fiat in dieci anni? Sono state pari a quattro miliardi novecentottantacinque milioni di euro. Arrotondiamo a cinque miliardi. Diciamo che ogni anno il Gruppo paga, pagava all’Italia cinquecento milioni di euro di tasse. E consideriamo che gli ultimi dieci anni sono stati anni difficili e di crisi per il mercato dell’auto, in Italia e nel mondo. Ora Fiat si aspetta dall’unione con Chrysler anni in crescita, sia come vendite e sia come margini e quindi anche come tasse, che però da quest’anno andranno nelle casse del Regno Unito di Gran Bretagna. Non tutte, è vero. L’IMU sugli stabilimenti italiani continuerà ad essere versata in Italia, così come l’IRAP sui dipendenti italiani verrà versata in Italia, ma possiamo stimare una perdita, per il fisco italiano, del 50% di entrate fiscali da parte di Fiat? Secondo noi sì. Ma, badate bene, non è il mancato introito di per sé a preoccupare. E’ come questa situazione si è svolta: nell’assoluta indifferenza di tutti. Certo, gli organi di stampa ne hanno parlato, qualche politico e sindacalista nazionale ha fatto finta di indignarsi e poi più nulla. 

Il fatto è che la scelta di Fiat di spostare le sedi legali e fiscali, pienamente legittima e legale, nulla di eccepire dal punto di vista formale, viene presa nei confronti di due Paesi facenti parte della Comunità Europea, non del Far East o del Sud America. E’ questo il nocciolo del problema: due Paesi nostri partner europei, con i quali ci sediamo gomito a gomito nei summit internazionali in Europa, ci hanno soffiato da sotto il naso la prima industria privata italiana (ex italiana) e noi non abbiamo preso nessuna contro misura. Qualcuno si è chiesto perché il management di Fiat abbia scelto una sede legale in Olanda? E perché sia stata scelta una sede fiscale in Gran Bretagna? E’ questa l’Europa unita che hanno sognato i nostri nonni, i nostri padri per noi? Davvero vogliamo un’Europa dove esistono Paesi che attirano le nostre migliori aziende, i nostri migliori asset, nel proprio territorio offrendo loro minori imposizioni fiscali, migliori legislazioni per l’industria, il commercio, i servizi? E come pensa il nostro Paese di reagire a questa concorrenza che non si può non definire sleale, perché viene portata avanti da Paesi nostri alleati all’interno della medesima Unione? Silenzio, nessuno risponde. In Parlamento sono tutti intenti a modificare la legge elettorale, fortunati loro… Noi intanto perdiamo il primo gruppo industriale italiano. Seguiranno altri l’esempio di Fiat? Pensiamo di no, in fondo chi ha mai seguito quello che decidevano gli Agnelli in Italia? Nessuno, ma proprio nessuno nessuno… 

Seconda notizia: è stata data sui giornali in questi giorni la comunicazione della pubblicazione della ricerca realizzata da Prometeia e dall’Osservatorio dell’Università Bocconi sul tema: pressione fiscale, produzione industriale e occupazione. Cosa emerge da questo studio commissionato da un’azienda produttiva del milanese? Che in Italia le aziende che non hanno impianti produttivi nel nostro Paese hanno mediamente un’imposizione fiscale del 30%, mentre le aziende che producono e quindi di conseguenza assumono mano d’opera dedicata alla produzione, subiscono un’imposizione fiscale che si aggira sull’80%. Le cause? IRAP e IMU la fanno da padroni. E così sono penalizzate dal fisco italiano proprio le aziende che creano lavoro e quindi potrebbero dare vita alla ripresa economica e sociale del nostro Paese. La risposta a questo punto sarebbe ovvia: spostare la tassazione sulle aziende che non producono e non investono nel nostro Paese e liberare dalla pressione fiscale quelle che credono nella rinascita del nostro Paese e investono in Italia. E’ così difficile e complicata portare avanti quest’operazione? L’ormai celebre e famoso “Decreto del Fare” (a proposito, ma che fine ha fatto questo decreto?) non potrebbe iniziare da questa semplice manovra? I vari Grillo, Renzi, Alfano e Berlusconi che cosa hanno da dirci in merito? 

Ah già dimenticavo, non si possono disturbare, in questo momento stanno scrivendo la legge elettorale…




giovedì 30 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street

The Wolf of Wall Street, USA, 2013, Regia di Martin Scorsese


Recensione di Alberto Bordin


Potrebbe essere lecito ritenere che ogni film meriti una recensione di adeguata qualità, per cui quella cromia che traspariva attraverso le immagini in sala, la si possa respirare anche leggendo quelle poche righe atte a presentarlo; secondo tale prospettiva – per esempio – sarebbe difficile che una recensione di Braveheart risulti efficace esponendo i propri punti in tono piano e sommesso: avrebbe bisogno di vibrare anch’essa di quell’impeto eroico e bellico che colorano le due ore e mezza del film di Gibson. Ebbene, scrivere una recensione del genere de Il Lupo di Wall Street, l’ultima pellicola firmata Martin Scorsese, sarebbe impossibile senza infrangere le norme della decenza e del decoro che un testo pubblico deve tenere. Si invitano quindi i lettori a fare un piccolo sforzo di fantasia per aiutare chi scrive, e leggere quanto segue con quella malizia che è tipica di un guardone che scruta una foto censurata, al fine di cogliere, dietro parole (che si spera siano) ben poste e altolocate, contenuti di natura assai più triviale e perversa.

Perché sono proprio l’indecenza e la perversione i temi chiave di questo film. Immaginate un film atto a inneggiare l’eros: tre ore di film scritte, girate, montate col solo scopo di convincervi che tutto gira intorno al sesso, che l’uomo vive per farlo, che è compiuto solo nell’atto erotico, anzi, che il compimento di senso di ogni cosa, il vitalizzarsi e il risolversi di ogni quesito e dramma della vostra vita, si attua quand’anche l’amplesso è finalmente compiuto. Due secondi per rifletterci. Bene: adesso fatelo diventare un film sui soldi.

Non che l’erotismo manchi, anzi scorre a fiumi, con sequenze di un animoso attivismo, il sesso accennato, quello esplicito, casalingo e d’ufficio, spesso collettivo, brutale e professionale, selvaggio e perverso (ovvio: se si può pervertire la già perversione; e si può) … ma non è lui il protagonista, per quanto sembri rubare la scena. Il primo attore di questa pellicola non è nemmeno il monumentale Di Caprio – più che mai intento a ricevere il suo sofferto Oscar – ma si tratta di quel biglietto di carta color bottiglia, 155x65 mm, che porta impressa l’effigie di George Washington. Dio Dollaro, dio Denaro, un dio che a molti potrebbe parere antico e dimenticato, un demone sconfitto dalla morale sociale odierna, ma di cui altrettanti, ascoltando la facile favella di Jordan Belfort, dovranno scoprire di non conoscerlo affatto e che veste con elegante persuasività i tempi moderni. “I miei problemi li voglio affrontare indossando un vestito firmato, dentro una limousine e con un bicchiere di champagne alla mano!”, queste (indicativamente: per quel che la memoria concede) le parole di Jordan; e in fondo come dargli torto? Chi può negare la folle ebrezza che concede il successo, il brivido piacente che scorre nelle vene quando si possiede il mondo? quando non c’è più regola, più legge, più ostacolo, finché il mondo ti appartiene e sai come venderlo, e se lo vendi allora lo puoi anche comprare. “Vendimi questa penna”: basta così poco, il potere di persuadere, di plasmare, di creare un valore, per poi in realtà non creare nulla, il nulla, quello più assoluto, solo un grande spettacolo, una grande messa in scena dove l’unica vera forza in gioco sei tu, è Jordan, con la sua personalità ingombrante, il suo carisma, il suo fascino centrifugo e distruttivo, per cui non compri più una penna, o delle azioni, o una quota di mercato, ma il brivido di essere come lui, di fare come lui e vivere come lui, di afferrare nel palmo della mano un pezzo di mondo.

Ed è quella follia che infervora gli animi e acceca la ragione, che nessuno sa davvero come frenare se non armandosi del disgusto, se non alienandolo, rimanendovi estraneo, guardandolo fuori e mirandone ammutoliti la follia; ed è ovvio che per voi è folle – dice Jordan –, perché non ne fate parte, ma per noi che lo viviamo invece, in che altro modo potremmo vivere? È un potere che si loda da solo, si esalta da solo, si afferma nella sua onnipotenza, in un linguaggio osceno che se ne frega della riprova sociale, in un atteggiamento osceno che se ne sbatte della riprova sociale, in un’interrelazione sociale che non sa nemmeno cosa voglia dire “riprovarsi”: si dice? boh? è una parola? mah, chi se ne frega.

Ma non è con questi occhi di estranei che guardiamo il film, perché non è un film raccontato da un estraneo, ma da uno che ci è dentro fino al collo, uno che quel mondo lo vive, meglio, l’ha creato, perché lui è quel mondo e quella vita. Non è mai stato tanto piacevole farsi raccontare un film, Jordan Berfort non sta zitto un solo istante, e guai lo facesse, ne perderemmo tutti del nostro intrattenimento. Ne siamo ammaliati, vinti, attratti, con-vinti a tal punto che nemmeno noi percepiamo più a pieno l’assurdità di quel mondo, anche noi drogati, eccitati, perversi e divertiti, deviati nel deviato mondo di Berfort. Non vuole essere una ricetta, ma provate a lasciare a casa mamma e papà, non portate con voi i vostri figli (per l’amor del cielo: non fatelo, no!) e sedetevi in sala e guardate il film, e per la durata di 180 minuti, attraverso circa due dozzine di scene di sesso e addirittura due orge, e la bellezza di 522 (o 506, i media danno numeri incerti) varianti della stessa imprecazione a quattro lettere – chi ha mai detto che la scurrilità uccide la ricchezza comunicativa è stato clamorosamente smentito –, contemplando tutto questo scempio, fermatevi e osservatevi, e vedrete se forse, per la prima volta nella vostra vita, il moralismo non vi avrà tappato le orecchie, la vergogna non vi avrà fatto distogliere gli occhi e il pudore non vi avrà tolto il sorriso dalla faccia. Questa volta non avete letto l’avventura di Alice, ma avete seguito la bimba giù per la tana, curiosi e compiaciuti, e sotto quelle treccine bionde si nasconde un lupo vizioso e con ancora tanto pelo, che ulula soddisfatto della propria grottesca voracità. È la lode al vizio per il vizio.

Ma si tratta di un vizio antico, diverso da quello moderno. Il vizio dei moderni è il cinismo, è il vizio per negazione: è solo eros perché non c’è amore, è solo dollaro perché non c’è valore, è solo menzogna perché non c’è verità. Oggigiorno la perversione è proprio un cambio di rotta, è il per-vertere che intende lo stravolgere, che implica viaggiare nel senso opposto. Ma la perversione di Jordan è di tutt’altro tipo. È quella perversione che non cambia traiettoria, ma la percorre in modo smodato. È una strada sterrata e quieta di campagna, investita da una Ferrari cromata in corsa alla velocità di 350 km/h. Jordan Belfort è la voracità di chi vuole ogni cosa, in ogni momento, alla grande, alla follia, senza misura e senza impedimento. Non è la nube grigia della depressione umana, ma la balenante corsa di un fulmine. E al baleno segue la rovina.

Era un altro film di estrema bellezza e intelligenza a dire “se corri come un fulmine, ti schianti come un tuono”; e Jordan Belfort è l’eco di quello schianto. Le pagine autobiografiche da cui è stato tratto questo film, trasudano della nostalgia del potere e della profezia della rovina, come una bomba che non ha altro destino che esplodere. E la caduta è disastrosa, la perdita di ogni dignità, sia questa morale come fisica, la perdita di ogni bene, che fosse rubato o guadagnato, e la perdita di ogni affetto, quelli creduti e quelli provati. Si è detto che questo film non prenda posizioni e non dia una morale; “non prendere” e “non dare” non sono però sinonimi di “non avere”: c’è una posizione e c’è una morale, c’è quella contemplazione silenziosa di un pallone che si gonfia e poi scoppia, del razzo lanciato oltre l’atmosfera, e che poi precipita al suolo innescando l’esplosione.

E il fantasma di quell’ebbra follia si dilegua, lasciando solo il muto imbarazzo, come un ragazzino colto in flagrante dai genitori, davanti lo schermo del computer, la lozione in una mano e il fazzoletto nell’altra. Ma il fatto che oggi sia scomparso non significa che non fosse vero; la caduta non cancella la memoria della salita; e anche quando tornano la coscienza e l’assennatezza, rimane comunque impresso negli occhi il luccichio trasognato di quell’ebrezza. È il fascino di un mondo che non ha confini, per cui basta poco, basta solo che tu ne sia capace: “vendimi questa penna”.

lunedì 27 gennaio 2014

Sabato pomeriggio a Kiev

Pubblichiamo una testimonianza di Laura Ferrari sulla situazione che si sta vivendo in questi giorni nella capitale dell'Ucraina.

Sabato pomeriggio a Kiev, il mio amico Alesha* ci porta in piazza Maidan e racconta che qui da più di cinquanta giorni centinaia di migliaia di persone come lui, provenienti da tutta l'Ucraina, manifestano pacificamente per chiedere al governo leggi che rispettino la libertà e i diritti fondamentali dell’uomo. Ci sono nazionalisti, studenti, giornalisti, gente comune scesa in piazza il 24 novembre scorso per esprimere la loro disapprovazione per le manovre di allontanamento dall’UE da parte del governo ucraino.

Lo vediamo con i nostri occhi: alla violenza del potere, che sta tornando ad essere un regime dittatoriale (la polizia ha cominciato a reprimere con la violenza la manifestazione pacifica, attaccando studenti, donne, giornalisti…), il popolo risponde con la propria presenza nella “piazza dell’indipendenza”, meglio nota come Maidan. È una sorta di piccola repubblica dentro la città, circondata dalle barricate per impedire l’entrata alle forze speciali di polizia e cosparsa di tende militari dove le persone dormono, mangiano, pregano, festeggiano il Natale, vivono. Al centro della piazza della capitale ucraina c'è una grande tenda, nella quale ci invitano ad entrare. All’interno é stata allestita una chiesa, dove si celebra la messa secondo il rito ortodosso e dove persone di diverse confessioni religiose possono pregare insieme. Poco distante c’è un grande presepe in legno, costruito –ci racconta il nostro amico- da una ragazza che dipinge icone e ha rinunciato ad un’offerta di lavoro per potersi dedicare alla realizzazione del presepe, per la prima volta nella storia posto in Piazza Maidan.

Alesha indica un altro angolo della piazza, esclamando: “Lì c’è Liza!”, una ragazza di 27 anni, malata di paralisi cerebrale infantile, che dopo anni di vita segnata da profondo dolore e solitudine, è diventata una dei più noti protagonisti della manifestazione di Piazza Maidan, dove lavora aiutando nelle cucine. Intervistata lo scorso dicembre, Liza affermava: “solo qui, per la prima volta, ho sentito di avere un grande valore e mi sono sentita voluta, amata”.

Il nostro amico ci mostra in piazza Maidan la vita di persone comuni, ma eccezionali: arrivano da tutto il paese e si fanno sostituire da amici o parenti quando devono andarsene per tornare al lavoro, così da assicurare una presenza costante sulla piazza, vietano nella piazza il consumo di alcool per provare a costruire una convivenza civile (non si concedono nemmeno un goccio di vodka per riscaldarsi, mentre la temperatura scende a -12 gradi), organizzano corsi all’aperto per gli studenti che per manifestare non frequentano le lezioni in università, preparano da mangiare gli uni per gli altri... Tutto questo -ci spiega- non resiste da oltre cinquanta giorni soltanto in forza della volontà di avvicinamento all’Europa, ma perché, pur appartenendo a partiti diversi e avendo opinioni differenti, la gente è unita in Piazza Maidan nell’affermare il proprio desiderio di giustizia, verità e libertà. Di vita insomma. 

A questo il governo sta rispondendo con la repressione e negli ultimi giorni la tensione ha raggiunto livelli altissimi, dopo l’entrata in vigore di alcune leggi di orientamento dittatoriale, approvate dai deputati del parlamento il 16 gennaio, in pochi minuti e per alzata di mano. Da ieri le manifestazioni pubbliche sono infatti considerate illegali e i manifestanti rischiano di essere arrestati della polizia, con la quale si stanno scontrando violentemente. Molte persone sono rimaste ferite e alcune sono morte.

In poche ore è scoppiata una violenta guerriglia che potrebbe non cessare fino a quando il Presidente non deciderà di rivedere le recenti decisioni prese. 

La situazione è piuttosto complicata e non è questa la sede per esprimere un giudizio politico o fare ipotesi sugli scenari futuri.

Possiamo però lasciare che nella nostra frenesia quotidiana si apra un piccolo spiraglio per guardare, per accorgerci che a pochi chilometri da casa nostra, ci sono Alesha e Liza, e con loro un popolo di migliaia di persone testimonia che non si può vivere senza affermare la verità.

*Manifestante, redattore della casa editrice Duch i Litera, a Kiev.


martedì 21 gennaio 2014

Pierino e il lupo cattivo

Forse ha ragione Renzi. L'unico modo in Italia per cercare di smuovere le acque e riuscire a chiudere la riforma della legge elettorale e della rappresentanza popolare è trovare la quadra tra i due principali schieramenti politici (uno al governo e l'altro all'opposizione), blindare il tutto e cercare di far convergere su questo disegno quante più forze politiche possibili. 

Vedremo se Renzi avrà ragione. Personalmente, per il bene del Paese, glielo auguro. Su due questioni, però, non sono in sintonia con Renzi: una più formale, l'altra sostanziale. La prima: Renzi poteva evitare di tenere l’incontro con Berlusconi nella sede nazionale del PD. Potevano incontrarsi da qualsiasi altra parte. Permettere al leader di Forza Italia di entrare nella casa della sinistra italiana è stato un gesto, generoso se vogliamo da parte di Renzi, che il fiuto politico di Berlusconi non si e' lasciato sfuggire. Inoltre, questa scelta discutibile non ha certamente giovato ai rapporti con la minoranza interna del PD che ha mal digerito la mossa politica del Segretario. Le dimissioni di Cuperlo ne rappresentano l'ultimo effetto. Il pragmatico Renzi in questo caso ha sottovalutato il valore simbolico dell'evento. Ma la “grande” politica è anche questo e Renzi farà bene a memorizzare l’errore. 

La seconda questione è sostanziale: la rinuncia al sistema delle preferenze.

Qui Renzi poteva e doveva osare di più. Le liste bloccate, siano fatte di 5 o di 25 nomi, sono il punto di partenza dei disastri in cui versa la politica italiana. Un parlamento di nominati è un parlamento che alla fine rimane succube delle segreterie dei partiti. Aspetta l'input dai leader politici per decidere o non decidere su qualsiasi questione, come e' avvenuto in questi ultimi due mandati parlamentari. E' proprio il punto centrale che si deve abbattere per riconquistare l'interesse del popolo alla politica. Del resto il vituperato porcellum era odiato proprio per il sistema delle liste bloccate e dell’impossibilità di scelta del candidato da parte dell'elettore. Ed ora che siamo forse vicini a cambiare la legge elettorale, vogliamo mantenere in essere il punto più odioso della precedente legge?

Poco importa rispondere che il PD sceglierà i propri candidati con le primarie. Primo, abbiamo visto tutti i problemi che hanno avuto le primarie del PD, con accuse di brogli da Torino a Catania. Secondo, non tutti i partiti svolgono le primarie. Pertanto il problema rimane aperto. Renzi su questo punto sta sbagliando e farebbe bene ad ascoltare i suoi alleati di Governo, che su questo tema hanno compreso meglio i desiderata degli elettori, di destra, di centro e di sinistra.

In conclusione: bene Renzi nel suo tentativo a testa bassa di smuovere la situazione magmatica della politica italiana. Ci riuscirà? Non lo sappiamo, ma gli auguriamo di sì. Però deve stare attento a manie di protagonismo che potrebbero irritare oltre modo quelle forze che vogliono il cambiamento solo a parole. E molte di quelle forze Renzi se le trova in casa sua. Il passaggio parlamentare non è ancora iniziato e sarà lungo e difficile. La mancata elezione di Prodi a Presidente della Repubblica risale a pochi mesi fa…

Renzi al tempo stesso dovrebbe riconsiderare il sistema delle preferenze, altrimenti tutto quello che di buono sta cercando di fare risulterebbe vano. Forza Italia alla fine le accetterebbe, diversamente avrebbe difficoltà a giustificare ai suoi elettori il naufragio dell’accordo su questo punto.

Le prossime settimane saranno le più lunghe di questa legislatura, ancora un mese e sapremo se si andrà a votare in primavera o nel 2015.

Forza Italia (quella vera!)



domenica 12 gennaio 2014

Cosa non si è portata via la Befana...

Chi sperava che la Befana, oltre alle feste, portasse via anche i malanni atavici (mal governo, mala giustizia, mala sanità e la lista la lasciamo aperta alla fantasia del lettore ché, tanto, la realtà la supera) che affliggono il nostro Bel Paese, è rimasto ancora una volta deluso…

Da Nord a Sud, da Torino a Trieste, il nostro Paese ha iniziato l’anno nel peggiore dei modi.

Siamo in balia di scandali politici che colpiscono Ministri, Presidenti di Regione, Consiglieri regionali, Sindaci; episodi di mala sanità degni di un Paese africano, il quale Paese africano ha dalla sua il fatto che non dispone dei fondi necessari per costruire l’ospedale; noi l’ospedale lo abbiamo, ma l’ascensore che ci porta in sala parto si guasta per mancanza di manutenzione e il bambino che dovrebbe venire alla luce, muore. Siamo un Paese dove i giudici amministrativi del Piemonte impiegano quasi quattro anni per dichiarare che le elezioni regionali, tenutesi il 28 e 29 marzo 2010, sarebbero da rifare perché illegittime. Sarebbero, perché c’è sempre il ricorso al giudice superiore che può ribaltare la prima sentenza. E noi quando sapremo se i consiglieri regionali sono stati eletti validamente oppure devono dimettersi? Alla fine della Legislatura?

Lo so, un marziano che sapesse leggere l’italiano e che avesse già avuto contatti con altri esseri umani, non crederebbe a quello che sto raccontando, perché lo troverebbe irragionevole, non confacente a quella parte dell’essere umano, l’intelletto, che lo distingue da tutti gli altri animali viventi sulla terra, eppure è così, noi italiani siamo fatti così.

E devo dire che anche a leggere le reazioni, certamente sdegnate e stupite, dei principali quotidiani, si nota ormai una certa rassegnazione strisciante. La gente, il popolo, poi non si indigna neanche più, occupato com’è a cercare di mettere insieme il pranzo con la cena.

Non parliamo poi di comminare sanzioni o condanne agli autori di queste azioni. Se mai l’opera della magistratura vedesse l’inizio, ci troveremmo di fronte i tempi lunghi della “giustizia italiana” (vedasi all’inizio mala giustizia) e quindi torniamo al punto di partenza.

Eppure la situazione meriterebbe d’essere presa di petto dal Governo Letta. Un’occasione come questa infatti non capiterà più all’Italia: o si approfitta veramente di un governo di grande coalizione per fare finalmente quelle quattro/cinque grandi riforme che il Paese aspetta da più di venti anni (nuova legislazione del lavoro, riforma dei costi dell’amministrazione dello Stato, riforma del Parlamento e della legge elettorale, riforma della giustizia per poi arrivare, con i fondi risparmiati, a riformare il sistema della tassazione in generale), oppure la prossima volta temo che ad obbligarci a farle sarà la Commissione europea. E la situazione potrebbe essere peggiore per gli italiani. Il Governo dei quarantenni non può permettersi di fallire questa grande occasione. Le alternative semplicemente non ci sono, non si può invertire il senso di marcia, l’uscita dal tunnel è dritta davanti a noi. E bisogna accelerare.

A proposito: tra pochi mesi si rinnoverà il Parlamento europeo: altra occasione da non sprecare. Cerchiamo di dare il voto a quei partiti che mettono in lista persone valide e credibili che sappiano far valere in Europa le nostre idee e i nostri diritti di italiani. Almeno in questa occasione, dove non ci sono in ballo direttamente interessi di quartiere, cerchiamo di fare un piccolo sforzo e di informarci sui curricula dei candidati della nostra circoscrizione e votiamo quello che ci sembra il più valido. Sarà un modo anche questo per far capire alle segreterie dei partiti che la festa è finita, per noi ma anche per loro.

Meditate gente, meditate.