Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

sabato 28 dicembre 2013

Frozen

Frozen, USA, 2013, Regia di Chris Buck e Jennifer Lee


Recensione di Alberto Bordin


Avete presente quella bella ragazza? Sì, dai, quella davvero carina, quel fiore di ragazza diciottenne che è appena sbocciata donna e che ti offre la sua compagnia a una tavolata e una birra con gli amici; ti basta guardarla negli occhi e dici “questa promette bene”. È quella ragazza che non è bellissima e per questo ti intriga forse un po’ di più perché, chissà come mai, è estremamente graziosa. Parliamo di quel genere di ragazza che non è venuta vestita bene alla serata, ma ha già acceso l’atmosfera con i suoi sorrisi. Ha aperto lei le danze alla discussione e l’argomento è anche interessante; e poi attacca a canticchiare, e spesso, alle volte improvvisa pure. E quanto si ride! – Chissà perché? ma succede. È una ragazza di quella specie che sa vestire un po’ tutto di sobrio fascino e di tanta attesa. Una ragazza che sa reggere bene il gioco quasi pattinasse, che scivola ma poi piroetta. E tutto scorre tranquillo scaldando la simpatia e infine accendendo anche l’aspettativa… E proprio in quell’istante eccola che capitombola.

L’aspettativa infatti aguzza la vista e allora cominci ad accorgerti che tante cose non funzionano, anzi, che alcune proprio non vanno. La ragazza è intonata ma sa essere un po’ un disco rotto; e poi va bene improvvisare, ma se non canta ogni due minuti forse è meglio, e poi quella melodia mi pare di averla già sentita prima … E lentamente si fa avanti l’imbarazzo, perché ti accorgi che sì sorride sempre, ma il suo è un ridere carico di disagio e non di sicurezza. Con un po’ di brividi capisci che non ha nemmeno diciott’anni ma solo sedici e si è infilata a un tavolo di adulti; ti accorgi che potrebbe anche essere bella – sì, ma tra un paio d’anni –; che avrebbe anche carattere – tra un paio d’anni –; e che sarebbe anche intelligente … se non avesse abbandonato gli studi due anni fa.

E il tuo compagno di bevuta ti ascolta mentre ti lagni e ti risponde: “ma via, che te ne importa! Sta sera non avrai trovato l’amore della tua vita, ma non puoi negare il piacere della compagnia!”. Sarà anche vero, ma è stato lui ad invitarvi a quella serata promettendovi qualcosa di eccezionale, avete speso 8,50€ per quella birra in compagnia, e che lui ne dica quel locale è dove avete incontrato i primi e molti dei più cari e caldi amori della vostra vita. Perché è questo che per molti vuol dire entrare a scaldarsi sotto il tetto di casa Disney: ci si aspetta speranzosi un nuovo amore da portare a casa e da aggiungere a una storia di conquiste. E la piccola e bella Frozen forse era una candidata gradevole, ma è uscita troppo presto dal guscio e si è venduta prima di essere maturata a sufficienza.

È questa la sensazione che dà l’intero film: quello di un grande abbozzo non sbozzato. Il film sembra avere davvero voglia di raccontarsi, trasuda un affetto che è disseminato in tanti piccoli dettagli, battute, gag, espressioni nascoste nelle situazioni, nei volti, nei gesti, nei movimenti e in qualche nota inaspettatamente struggente. Ma niente cancella il presentimento che sarebbe dovuto rimanere in stato d’incubazione ancora un anno se non due. Bello il bisticcio tra un cuore che non ragiona e una testa che non ama; eppure se fosse stato davvero coltivato chissà fin dove avrebbe potuto portare la storia! E così il fatto che i segreti dell’amore siano custoditi da troll fatti di pietra; ma questa loro sostanza litica li costituisce solo all’apparenza, costretti al ruolo di semplice collante narrativo. Per non parlare del profondo dramma di Elsa, che vorrebbe vivere la propria identità, libera dal pesante giogo della corona e da quelle responsabilità per le quali i suoi poteri sono una tale minaccia; per assurdo essere se stessa le impedisce di essere per gli altri. E il senso di tutto questo si compie nella sorella Anna, che dovendo fare i conti con un cuore di ghiaccio condividerà la condizione di Elsa, e sarà lei a scoprire che quell’amore che ci sana dai dolori del cuore non può sempre essere atteso dall’esterno ma ad un certo punto deve nascere in noi. Gentile, toccante, intelligente … Ma dov’è che tutto questo trova vera sostanza eccetto che in un discorso?

E questa povertà creativa punge tutta la produzione, priva di un’animazione di qualità, popolata di personaggi anonimi nel disegno e poveri nelle texture, spogliata di dettaglio e struttura, nella fisica degli spazi, della luce e delle atmosfere, dove nulla s-garba ma in fondo tutto si limita solo a essere garbato. Poi il cartone ha certamente voglia di cantare, ma come quei bambini che non sanno quando smettere; spontaneo, articolato anche in qualche duetto che tenta di essere più corposo del precedente Rapunzel, ma lascia oltremodo a desiderare – praticamente sempre –, sia per le basi musicali assolutamente prive di sostanza, sia per talune soluzioni di rima e prosa da far vergogna ai dialoghi di Federico Moccia, sia per un’interpretazione, specialmente recitativa, che in maniera troppo palese prende il testimone da un entusiasmo canterino tutto americano e narrativamente molto poco credibile o coinvolgente.

Sembra di sentire John Lasseter premere faticosamente da dietro. Lo fa con misura e pazienza, lasciando che le cose che devono crescere crescano e che quelle che sono rotte si riparino col tempo; ma tutto il suo genio e il suo affetto all’animazione non possono porre riparo a un prodotto che manca di cuore, e i suoi larghi sorrisi paffuti lasciano il posto a estenuanti sospiri. È evidente fin dal cortometraggio che introduce la pellicola che la Disney è seriamente intenzionata a rivolgersi alle proprie origini, di riscoprire un’originalità e un’identità fedeli al mondo vecchio, senza che sia per questo miope al nuovo. Ma più che interessanti esperimenti d’animazione, non può venir nulla da una storia che non sa perché esiste. Il fatto è che nel nuovo prodotto Disney c’è bisogno di più Ralph Spaccatutto e di meno Frozen; il fatto è che servono più adulti che diventano amici dei bambini, e meno bambini che cercano di fingersi adulti.

lunedì 23 dicembre 2013

I sogni segreti di Walter Mitty

I sogni segreti di Walter Mitty, USA, 2013, Regia di Ben Stiller

Recensione di Alberto Bordin


Ben Stiller non è mai stato aggraziato; frizzante, provocatorio, divertente forse (non però quanto è convinto di esserlo), ma sempre un diplomato alla scuola del grottesco. Ma che sia stata la maturazione o un miracolo natalizio, “I sogni segreti di Walter Mitty” è un prodotto di vera grazia.

Non servono tante parole a dipingere questo piccolo gioiello, quindi ci terremo all’essenziale. È una storia estremamente semplice e per questo semplicemente efficace. Walter è un impiegato della rivista LIFE e ci lavora da 16 anni sviluppando rullini all’ombra di bui scaffali; la sua vita è una glaciale monotonia, come un pacco d’ufficio mai aperto, parrebbe quasi non abbia un passato, che la sua vita sia cominciata col cominciare del film, tanto che il suo profilo internet per incontri di coppia è vuoto: mai stato in nessun posto particolare, mai fatto nulla di particolare. Walter è un individuo che nonostante la pulizia asettica della propria persona sembra spandere polvere e vecchiume da tutti i pori, passivo in maniera a dir poco disarmante, e per questo carico di una fervida immaginazione, libero e prigioniero della sua stessa fantasia che gli farà anche vivere l’impossibile, ma poi lo frena nel probabile. Sarà proprio questo individuo che dovrà partire verso l’ignoto in una folle avventura: Walter percorrerà la Groenlandia, e poi l’Islanda, e poi toccherà al Pakistan, fino in cima al K2 per recuperare l’ultima foto, il capolavoro del più importante fotografo vivente di LIFE, nonché copertina del numero di chiusura della rivista.

Lo sviluppo della storia è semplice, appunto, a tratti quasi prevedibile, ma quanto è bello sentirsela raccontare! È come una vecchia storia che già conosciamo, arricchita di un po’ di dettagli e tanto gusto e poi messa in bocca a nostro nonno, a quello che le storie le sa raccontare bene. E allora siamo tutti lì ad ascoltarlo, anche quelli che non volevano, che passavano di lì per sbaglio per altre mansioni, ma che quando hanno messo orecchio nel racconto non ne sono più usciti, intrappolati anche loro nel dolce scorrere di parole. Si tratta solo di quell’abilità estremamente rara di saper mettere tutte le cose al loro posto; magari non sono le più originali, o le più ricche, o le più numerose, ma tutte hanno senso di esistere, e costruiscono un tassello alla volta una storia più profonda di quanto ti aspettassi. Questo Ben Stiller racconta finalmente di un uomo, e in modo così affettuoso e tenero che non sembra più nemmeno lui – eppure è lui, non lo si può confondere. Di più non c’è da dire, risulta quasi difficile spiegarlo.

Si tratta forse di una delle più belle apologie alla fantasia che il cinema ci abbia offerto, perché noi fantastichiamo con spontaneità, ci viene naturale perché siamo fatti per il fantastico e l’avventura, ma la vita è avventurosa e fantastica se veramente vissuta; e viverla è in fondo l’unico modo di rimanere giovani … anzi di tornare ad esserlo, ed essere di nuovo uomini, perché gli uomini non sono fatti per la vecchiaia. E allora viviamo la vita; e la fantasia non ci serve più.

martedì 17 dicembre 2013

A tu per tu con: la passione delle due ruote

Oggi a "Tu per Tu" incontriamo Claudio Minotti, bancario di professione, con una smisurata, grandissima, enorme passione: la motocicletta.

D.:Claudio, a che età ti è venuta la passione per le due ruote? Ti ricordi un episodio particolare legato alla scoperta di questo oggetto di locomozione particolare? 
R.: La mia passione per la moto nasce assai presto legata a quella più in generale dei motori. La prima scintilla, termine più appropriato non trovo, scocca all'età di dieci - undici anni quando mio padre mi portò per la prima volta alla mitica Pista Rossa all' Idroscalo di Milano per provare il primo go- kart . A tredici anni cominciai a "rompere le scatole" per il primo motorino che papà mi regalo a luglio del 1967 per il mio onomastico all' età di 14 anni. E non era un motorino ma una vera moto leggera. A 19 anni poi comprai la mia Moto Guzzi Superalce (ex Esercito) che ho ancora oggi . Ma questa è un' altra storia! 

Il Superalce!
D.: Quando sei al manubrio di una moto quali sono le sensazioni che provi? 
R.: Quando guidi una moto la cosa più bella è il senso di ..... assoluta libertà . Il vento sulla faccia (oggi meno per via del casco), il rumore del motore nelle orecchie e tu che sei padrone di te stesso e fai vibrare il tuo motore con l'acceleratore all'unisono coi battiti sempre più forti del tuo cuore. Credo sia molto simile all'ebbrezza che avevano i primi piloti di aereo "rapiti" dallo status di simbiosi con il proprio mezzo che ti rende un tutt'uno con lui. 

D.: Motocicletta 10 HP cantava Lucio Battisti in una sua famosa canzone. Quali sono le tue moto preferite? 
R.: Le mie moto preferite sono ovviamente .... le mie. Tutte moto d'epoca. Del Superalce ho già detto. Lo comprai per 120.000 lire nel 1972 da un Concessionario Guzzi (le ritiravano alle aste dell' Esercito che alienava i mezzi obsoleti). E' una moto del 1947 addirittura più vecchia di me (sono del 1953) ed è stata .... il grande amore della mia vita. Lei c'è sempre, di "compagne" di sesso femminile invece sono ..... al terzo tentativo! Mah forse la differenza è che la moto se non funziona la smonti, vedi quello che non funziona e la ripari. Con le donne purtroppo ...... non si può fare lo stesso! Quindi .....meglio cambiarle! 

D.: Qualcuno ha detto: "Non è vero che non si vive senza una moto, è vero invece che senza una moto non si può dire di aver vissuto" . Quando parli di moto, i tuoi occhi si illuminano di una luce particolare, quella della passione. Che cosa ha significato nella tua vita il rapporto con le tue moto? 
R.: Comprai il Superalce perché non potevo permettermi le Honda e le Kawasaki che andavano per la maggiore nei primi anni 70 e che i miei amici possedevano ma quando nel 2004 restaurai completamente la Guzzi mi dissi : ma adesso posso comprarmi la Kawasaki ! Naturalmente non quelle di oggi ma il mito dei primi anni settanta : la Mach III ovvero un tre cilindri 500 cc due tempi (proprio come i motorini) con 60 cavalli da 200 km/ora battezzata ai tempi la "bara volante" perché impenna ancor oggi in terza e (nei primi modelli) con freni ed un telaio "ridicolo" rispetto ad un motore che all' epoca aveva più cavalli delle moto inglesi usate dai piloti da corsa "privati". 
La mia è del 1974 ed è la prima con il colore verde che ancora oggi è il classico verde Kawasaki e con un freno a disco anteriore più che onesto ( forse per questo è arrivata fino ad oggi senza stamparsi su di un platano). 
Quando acceleri ed entra in coppia ti dà ancor oggi sensazioni uniche che le moto moderne neanche si sognano! 
Ho fatto in estate il giro della Corsica e ovunque mi fermavo c'era qualcuno, francese, inglese, tedesco, perfino australiani che mi chiedevano di fotografare la mia "fattrice di vedove" altro nome poco carino con cui gli americani avevano soprannominato la Kawasaki 500. 

Del tutto diversa la terza mia bene amata : si tratta di una Vespa 125 ETS del 1985 un modello poco conosciuto, versione sportiva della serie PK, poco apprezzata a suo tempo ma rivalutata ora perché prodotta in soli 6.000 esemplari che per una Vespa vuol dire ....niente! Anche questa è una bestiolina molto nervosa che arriva quasi a cento all'ora che sulle ruotine della Vespa .....è un bell'andare. 
L'ho avuta in regalo da mia cognata che la usava per scendere a Sori dal paesino sui monti circostanti della Liguria dove aveva un appartamento. Lasciato l'appartamento la Vespa non le serviva più . 
L'ultima delle mie bimbe è ancora una Kawasaki, una z650 dell' 82 quattro cilindri, sorella minore di quella 900 che aveva mandato in pensione i Kawasaki a due tempi "uccisi" dalle leggi anti inquinamento statunitensi e sostituite dai multi cilindrici a quattro tempi. E' stato il mio regalo per i miei 60 e la uso, oltre che per venire in ufficio nei mesi in cui un "vecchietto" come me può permetterselo, per fare dei giri turistici con la mia attuale compagna (che però preferisce il Superalce) e gli amici del Moto Club di Carate Brianza con cui ogni anno faccio anche un giro con sei o sette Superalce da 800 / 1.000 km con annesso articolo su Motociclismo d' Epoca. La 650 e' comoda con un bauletto esagerato ma non ha niente a che vedere con la 500 sua sorella, però è assolutamente la migliore per i lunghi spostamenti. 

D.: Che cosa significa per te oggi la moto? 
R.: Rispondere che cosa rappresenti la moto per me lo puoi capire leggendo quanto ho scritto qui sopra. È un rapporto continuo che si realizza non solo quando puoi utilizzare le tue moto ma anche come ora il tempo non permette di andare tranquillamente in giro senza rischiare che ti si ghiaccino le dita ed il naso per il freddo. Ed infatti la manutenzione dei mezzi dove la mettiamo? È un qualcosa di assolutamente "maniacale" forse proprio perché si tratta di "signore" di una certa età che richiedono mille attenzioni ma sulle quali ormai ci metti le mani sopra ad occhi chiusi al contrario delle moto moderne prigioniere della loro esasperata elettronica. Qui no, cacciavite e chiavi inglesi vanno a nozze con motori che hanno ancora degli stupendi carburatori! E cosa c'è di più "caldo" di un box con la stufetta elettrica che gira a manetta! E tu lì .... Con le tue moto!

Grazie Claudio.

martedì 10 dicembre 2013

Aspettando il 2014...

Ancora una manciata di giorni e poi anche il 2013 sarà consegnato alla storia.

Non che sarà ricordato come un anno strepitoso, questo 2013, almeno dagli italiani. La crisi economica non ha mollato la presa, anzi. La disoccupazione è aumentata, le aziende, piccole, medie e grandi fanno fatica a mantenere la competitività sui mercati, vessate da costi interni al nostro sistema Paese che ne impediscono la concorrenza con le altre aziende europee e mondiali. 

Politicamente, archiviato il governo dei tecnici che ha deluso la maggioranza degli italiani, il 2013 ci ha proposto un governo di larghe intese, di unità nazionale si sarebbe detto una volta, per affrontare uniti le grandi sfide che ci attendono. E poi l’uscita dalla scena politica di Berlusconi e l’ultimo atto del “Porcellum” che di fatto obbligherà finalmente il Parlamento, non delegittimato di diritto, ma sicuramente da un punto di vista politico, a por mano alla riforma della legge elettorale.

Eppure qualcosa di positivo questo 2013 lo lascerà nella politica italiana.

Primo: il movimento dei 5 stelle si è messo finalmente a nudo: entrando con numeri importanti nel Palazzo, ha rivelato tutta la sua debolezza e tutti i suoi limiti. Da forza che poteva essere propulsiva per un cambiamento reale della politica italiana, si è dimostrato essere ancora un movimento di persone politicamente immature, tradendo il desiderio di novità che aveva indotto gli italiani a votarlo. 

Secondo: l’uscita dalla scena politica di Berlusconi ha portato nel centro destra italiano uno stravolgimento di alleanze e la nascita di formazioni politiche che potrebbero portare nel 2014, in occasione delle elezioni politiche per il Parlamento europeo, ad un inedito e vasto fronte anti euro.

Proprio il tema dell’euro è, a nostro giudizio, il nodo fondamentale da affrontare e da studiare per avere le idee chiare sulle politiche da attuare nei prossimi anni per uscire dalla crisi, in Italia, ma anche nel resto d’Europa. Senza timori reverenziali verso nessuno. Certamente questa non è l’Europa che moltissimi italiani avevano in mente trenta, venti e anche solo dieci anni fa. E del resto la situazione politica non è fluida solo in Italia, se è vero che anche nella grande Germania, dove si è votato per il rinnovo del Bundestag il 22 settembre, ad oggi la Cancelliera Merkel, esponente del partito di maggioranza relativa, non è stata ancora in grado di formare un Governo. Sintomo che la situazione politica non è difficile solo in Italia e gli interessi in gioco sono molteplici e divergenti un po’ ovunque.

Una considerazione la possiamo svolgere sull’azione del Presidente Napolitano, costretto suo malgrado dall’incapacità del Parlamento di trovargli un successore, ad un secondo mandato presidenziale. Se da un lato ha cercato di colmare, con il suo agire, le deficienze attuali della classe politica, dall’altro con l’esperienza del Governo Monti prima e del Governo Letta poi, non ha convinto fino in fondo gli italiani sulle scelte effettuate. Ad uscirne ridimensionata è stata proprio la figura del Presidente della Repubblica e difficile sarà per Napolitano recuperare quella credibilità di cui godeva presso gli italiani ad inizio anno. 

E infine Matteo Renzi, classe 1975, il nuovo politico che avanza, il sindaco di Firenze che finalmente ha conquistato a suon di preferenze, la segreteria del Partito Democratico. Saprà mantenere le promesse fatte in campagna elettorale (quella interna al PD) senza spaccare il partito? Lo scopriremo nel corso del 2014. 

Per ora assistiamo ad un auspicato rinnovamento anagrafico di una parte della classe politica italiana: oltre a Renzi infatti anche la Lega Nord ha eletto il suo nuovo segretario, Matteo Salvini , classe 1973 e il Nuovo Centro Destra, che non ha aderito a Forza Italia, ha come suo leader Angelino Alfano, classe 1970. 

A questo punto speriamo che il 2014 sia veramente un anno di svolta per la politica italiana e che i nuovi attori siano all’altezza delle aspettative. Lo meritiamo noi, lo merita l’Italia.


Matteo Renzi



   

giovedì 5 dicembre 2013

A tu per tu con: Davide Morosi

Oggi a "Tu per tu" incontriamo l'amico Davide Morosi, 44 anni di origine milanese, ha conseguito la laurea in Economia Scienze Bancarie ed Assicurative. La prima esperienza professionale è presso Assicurazioni Generali spa presso la quale lavora fino al 1998. Prosegue la sua attività professionale in altre importanti realtà del settore, italiane ed internazionali, dove ricopre ruoli crescenti in ambito commerciale-marketing e nella formazione delle reti di vendita. Nel 2004 ha pubblicato una breve guida dal titolo "Conoscere le Assicurazioni", insieme alla rivista Espansione. Appassionato della materia previdenziale, da circa un anno svolge attività di formazione manageriale con particolare focus sull'evoluzione del sistema previdenziale italiano e sull'offerta di soluzioni di secondo e terzo pilastro (previdenza complementare).


D.: Non più tardi di quindici giorni fa il Presidente dell'INPS Mastrapasqua ha lanciato un allarme sulla stabilità futura dei conti dell'INPS, subito ridimensionato a "problema tecnico" da parte del Ministro dell'Economia Saccomanni. Davide: come stanno le cose oggi in Italia. Gli italiani possono dormire sonni tranquilli?
R.: Cosa dire, è di Maggio 2013 il primo vero “alert” di Mastrapasqua… Una sorta di “messaggi in codice” alla politica per segnalare una situazione non facile relativa alla gestione del super ente di previdenza pubblica (INPS) chiamato, va ricordato, a garantire prestazioni non solo pensionistiche ma anche altre, più di natura assistenziale (ammortizzatori sociali, maternità, ecc.) con oneri non trascurabili. In pratica, qualche mese fa nelle casse previdenziali pubbliche iniziava a scarseggiare la liquidità. L'allarme lanciato da Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, era determinato dal fatto che "il patrimonio netto" rimasto "era sufficiente a sostenere una perdita per non oltre tre esercizi", cioè fino al 2015. Pensioni assicurate, quindi, fino e non oltre il 2015. Tutto ciò in primis a causa della fusione Inpdap-Inps, ovvero l'ente previdenziale dei dipendenti pubblici con la previdenza privata. Una fusione voluta dalla manovra Salva-Italia del 2011 (Governo Monti-Fornero) che non ha cancellato il buco di 23 miliardi di euro, equivalente al debito che lo Stato ha nei confronti dei contributi previdenziali per i suoi dipendenti. Buco che ora grava nelle casse del SuperInps, con il rischio di non riuscir più a pagare le pensioni per i prossimi anni se non verranno fatti interventi a carattere urgente per risanare i conti. Si deve tener conto, inoltre, della perdita patrimoniale dell'Inps, di 10 miliardi, che ha fatto scendere le riserve dell'Inps da 41 miliardi nel 2011 a 15 miliardi nel 2012, quasi il 64% in meno in due anni. Una situazione preoccupante per gli italiani, è la domanda? Mastrapasqua ha recentemente affermato di no, ma alcuni fattori non fanno stare al 100% sereni: la crisi economica del Paese non è ancora terminata e lo sviluppo non riparte (anzi, molte imprese chiudono anche nel 2013), l'occupazione è in calo (il peggior dato a livello generale dal 1977 e drammatica quella giovanile, 18-24 anni, pari ad oltre 41%). Tutto ciò si ripercuote sulla contribuzione che si contrae mentre aumenterà, a breve, il numero di chi matura il diritto alla pensione… Un problema che si può, ovviamente, risolvere senza lasciare pensionati senza assegno mensile. Ma come? Bè, senza dirlo apertamente, attraverso trasferimenti all’INPS dallo Stato centrale che significa, in parole semplici, fiscalità generale: tasse!

D.:Ormai è chiaro a tutti che, gli assegni pubblici (quelli erogati dall'INPS) che riceveremo quando andremo in pensione non copriranno più l'80% dell'ultimo stipendio percepito, ma anzi la copertura si avvicinerà al 50% se non meno. Verrebbe quindi spontaneo pensare ad integrare questo gap con forme alternative di risparmio che, una volta giunto il tempo della pensione, integri quest'ultima. Gli italiani hanno percepito secondo te l'importanza di questo tema?
R.: La situazione descritta è quella corretta. I tassi di sostituzioni attesi (lavoro/pensione) a seguito della riforma Fornero, prevedono per chi lavora e versa contributi all’ente pubblico di previdenza per 40 anni un assegnato molto vicino al 50% dell’ultimo reddito. Bè, va ricordato che oggi e in futuro sarà difficile, rispetto a quanto succedeva in passato, a causa della flessibilità e della precarietà del lavoro, lavorare per 40 anni continuativi senza “periodi” inoccupati. Con risultati negativi ed intuibili in termini pensionistici. Da queste considerazioni nasce pertanto la necessità di approfondire l’argomento, aumentare la consapevolezza della situazione e capire se esistono strumenti adeguati in grado di dare risposte concrete in termini di pensione. La situazione attuale è chiara ma poco promossa nel nostro Paese che risulta essere, in un confronto con i Paesi OCSE, uno degli ultimi nel rapporto tra volumi investiti nella previdenza complementare e PIL. La previdenza complementare, infatti, è stata avviata a metà degli anni ’90 e poi migliorata all’inizio del 2005 con interventi sulla fiscalità e sulla flessibilità ma oggi, nel 2013, dopo quasi 18 anni dalla sua introduzione, è ancora poco utilizzata dai lavoratori italiani perché poco sensibilizzati sull’argomento e molti in possesso di conoscenze molto limite sull’argomento. Di fatto, sono presenti sul mercato interessantissime soluzioni che mirano ad integrare la pensioni pubblica. Esse offrono importanti vantaggi fiscali nelle tre fasi: versamento, accumulo e liquidazione a scadenza. In estrema sintesi, ricordiamo che nella prima fase è prevista la possibilità di dedurre dal reddito personale i versamenti a forme di previdenza complementare (Es: Fondi Pensione Aperti e P.I.P. – Piani individuali Pensionistici) con percentuali che variano dal 23% al 43% annuo fino a 5.164 euro annue come importo massimo versato. Nella fase di accumulo, invece, è stata riservata a queste forme una tassazione molto favorevole sugli interessi annui maturati (capital gain) pari all’11%, facendo entrare queste soluzioni previdenziali tra le migliori sul mercato, in confronto con altri strumenti di risparmio finalizzato. Infine, alla scadenza, è prevista una tassazione agevolata, pari al 15% della somma di tutti i versamenti effettuati fino a 15 anni di permanenza nel fondo pensione con un abbattimento di questa aliquota dello 0,30% annuo per ogni anno di permanenza nel fondo oltre il quindicesimo; ad esempio, un piano previdenziale di questo tipo, dopo 35 anni di versamenti, beneficerà di una tassazione pari al 9% che è decisamente favorevole se si confronta con quanto dedotto nel corso degli anni. 

D.: I più penalizzati in questo periodo di crisi economica sono i giovani che faticano a trovare un lavoro "stabile", ancorché precario, che permetta loro di pensare al futuro. Questa generazione come dovrebbe affrontare, secondo te, il tema previdenziale e pensionistico se non può contare su entrate certe e stabili?
R.: Abbiamo già fatto un accenno ai giovani, i quali, di fatto, sono oggi le persone più penalizzate in termini previdenziali. Le ragioni le ho già indicate nella precedente risposta. Mi limito pertanto a dire che se un genitore o un nonno con un discreto stipendio o una buona pensione (oppure con patrimonio accumulato negli anni) decidesse oggi di “far avviare” una forma di previdenza previdenziali a favore di un figlio o di un nipote in precarie condizioni lavorati o in fase di ricerca di un lavoro, sicuramente farebbe un’azione solo utile, con vantaggi sia di natura fiscale sia di lungo periodo; che come si può immaginare è il migliore ed unico vero alleato nelle scelte di pianificazione previdenziale (più tempo ho a disposizione meglio è!).

D.: Pensare oggi al proprio domani, al proprio futuro pensionistico, magari lontano ancora decenni, può sembrare inutile. Invece è proprio all'inizio dell’ attività lavorativa che si dovrebbe impostare la costruzione di una rendita integrativa personale da affiancare alla pensione pubblica. E' un cambiamento culturale, di mentalità, che gli italiani al momento non hanno ancora acquisito, mentre in altri Paesi europei è diventato lo standard. In questo senso, sono proprio i giovani quelli più bisognosi di integrare da subito la pensione pubblica. Tu cosa consiglieresti ad un giovane di venticinque anni che si affaccia al mondo del lavoro oggi?
R.: Nel nostro Paese, purtroppo, non c’è ancora una cultura previdenziale diffusa. Non ricordo molti corsi scolastici (nelle scuole superiori o all’Università) che consentano di costruirsi nel tempo una conoscenza su questa importante tematica e che aiuti gli individui, soprattutto quelli giovani, a formare una capacità critica per valutare la situazione e poter prendere decisioni per il loro “domani”, molto lontano, come la cosiddetta fase di quiescenza. All’estero questo processo è in corso da decenni, favorito certamente da un livello di Welfare State inferiore al nostro, il quale, tuttavia, oggi sembra aver raggiunto la cima e appare ormai evidente che inizia a scendere e a ridursi. Dare consigli su queste tematiche a chi ha venticinque anni è abbastanza arduo visto che di norma chi si affaccia al lavoro a questa età non ha certo una condizione economica brillante nei primi anni di lavoro. Quello che però mi sento di poter dire ad un giovane è quello di iniziare ad informarsi il prima possibile, attraverso persone competenti, su questa materia. Rimandare nel futuro una scelta, in termini previdenziale significa “spostare semplicemente nel tempo un problema personale” (di 5, 10 o 15 anni) che dopo anni si riproporrà inesorabile con “dimensioni” sempre più elevate; a certe età poi, esempio 50-55 anni, inizia a diventare di difficile risoluzione una scelta previdenziale visti gli impegni nel frattempo assunti sul piano personale (famiglia, figli, indebitamenti ed impegni finanziari, ecc.). Chiedere, informarsi e capire perché un venticinquenne all’estero conosce questa materia più di un italiano e decidere quando poter iniziare a fare scelte di previdenza integrativa (o complementare) è già una grande conquista per un venticinquenne. Molti giovani, approfondendo questi argomenti con attenzione, alla prima occupazione potrebbero da subito destinare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto, valore riconosciuto per legge) a forme di previdenza integrativa e sfruttare così i tanti anni a disposizione prima della pensione senza aggiungere, nei primi anni di lavoro, altre quote viste le modeste remunerazioni.

D.: Ultima domanda: quando si parla di forme pensionistiche private, molti si pongono questo quesito: chi mi assicura che tra 40/50 anni la Compagnia di assicurazioni privata cui ho versato ogni mese una quota della mia retribuzione esisterà ancora? In questi anni è stato fatto qualcosa nel mondo delle Assicurazioni per proteggere in totale sicurezza i contributi versati dai clienti?
R.: Non è possibile prevedere il futuro in generale e tanto meno quello che si verificherà tra 40/50 anni al comparto assicurativo. Quello che però mi sento di evidenziare è che le Compagnie di Assicurazioni private sono obbligate, oggi, ad operare secondo criteri molto più stringenti del passato. Sul piano della trasparenza dell’offerta e della confrontabilità dei prodotto, negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte importanti novità. Non tutti possono, infatti, vendere polizze o piani di previdenza integrativa ma solo “soggetti” cosiddetti abilitati e iscritti in un apposito Registro (Registro intermediari IVASS) che impone sia precisi requisiti personali, indispensabili per poter iniziare questa attività, sia professionali con l’obbligo della formazione iniziale (di 60 ore) e di quella annuale di aggiornamento (di 30 ore). Un mercato che sta, quindi, lentamente “maturando” a favore del consumatore finale. I clienti oggi possono comprendere sempre meglio quello che decidono di sottoscrivere e, parlando di soluzioni di previdenza integrativa, possono anche interrompere la scelta inziale per trasferire la posizione presso un altro assicuratore. Tutto ciò, ovviamente, senza alcun onere, generando così una concorrenza di un livello professionale sempre più elevato. Non sono in grado di dire cosa accadrà ai risparmi accantonati tra 40/50 anni ma posso affermare che ogni cliente di queste forme previdenziali può controllare ogni anno la sua situazione e, se non pienamente soddisfatto, decidere di cambiare Compagnia. Un ottimo modo, quindi, per tenere sempre sotto controllo le proprie scelte e mettere in concorrenza tra loro, annualmente, i diversi operatori di mercato. In fondo l'INPS richiede oltre 40 anni di impegni rigorosi (accantonamenti obbligatori) senza offrire alcuna "flessibilità" durante il percorso.

Grazie Davide.