Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

lunedì 28 ottobre 2013

A tu per tu con: Maurizio Gemelli

Quest'oggi incontriamo Maurizio Gemelli, Segretario Territoriale FIBA/CISL di Milano Metropoli e Responsabile FIBA/CISL nel Gruppo Deutsche Bank. Con lui vogliamo approfondire le ragioni del prossimo sciopero nazionale dei bancari, indetto da tutte le Organizzazioni Sindacali per il prossimo 31 ottobre 2013.

D.: Maurizio, dopo anni di pax sindacale tra banchieri e bancari, il prossimo 31 ottobre è stato indetto da tutte le sigle sindacali dei bancari uno sciopero generale. Ci puoi brevemente spiegare i motivi della rottura di questa pax e le ragioni dello sciopero?
R.: Le ragioni dello sciopero generale sono da ricercare tutte nella decisione di ABI di disdettare il Contratto Nazionale di categoria (addirittura dieci mesi prima della sua scadenza) e, ancor più grave, di non riconoscere più l’ultrattività del vigente Contratto fino al suo rinnovo. In pratica, se passasse l’impostazione di ABI, la categoria al 1 luglio 2014 rischierebbe di trovarsi senza il suo Contratto Collettivo. Prendendo spunto dalla tua definizione di “pax”, possiamo dire che ABI ha deciso di buttare all’aria un periodo di concertazione durato quasi un quindicennio.

D.: Ancora oggi è opinione abbastanza corrente che la categoria dei bancari goda di privilegi "esagerati" e "non totalmente meritati" rispetto alla situazione attuale del mercato del lavoro. La stessa ABI lamenta negli incontri con le sigle sindacali che il personale delle banche è poco incline al cambiamento, culturalmente inadeguato ad affrontare le sfide del futuro perché troppo anziano. Che opinione ha il sindacato in merito?
R.: Evidentemente la nostra opinione è diametralmente opposta. E non certo per spirito di parte ma per una evidente somma di considerazioni. Con le riorganizzazioni dell’ultimo quindicennio la categoria si è profondamente rinnovata con l’ingresso di colleghi giovani, decisamente aperti alle novità e pronti a mettersi in gioco. E posso senz’altro confermare che questa capacità di essere pronti al cambiamento e al nuovo modo di fare banca è comune anche ai colleghi meno giovani che hanno dimostrato e dimostrano tutti i giorni di sapersi confrontare con i cambiamenti. Semmai il problema anagrafico mi pare sussista nei vertici delle Banche che contano esponenti non certo giovani…anzi. Quanto al fatto che i bancari siano una categoria di privilegiati, beh…evidentemente si tratta di una convinzione basata su una analisi vecchia almeno venti anni. Dal 1991 la nostra categoria è soggetta all’applicazione della Legge sui licenziamenti collettivi che fanno apparire decisamente “giurassici” i tempi del cosiddetto “posto in banca sicuro come in cassaforte”. E anche le cifre che appaiono sui media sulle retribuzioni medie del settore appaiono quantomeno “omissive” sul fatto che le somme che si leggono includono le retribuzioni degli altri Dirigenti che, come noto, percepiscono emolumenti stratosferici.

Antonio Patuelli, Presidente ABI
D.: Nonostante la notizia della disdetta del contratto di categoria da parte dell'ABI sia stata data da tutti gli organi di informazione, si ha l'impressione che pochi abbiano ancora colto come la soluzione di questa vertenza avrà ripercussioni vitali sul futuro che la nostra economia, la nostra crescita del PIL potrà avere o non avere nei prossimi mesi. Perchè è importante comprendere che dalla soluzione che daremo a questa questione, dipenderà in parte il benessere futuro dei lavoratori italiani, delle famiglie italiane? 
R.: Sono d’accordo su quanto dici in merito al fatto che non si colga a sufficienza l’impatto di questa situazione. Mi pare che non venga adeguatamente messo in rilievo (parlo dei media) il pesante impatto che le scelte delle Banche e, in questo caso, di ABI scaricano sul Paese. Basti guardare quanto incidono sulla nostra economia i mancati aiuti agli investimenti produttivi e alle aziende da parte del sistema creditizio che, anche dopo l’inizio della crisi, continua a percorrere un modello che privilegia l’aspetto squisitamente finanziario (e a volte speculativo) a discapito di un modello “retail” che, soprattutto in Italia, rappresenta la base per qualsiasi ipotesi di sviluppo.

D.: In questi anni di crisi economica le banche sono state messe sotto accusa da più parti. Alcuni pensano che sia stato troppo oneroso per la collettività salvare le banche in crisi e che si doveva lasciar fare al mercato. Altri invece ritengono che il sistema economico non avrebbe retto al fallimento delle banche e che queste andavano salvate ad ogni costo. Come giudica il sindacato quello che è stato fatto in questi anni rispetto al salvataggio delle banche e come si immagina la banca tra dieci / quindici anni?
R.: L’intervento pubblico per il salvataggio delle banche (intervento registrato pressoché in tutto il mondo) credo sia stato certamente oneroso ma in un certo senso inevitabile. La profonda connessione che lega il sistema creditizio al tessuto produttivo è innegabile e pertanto sarebbe stato disastroso “girare la faccia dall’altra parte”. Detto questo, come Sindacato siamo profondamente contrari ad aiuti che rischiano di perpetuare un modo di fare banca che non sostiene il Paese e il suo sviluppo. Per questo noi sosteniamo un progetto che rimetta al centro il ruolo propulsivo delle Banche come elemento di sviluppo economico del Paese e del territorio. Noi immaginiamo un modello di Banca che coniughi l’attenzione all’innovazione e alle tecnologie “on line” con un confermato radicamento sul territorio a sostegno dell’economia e dello sviluppo. Non si può immaginare una banca che non faccia quello che è per definizione il “suo mestiere” e cioè raccogliere risparmio ed erogare credito. 
Il Presidente BCE Mario Draghi interviene all'Assemblea ABI

D.: Un'ultima battuta finale sulla disdetta del contratto da parte dell'ABI: in epoca di larghe intese (politiche - Governo Letta insegna) come giudichi questa linea di rottura portata avanti dai banchieri che interrompe una lunga serie di anni dove la concertazione sindacato - ABI aveva prodotto concreti risultati per esempio nella gestione degli esuberi senza gravare sulla collettività (leggi cassa integrazione)?
R.: Come dicevo prima, ABI ha scelto di gettare alle ortiche una esperienza di confronto, anche duro, ma sempre ispirato alla ricerca di soluzioni condivise. E questo vale ancora di più dal punto di vista delle garanzie occupazionali e della gestione degli eventuali esuberi. Il nostro Fondo di Solidarietà è stato in questo senso “centrale” nel governo delle tensioni occupazionali.

D.: Sei fiducioso per il futuro?
R.: Non posso non esserlo. Anche in questo momento di crisi e di difficoltà non vedo altra soluzione se non quella di andare tutti nella stessa direzione per uscire da questa situazione tutti rafforzati. Le banche devono riprendere a crescere e a fare credito, il Paese deve finalmente imboccare la strada della ripresa e i lavoratori devono essere parte centrale di questo progetto. Il Sindacato ci crede e la sfida che avanziamo alle banche è di crederci insieme, senza strappi o scelte di contrapposizione. Lo sciopero del 31 sta a significare proprio questo: la risposta conflittuale a chi questo conflitto lo vuole (Abi). Ma dopo il 31 ci aspettiamo che le banche cambino registro!

Grazie Maurizio.



venerdì 18 ottobre 2013

Rush

Rush, USA - Germania, 2013, Regia di Ron Howard


Recensione di Alberto Bordin


Ogni film incarna un’emozione. La digitalizza, nei suoi colori, nei suoi suoni, e nei suoi tempi. Non nelle sue parole, sia chiaro, perché il dialogo è la freccia di cui si arma l’arco del teatro ma non quello del cinema. Ed è per questo che forse i dialoghi artificiosi e le espressioni truffaldine di Rush non danno troppa noia, perché la vera sostanza di questo film sta da un’altra parte. Vibra del rombo dei motori, si anima del montaggio frenetico, si riempie dei colori saturi ma sempre pittoreschi, e s’infiamma di una colonna sonora dai tratti epici; è l’adrenalina l’emozione che anima la nuova pellicola di Ron Howard.

Il thrilling in sala, quando il film è la trasposizione di una storia vera, è una sensazione da scoprire con ammirazione: significa che lo sceneggiatore e il regista hanno saputo accattivarti, rimanendo tuttavia fedeli nella messa in scena di determinati avvenimenti; ma quando la storia e i suoi accadimenti principali sono pure noti al pubblico che quindi non si aspetta più sorprese, allora va riconosciuto un vero genio nei narratori che hanno saputo sorprenderti. Perché quella composizione sottile di colori, suoni e tempi è stata in grado di farti sperare quello che era già certo e temere quello che era risaputo. È quella tensione che film come “Operazione Valchiria” hanno saputo solo sfiorare, quando per un attimo nelle sale abbiamo incrociato le dita domandandoci se Hitler fosse veramente morto. E così, la battaglia senza esclusione di colpi tra il pilota inglese James Hunt e l’austriaco Niki Lauda, già nota ai più e messa nuovamente a nudo fin nel trailer per gli spettatori ignari, non si risparmia in nessuna ovvietà, raccontandoci invece con il candore dell’inedito l’avventura che tutti avremmo voluto conoscere a nuovo.

E tanta è la sincerità drammatica – forse non fino in fondo onesta ma non per questo falsa –: nell’autolesionismo di Hunt e il suo rifiuto per una vita che non sia portata al limite, nella caparbietà grottesca di Lauda la cui presunzione spegne la fiamma di qualunque empatia nei suoi riguardi, e poi nell’amore con le donne e nel loro disprezzo, e le menomazioni fisiche e le ancor più brutali cure ospedaliere, e gli insulti messi al tavolo con i giornalisti, e una strana lealtà che nasce pure nella violenza …

Forse manca un finale degno di chiamarsi tale, con l’emozione che va scemando da oltre dieci minuti, in un’ultima corsa in cui sembra giocarsi tutto e niente. Ma rimane innegabile la forza di quell’adrenalina che scorre nelle vene reclamando il ruolo di vera protagonista e sostanza della pellicola perché finalmente al suo posto, in un film che finalmente la merita rendendola meritevole: del nostro entusiasmo e della nostra ingordigia, meritevole di essere assaporata e gustata e di spegnersi senza chiedere altro, senza dover rimandare ad altro e lasciarci a bocca asciutta con un “e dunque?” sulle labbra. Perché è lei la signora e sovrana che ci offre Howard, la musa divina cui aspiriamo e che cantiamo, è lei che abbiamo visto sulle piste bagnate, nelle corse frenetiche, e negli occhi terrorizzati dalla vittoria di due campioni di Formula 1.


mercoledì 16 ottobre 2013

Lampedusa and the power of TV

Translation of the post of 13 October



In 1976 the great Sidney Lumet gives us one of his masterpieces: Network, a film about the power of mass media and television in particular. In 1977 to win four Academy Awards, Golden Globe and other prestigious awards. Unfortunately, the Italian television, taken as a whole, public and private, does not like to transmit frequently, and rightly so, given that the dock is she, television. I suggest you see him, you will find the prophetic character of the film that seems to tell a contemporary story and undated 1976.

Why I came up with the movie? Simple, reflecting on the case Lampedusa.

What is happening in Lampedusa in recent weeks , so well documented equipped teams of journalists and commentators , is done for twenty years. You read that right : twenty years. And ' the nineties that poor bastards leave their homes and their loved ones , their family ties and try their luck in the countries most " rich" who can offer , especially to young people, a better future. From what these young people are fleeing ? From Poverty , concrete, real , physical , but also the poverty of expectations , opportunities, choices. Fleeing war , the brutality of the war that in some countries, see Eritrea and Somalia , for example , lasts for twenty years. They flee from slavery physical and moral that in some countries prevents the normal course of a life that can be defined civil . They run from national governments for decades , ever since they got the end of colonialism , have been replaced occupants to European leaders , continuing to harass the people as in the past . They run towards the new world, attractive, appealing that satellite television shows them while they are sitting in a dusty bar for a beer because there is not much else to do in their city.

They face thousands of miles by any means of transport to reach the shores of the Mare Nostrum, which is though to everyone, not just Nostrum, and here, finding no other means, I repeat, not finding ferries or cruise ships, they rely on men without scruples that take advantage of their desire to change their lives.

For many of these, the most unfortunate (but I'm not sure), life will end in the open sea, for others, the lucky (but I'm not sure) on the roadside of an Italian port. And here I stop.

Is the immense pain they cause in every heart these journeys of hope. And 'perhaps a crime to be born in Somalia, Eritrea, Syria? What sins must serve a child from birth Egyptian, a Libyan boy or baby Sudan?

But having said that, these trips take place for over twenty years, because television is dealing only at certain times, creating emotional surges, and then, after the storm, everything goes back into oblivion? Of course a one year old child drowned at sea along with his mom makes us sick, especially if they make us see on TV at dinner time. But how many children die in Africa for measles? One child every minute (for information, visit: http://www.measlesrubellainitiative.org/). Moreover, many children in Africa die before the age of one year of life for malnutrition? Million, but their young faces there are shown on television at lunchtime, because it would disturb our tables.

Why television does not tell us that wars from which escape those poor bastards are fought with weapons manufactured and sold in large part by European industries and Western ? But there is an embargo ! European governments would respond immediately , our weapons do not end up in the hands of the rebels !

Hypocrisy, is simulation of virtue to deceive . This is the word that I have heard uttered by politicians these days, left-wing politicians , but also to the right. In fact it seems to me the right word. But the first concerns the hypocrisy of television pundits , political figures , always the same , that disdain for what is happening and that they do nothing to explain why these things happen and what should be done because it does not happen again : for example, the peace Eritrea and Somalia, peace in Syria and cooperate with all the governments of North Africa to implement economic development plans in support of those nations .

Only in this way will remain young Africans to live in their country of origin because they will have the opportunity to build their lives in peace , as it would be fair to happen for every child born in every corner of the earth.

And ' the time of the child Jesus that the poor bastards are forced to flee because of the lust for power that dwells in the hearts of men. When the television will show us the only way to save the island of Lampedusa and the hopes of thousands of young Africans?

domenica 13 ottobre 2013

Lampedusa e il potere della TV

Nel 1976 il grande Sidney Lumet ci regala uno dei suoi capolavori: Quinto potere, un film sul potere dei mass media e della televisione in particolare. Nel 1977 vincerà quattro Oscar, il Golden Globe e altri prestigiosi premi. Purtroppo la televisione italiana, presa nel suo insieme, pubblica e privata, non ama trasmetterlo frequentemente, e a ragione, visto che sul banco degli imputati c’è proprio lei, la televisione. Vi suggerisco di rivederlo, vi accorgerete del carattere profetico della pellicola che sembra raccontare una storia contemporanea e non datata 1976.

Perché mi è venuto in mente il film? Semplice, riflettendo sul caso Lampedusa.

Quello che sta accadendo in queste settimane a Lampedusa, così ben documentato da squadre attrezzate di giornalisti e commentatori, avviene da venti anni. Avete letto bene: venti anni. E’ dagli anni novanta che poveri cristi lasciano le proprie case e i propri affetti, i propri legami parentali e tentano la sorte in Paesi più “ricchi” che possono offrire, soprattutto ai giovani, un futuro migliore. Da cosa fuggono questi giovani? Dalla povertà, concreta, reale, fisica, ma anche dalla povertà di aspettative, di opportunità, di scelte. Fuggono dalla guerra, dalla brutalità della guerra che in alcuni Paesi, vedi Eritrea e Somalia per esempio, dura da venti anni. Fuggono dalla schiavitù fisica e morale che in alcuni Paesi impedisce il normale svolgersi di una vita che si possa definire civile. Fuggono da Governi nazionali che per decenni, da quando hanno ottenuto la fine del Colonialismo, si sono sostituiti ai governanti europei occupanti, continuando a vessare il popolo come accadeva in passato. Corrono verso il mondo nuovo, attraente, accattivante che la televisione satellitare mostra loro, mentre sono seduti in un bar polveroso a bere una birra perché non c’è molto altro da fare nella loro città. 

Affrontano migliaia di chilometri con ogni mezzo di locomozione per arrivare sulle rive del Mare Nostrum, che è però di tutti, non solo Nostrum, e qui, non trovando altri mezzi, ripeto, non trovando traghetti o navi da crociera, si affidano a uomini senza scrupoli che sfruttano la loro voglia di cambiare vita. 

Per molti di questi, i più sfortunati (ma non ne sono sicuro), la vita terminerà in mare aperto, per altri, i più fortunati (ma non ne sono sicuro) sulla banchina di un porto italiano. E qui mi fermo.

Immenso è il dolore che provocano in ogni cuore questi viaggi della speranza. E’ forse un delitto essere nati in Somalia, in Eritrea, in Siria? Quali colpe deve scontare dalla nascita un bambino egiziano, un ragazzo libico o un neonato sudanese? 

Ma detto ciò, questi viaggi avvengono da oltre venti anni, perché la televisione se ne occupa solo in determinati momenti, creando ondate emotive, e poi, passata la tempesta, tutto torna nel dimenticatoio? Certo che un bambino di un anno annegato in mare aperto insieme alla sua mamma ci fa star male, soprattutto se ce lo fanno vedere in TV all’ora di cena. Ma quanti bambini muoiono in Africa per il morbillo? Un bambino ogni minuto (per informazioni consultate il sito: http://www.measlesrubellainitiative.org/) . Di più, quanti bambini muoiono in Africa prima di aver compiuto un anno di vita per la malnutrizione? Milioni, ma i loro visini non ci vengono mostrati in televisione all’ora di pranzo, perché ciò disturberebbe le nostre tavole. 

Perché la televisione non ci spiega che le guerre da cui scappano questi poveri cristi sono combattute con armi prodotte e vendute in gran parte da industrie europee ed occidentali? Ma c’è l’embargo! risponderebbero subito i Governi europei, le nostre armi non finiscono in mano ai ribelli! 

Ipocrisia, cioè simulazione di virtù allo scopo di ingannare. Questa è la parola che ho più sentito pronunciare dai politici in questi giorni, politici di sinistra, ma anche di destra. In effetti mi sembra la parola giusta. Ma la prima ipocrisia riguarda i soloni della televisione, i personaggi politici, sempre gli stessi, che si sdegnano per quanto sta accadendo e che non fanno nulla per spiegare perché queste cose accadono e cosa bisognerebbe fare perché non accadano più: per esempio la pace in Eritrea e Somalia, la pace in Siria e cooperare con tutti i Governi del Nord Africa per mettere in atto piani di sviluppo economico a sostegno di quelle Nazioni. 

Solo così i giovani africani resteranno a vivere nel loro Paese di origine perché avranno l’opportunità di costruirsi la propria vita in santa pace, come sarebbe giusto che avvenisse per ogni bambino nato in ogni angolo della terra. 

E’ dai tempi del bambino Gesù che i poveri cristi sono costretti a scappare a causa della sete di potere che alberga nel cuore degli uomini. Quando la televisione ci mostrerà l’unica via per salvare l’isola di Lampedusa e le speranze di migliaia di giovani africani?



venerdì 4 ottobre 2013

The last seven days

Translation of the post of 3 October


It's not 'easy to describe what happened in the Italian political scene for the past seven days. It is not easy to explain to a foreigner what he is capable politician Italian.

The Government of Enrico Letta, for five months, that is, from its inception, seen by all political analysts in constant danger of implosion, has gone from a death foretold a sudden and unexpected resurrection.

Silvio Berlusconi's party that he founded, controlled and directed for twenty years Forza Italy, former People of Freedom, the former Forza Italy, was split in half on a decision taken by its charismatic leader: never happened!

Political forces, for five months in opposition, they were ready to vote confidence in the government Letta and then at the last moment are displaced by the change of line Berlusconi and parliamentarians of the Republic who resigned his resignation from elected office in the hands of their Head group (never happened).

Ministers of the Republic who, at the request of its political leader, resign resign without any political motivation and the next day they did state that only a sense of duty towards the charismatic head of the party, but without personal conviction. Never happened!

All this has happened under the eyes of the past seven days, while the real country continued its run on the siding where it was stuck for years now. The real problem is figuring out how much it is along this track before the locomotive is touching the buffers.

He's right this time Beppe Grillo, when he says that the real sick today is the Italian people bearing the unbearable by a political class that has been elected to solve people's problems and not to solve the problems of a single person, or a political faction or political idea of ​​the sick, which looks to the special interest and the Common Good.

We can not relay a Blind faith in politics and do not believe that it derives from the Salvation for man, would not even be correct to have these expectations. We expect, however, that politicians make policy taking up our gaze towards the sky, and not looking down, facing your belly button.

We live in an era, if you will, for us advantageous for the opportunity given to us to start from scratch , think back to new life styles , new attitudes shared moral , new pacts between citizens to build a civilized life suited to our new world / way of being in a society that is no longer the output from the Second world War.

Vaclav Havel , in his book, The Power of the Powerless , written in 1978 , describes the situation so well that he was living his people in his homeland : " the authority of the heads should flow from their personality put to the test in their environment, and not by their hierarchical position , they should have a great personal credit on which to base their authority. From here the only way out of the classic impotence of traditional democratic organizations , which often appear to be based more on mutual distrust on trust, more sull'irresponsabilità on collective responsibility ... "

Let us hope that this short circuit of reason and politics, we have witnessed in recent days, something new is born, the body takes the idea that it might be worth groped to reform our democratic institutions such that, for better or for worse, are not the only bulwark to a drift moral and civil that would lead straight to the end of the siding.

Expect that new leaders will come forward and new models of organization of civil life there are proposed!

giovedì 3 ottobre 2013

Gli ultimi sette giorni

Non e' semplice descrivere quello che è successo nel panorama politico italiano negli ultimi sette giorni. Non è facile spiegare ad uno straniero di cosa è capace il politico italiano.

Il Governo di Enrico Letta, da cinque mesi, cioè dalla sua nascita, visto da tutti gli analisti politici in costante pericolo di implosione, è passato da una morte annunciata ad una resurrezione imprevista e improvvisa.

Il partito che Silvio Berlusconi ha fondato, controllato e diretto per venti anni, Forza Italia, ex Popolo della Libertà, ex Forza Italia, si è spaccato a metà su una decisione presa dal suo leader carismatico: mai successo!

Forze politiche, da cinque mesi all’opposizione, erano pronte a votare la fiducia al Governo Letta e poi all’ultimo momento vengono spiazzate dal cambiamento di linea di Berlusconi e parlamentari della Repubblica che rassegnano le proprie dimissioni dalla carica elettiva nelle mani del proprio Capo Gruppo (mai successo).

Ministri della Repubblica che, su richiesta del proprio leader politico, rassegnano le dimissioni senza alcuna motivazione politica e il giorno dopo dichiarano che l’hanno fatto solo per senso del dovere nei confronti del Capo carismatico del partito, ma senza convinzione personale. Mai successo!

Tutto questo ci è capitato sotto gli occhi in questi ultimi sette giorni, mentre il Paese reale proseguiva la sua corsa sul binario morto in cui si è infilato ormai da anni. Il vero problema è capire quanto ancora è lungo questo binario prima che la locomotiva arrivi a toccare i respingenti.

Ha ragione questa volta Beppe Grillo, quando dice che il vero malato oggi è il popolo italiano che sopporta l’insopportabile da una classe politica che è stata eletta per risolvere i problemi della gente e non per risolvere i problemi di una persona sola, o di una fazione politica o di un’idea della politica malata, che guarda all’interesse particolare e non al Bene Comune. 

Noi non riponiamo nella politica una Fede cieca e non crediamo che da essa derivi la Salvezza per l’uomo, non sarebbe neanche corretto avere tali aspettative. Noi ci aspettiamo però dai politici che facciano politica tenendo alto lo sguardo, verso il cielo, e non guardando verso il basso, rivolti verso il proprio ombelico.

Viviamo in un’epoca, se vogliamo, per noi vantaggiosa, per la possibilità che ci è data di ricominciare da zero, ripensare a nuovi stili di vita, nuovi atteggiamenti morali condivisi, nuovi patti tra cittadini per costruire un vivere civile adatto al nostro nuovo mondo / modo di essere in una società che non è più quella uscita dalla Seconda Guerra mondiale.

Vaclav Havel, nel suo libro Il Potere dei senza potere, scritto nel 1978, descrive così bene la situazione che stava vivendo il suo popolo nella sua terra: “l’autorità dei capi dovrebbe scaturire dalla loro personalità messa alla prova nel loro ambiente, e non dalla loro posizione gerarchica; essi dovrebbero avere un grande credito personale sul quale fondare la loro autorità. Solo da qui parte la via per uscire dalla classica impotenza delle organizzazioni democratiche tradizionali che molte volte sembrano fondate più sulla reciproca sfiducia che sulla fiducia, più sull’irresponsabilità collettiva che sulla responsabilità…”

Auguriamoci che da questo corto circuito della ragione e della politica, cui abbiamo assistito in questi ultimi giorni, nasca qualcosa di nuovo, prenda corpo l’idea che forse vale la pena tentare di riformare queste nostre Istituzioni democratiche che, nel bene e nel male, sono comunque l’unico baluardo ad una deriva morale e civile che ci porterebbe dritti verso la fine del binario morto. 

Aspettiamo che nuovi leaders si facciano avanti e nuovi modelli di organizzazione della vita civile ci vengano proposti!