Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

lunedì 19 dicembre 2016

L'uccellino nella cacca...



Primo: Non è detto che chi ti ricopre di merda sia un tuo nemico!

Secondo: Non è detto che chi ti tira fuori dalla merda sia un tuo amico!

E terzo: Ma è sicuro che quando sei ricoperto dalla merda, ti conviene tenere la bocca chiusa!

L’avrete sicuramente riconosciuto, il finale di quel famoso film, Il mio nome è Nessuno interpretato da quella coppia di grandissimi attori quali sono Henry Fonda e Terence Hill.

Ebbene sì, di solito le favole stanno in fondo ai racconti e ancor più la morale arriva al termine della favola. Ma per scrivere questo post ho deciso di partire dalla fine.

Che cosa ci lascerà in eredità questo 2016 ormai vicino alle porte girevoli dell’uscita?

Ripercorriamo velocemente i mesi appena passati sopra le nostre teste mentre noi eravamo intenti a lavorare (o a cercare un lavoro), a fare la spesa (o fare la coda per un pasto caldo), a organizzare il nostro matrimonio (o il nostro divorzio), a procreare la nostra creatura (o ad attendere un intervento di interruzione di gravidanza) insomma mentre noi eravamo intenti a vivere la nostra vita.

La prima questione che salta alle nostre menti è quella relativa al terrorismo, di matrice islamica ma non solo. Quello accaduto a Berlino, ai mercatini di Natale è solo l’ultimo atto di una scia ininterrotta di sangue che ha macchiato l’intero pianeta, nessun continente escluso.

Come porre termine a questo fenomeno?

Il secondo lascito di questo 2016 è una situazione climatica ambientale che ormai appare sempre più evidentemente compromessa. Gli esempi non sono necessari.

Come porre fine a questo fenomeno?

Il terzo e ultimo fronte aperto nel 2016 è, a nostro giudizio, quello del progressivo deterioramento economico sociale di larghe fasce di popolazione di cui la Brexit in Europa e l’elezione di Trump negli USA ne sono gli effetti sul lato pratico.

Come porre termine a questo fenomeno?

Mi spiace, ma le risposte, se mai ci fossero, non le troverete in questo post. Mi piacerebbe però che dopo aver letto questo articolo ciascun lettore ripensasse al suo 2016 e provasse a darsi lui una risposta a questi tre quesiti.

Sarebbe già un piccolo grande passo in avanti verso una soluzione al momento lontana.

E poi, non dimenticate la morale iniziale: chi è veramente nostro amico e chi il nostro nemico? 

Ma, soprattutto, prima di aprire la bocca, collegare il cervello, prego!


lunedì 5 dicembre 2016

Ricominciamo da Uno

Natività di William Congdon


Inutile nasconderlo, la delusione per come hanno votato gli italiani ieri è fortissima.

Alla fine pensavo, nonostante i sondaggisti, che invece questa volta possono tirare un sospiro di sollievo, che il buon senso (dal mio punto di vista) prevalesse, e invece…hanno vinto i NO.

Benissimo, in democrazia si accettano le sconfitte, ci mancherebbe altro… però mi spiace che gli italiani non abbiano capito cosa c’era in gioco, quale era la posta in palio che si può riassumere in questo: non fermarsi al proprio interesse particolare, di bottega, e fare un piccolo passo in avanti, avendo in mente unicamente il bene del Paese.

Questo era il cambiamento che aveva proposto Renzi agli italiani, migliorabile, perfettibile, senza dubbio. Ma nulla vietava di modificare le cose più avanti, se si fosse visto che quello che si era pensato non funzionava. Mi riferisco in questo caso alla forse più controversa riforma, quella del Senato. Era comunque un tentativo di modificare lo status quo, da tantissimi in passato criticato e messo in discussione, a partire da D’Alema e Berlusconi, per esempio.

Ma tant’è. Ha vinto il desiderio di votare contro qualsiasi cosa venisse proposta, un voto No “a prescindere”, un voto contro Renzi.

Le analisi sociologiche e politiche del perché il Premier abbia perso ci accompagneranno per i prossimi giorni, e francamente già ora non mi entusiasmano più di tanto.

Così a caldo mi sembra però doveroso chiudere il discorso Referendum con alcune brevi considerazioni.

1. Hanno detto in molti che Renzi aveva voluto formare il partito della Nazione, però, a vedere gli schieramenti in campo, mi è sembrato piuttosto che Berlusconi, Grillo, Salvini, Meloni, Bersani e D’Alema abbiano costituito un’unione elettorale di comodo, in funzione anti Renzi, che alla fine ha vinto… più partito della Nazione di questo…

2. Alla fine, per quello che ho potuto constatare negli ambienti della società civile che frequento, la maggior parte della gente votava No perché voleva mandare a casa Renzi, piuttosto che perché ritenesse così nefasta la riforma della Costituzione.

3. Mi domando, raggiunto l’obiettivo di far cadere il Governo, che cosa si aspettino adesso gli italiani che hanno votato NO. Credono forse che da nuove elezioni che ci saranno a breve possa uscire una maggioranza forte e stabile, capace di proporre delle riforme migliori di quelle appena bocciate e di farle approvare all’unisono da un Parlamento coeso?

4. La verità, che era del tutto prevedibile in caso di vittoria dei NO, è quella che ci sarà una modifica della legge elettorale in senso proporzionale, così da “accontentare” tutti i partiti; che ci saranno nuove elezioni che ancora una volta fotograferanno una Nazione tripolare (centro destra, centro sinistra e populisti) e che a fatica, forse, si riuscirà a formare un Governo instabile che non avrà la forza in Parlamento di proporre riforme sostanziali e decisive per il Paese.

5. Risultato: abbiamo perso ulteriormente tempo nel tentativo, sfumato ancora una volta, di cambiare volto al nostro Bel Paese e, fattore non trascurabile, in Europa abbiamo dato l’idea di non essere in grado di attuare riforme incisive della nostra macchina burocratica, concausa della mancata crescita sia economica che sociale.

6. Ultimo punto, ma fondamentale: questa infinita campagna referendaria, iniziata di fatto in primavera, ha lacerato come non mai il Paese e ha posto in luce, a mio modo di vedere, quanto ci sia da lavorare per ricostruire negli italiani un minimo di coscienza civica che abbia a cuore la ricerca del bene comune e il superamento del proprio interesse particolare o di partito.

A questo punto, e concludo, direi che bisogna ricominciare non dal 40% dei Sì, ma da Uno dal quale scaturisca il senso e il significato dell’agire dell’uomo in politica e nella vita di tutti i giorni.

Altrimenti a prevalere, come è accaduto ieri, saranno sempre e solo gli egoismi dei Capi popolo e poco più.

sabato 19 novembre 2016

Perché il PIL non cresce...



Perché il PIL dell’Italia non cresce?

Provo a dare una risposta, raccontandovi una storia vera.

Me l’ha riferita un mio conoscente, che chiameremo Giovanni (nome di fantasia) che fa il barbiere in una cittadina vicino a Milano.

Giovanni ha poco più di 30 anni, sposato, la moglie dipendente pubblica ha un contratto a tempo indeterminato. La coppia ha una bimba in età di scuola elementare. Dopo aver frequentato la scuola professionale per diventare parrucchiere, Giovanni ha lavorato come garzone in un locale (una vetrina su strada) che poi ha rilevato quando il precedente titolare è andato in pensione.

Lavora da solo, senza aiuti, in questo negozio da circa dieci anni, con una clientela ormai consolidata. Il negozio è posto in una via di forte passaggio, a vocazione commerciale. Giovanni paga un affitto di euro 800 al mese al proprietario dei muri da quando è diventato titolare. Ora il proprietario si è reso disponibile a vendere il locale a Giovanni, prezzo circa 130.000 euro.

Il barbiere si è recato alla sua unica banca, dove lo conoscono da 10 anni e ha chiesto quali fossero le condizioni per ottenere un mutuo per acquistare il negozio. Risposta: per gli immobili commerciali, possiamo finanziare sino ad un massimo del 50% del valore derivante dalla perizia, per superare tale soglia occorrono altre garanzie reali (pegno su titoli o denaro). Quindi, ipotizzando che la perizia eseguita dalla banca avesse confermato il valore “commerciale” concordato con il venditore, Giovanni poteva ottenere al massimo 60/70.000 euro, non di più.

Il giovane parrucchiere fa presente alla sua banca di non possedere la restante parte di denaro necessaria per poter acquistare l’immobile. Fa inoltre presente alla sua banca (per notizia e per non fare nomi, una delle prime due banche italiane) che lo conoscono come cliente da 10 anni, che ogni mese vedono uscire dal suo conto corrente 800 euro per pagare l’affitto del locale, che non ha mai sgarrato un mese e che hanno praticamente l’evidenza del suo giro d’affari e che quindi possono ben valutare se è in grado o meno di sostenere finanziariamente l’operazione. Fa presente inoltre che la banca sarebbe comunque garantita (ipoteca) da un bene immobile che, eventualmente, in caso di sua inadempienza, potrebbe essere venduto molto velocemente, trovandosi in una zona commerciale di forte passaggio che vede la presenza di altri negozi di pregio (tra l’altro è la stessa via dove ha sede la banca in oggetto).

Purtroppo il direttore della filiale non vuole sentire ragioni sostenendo che le disposizioni dell’istituto sono queste e se desidera essere finanziato più del 50% del valore dell’immobile deve depositare ulteriori garanzie.

A questo punto Giovanni rinuncia all’acquisto del suo negozio. Prova a sentire altre banche dove però non lo conoscono come cliente e la risposta che ottiene è la medesima: al massimo ti possiamo finanziare il 50% del valore dell’immobile commerciale. Fine della storia, vera.

Proviamo a fare alcune considerazioni.

Primo: stiamo parlando di un mutuo richiesto di euro 120.000,- Giovanni con questo mutuo si sarebbe trovato tra 15 anni proprietario del locale dove ogni mattina esercita la sua professione, garantendo a sé e alla sua famiglia una piccola certezza patrimoniale per il domani. Se avesse acquistato il negozio, avrebbe provveduto ad un rinnovo degli arredi del locale, fornendo quindi lavoro a mobilieri, elettricisti, idraulici, piastrellisti ecc. Infine, la transazione commerciale di compravendita immobiliare avrebbe generato anche imposte e tasse che si sarebbe intascato l’erario, senza contare la parcella del notaio. In conclusione, una generazione di flussi finanziari che avrebbero creato ricchezza per molti attori e quindi contribuito a far crescere il PIL di questa micro zona milanese. Domanda: quanti Giovanni ci sono in Italia? Quanti piccoli artigiani e commercianti in regola, clienti fidati da decenni delle nostre banche, si sono visti negare un finanziamento perché sprovvisti di garanzie aggiuntive? E quanto PIL non è stato generato a seguito di questi piccoli dinieghi? Impossibile calcolarlo. La mia sensazione è che i Giovanni nel nostro Paese siano molti, troppi.

Secondo: mi domando chi avesse in mente, come beneficiario finale, il Governatore della BCE Mario Draghi quando ha immaginato e attuato il QE (Quantitative Easing). A chi pensava dovessero essere destinati i miliardi di euro che le banche europee, e quindi anche quelle italiane, hanno ricevuto dalla BCE per sostenere la crescita economica nell’eurozona. Se questa liquidità a costo zero che le banche italiane stanno ricevendo dalla BCE non arriva ai tantissimi Giovanni sparsi nella penisola, forse qualche problema in Italia esiste ancora e allora non domandiamoci più perché il PIL non cresce. Oltre al Jobs Act e alla riforma costituzionale, forse ci sono da rivedere anche le regole e le modalità di accesso al credito per tantissimi piccoli operatori economici che con fatica, in questi anni di crisi, hanno resistito, vogliono andare avanti perché sono giovani e vogliono investire nel loro futuro, ma non sono aiutati dal sistema. Forse il QE dovrebbe arrivare sino a loro se vogliamo che il PIL riparta.

Terza e ultima considerazione: certo, la banca avrà le proprie regole interne che si sarà data negli anni, a seguito delle sofferenze miliardarie che hanno appesantito il suo bilancio. È normale che la banca debba tutelare, attuando una valida e prudente valutazione creditizia, i risparmiatori che hanno depositato i propri denari e che non desiderano vedere il proprio istituto fallire. Ma francamente, nel caso in questione, così come narrato e realmente accaduto, facciamo fatica a comprendere le ragioni per le quali non si è potuto concedere un mutuo di 120.000 euro in 15 anni ad un soggetto che aveva evidentemente tutte le caratteristiche per poter sostenere quell’impegno finanziario, considerando anche le fonti di reddito della famiglia nel suo complesso.

In conclusione, a nostro giudizio, sino a quando in Italia situazioni del genere continueranno a verificarsi, sarà difficile che il PIL ritorni a crescere. Ma non solo: alla prima occasione utile, secondo voi il nostro Giovanni a quale partito o movimento politico consegnerà il proprio voto? Ad un partito di “sistema” o ad un movimento “populista”? 

E poi in molti ancora non comprendono perché negli USA ha vinto Trump…

mercoledì 9 novembre 2016

Il vincitore è... Donald Trump



Donald Trump sarà il 45° Presidente degli Stati Uniti d’America, vale a dire, sino ad oggi, della nazione leader mondiale in campo militare, economico, finanziario, industriale ma anche in quello della difesa dei diritti dei più deboli e delle minoranze e all’avanguardia nella ricerca scientifica. In pratica la nazione faro della comunità civile dei Paesi più avanzati al mondo.

Donald Trump è stato eletto dagli elettori di quella nazione, in barba a quasi tutti i sondaggisti, gli opinion leader, i tycoon televisivi e l’establishment culturale che tifavano Hillary Clinton. Un commentatore televisivo americano, questa mattina, ha detto che si è reso conto, dopo questo voto, di non conoscere più il Paese in cui vive. Può essere. Questo dipende però dalla sua sensibilità politica.

Resta un fatto: che il nostro mondo occidentale in questi ultimi 16 anni è profondamente cambiato e l’elezione di Trump negli USA, come la scelta della Brexit nel Regno Unito, l’affermazione di Orbán in Ungheria, dei partiti xenofobi in Austria e della estrema destra in Francia sono solo alcuni dei segnali di questo cambiamento.

Le cause di questa mutazione genetica del pensiero dell’uomo occidentale contemporaneo, che vive in comunità mediamente più ricche rispetto ad altre zone del mondo, a nostro giudizio sono da ricercarsi in primo luogo nella globalizzazione. Essa è intervenuta con velocità esponenziale in moltissimi ambiti della vita umana nello stesso periodo di tempo. Ciò ha disorientato intere classi sociali in ogni Paese dell’Occidente, o meglio, le ha spaventate. E quando una persona ha paura, per prima cosa pensa a difendersi da quello che considera il nemico, il diverso da sé, che può essere l’uomo di colore, il rifugiato, l’islamico e via così.

Si è globalizzata l’economia, e quindi il lavoro. Si sono globalizzati i mercati e quindi la finanza. Si sono globalizzate le fonti d’informazione e i social media hanno dato il colpo definitivo: oggi chiunque può twittare 140 caratteri di stupidaggini ed essere letto da milioni di persone. Questa è la realtà che stiamo vivendo.

Oggi le aziende globalizzate, le multinazionali, perseguono budget e rendiconti trimestrali per cercare di soddisfare i propri investitori che ogni tre mesi decidono se mantenere masse enormi di denaro, frutto della globalizzazione dei mezzi di produzione, investiti in questa o quella azienda. Se per caso l’utile aziendale di un trimestre è inferiore alle previsioni stimate dagli analisti finanziari, allora il valore in borsa del titolo scende e se nei 2 trimestri successivi non si verifica un’inversione di tendenza, si inizia a parlare di crisi. Capite: stiamo parlando di 6 o 9 mesi di vita di un’azienda. Cosa rappresentano 9 mesi se paragonati alla durata della vita media di un dipendente o di un cliente di quella società?

Quando l’unica cosa che conta è l’oggi e non il domani, quando importa solo quello che si riesce a produrre qui, adesso, perché domani si potrebbe produrlo lontano da qui e ad un costo inferiore, allora l’unica reazione possibile per l’essere umano è quella di usare l’istinto. Si vota di pancia, per colui che sembra darti ascolto. La ragione per essere messa in moto ha bisogno di più tempo, di una pausa di riflessione, di analisi dei fattori in gioco. È proprio questo tempo che ci è stato tolto, ci è stato rubato.

Inoltre ci si deve rendere conto che il tempo concesso per la produzione del profitto, 3 – 6 o 9 mesi, ormai non coincide più con il tempo dell’orologio biologico del pianeta sul quale viviamo, che tra l’altro è globalizzato per definizione, da sempre, e in un modo migliore del nostro.

La nostra globalizzazione, quella imposta alla Terra dagli uomini in questi ultimi 15/20 anni, viaggia a ritmi stressanti per soddisfare la fame di profitti delle multinazionali che si sono create proprio a seguito di questo processo. E per sostenere questo ritmo frenetico, le risorse del pianeta purtroppo sono a rischio. Anche perché la favoletta che il mercato si auto regolamenta e si pone dei limiti interni non è più credibile. Chi con la globalizzazione è cresciuto, desidera espandersi sempre di più a scapito del più piccolo e meno globalizzato. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti nei diversi settori economici, dalla chimica alla farmaceutica, dall’informatica alle telecomunicazioni.

Siamo partiti da Trump per arrivare sin qui. Che ruolo giocheranno Trump e l’America in tutto questo? Nessuno al momento lo può sapere. C’è solo da augurarsi che il popolo americano abbia fatto la scelta giusta, e al di là del folclore del soggetto scelto come Presidente, abbia intravisto la possibilità per Trump di essere un Presidente “conservatore” nel senso di porre una decelerazione alla globalizzazione per fermarsi a riflettere dove l’Occidente sta dirigendo la prua.

E per l’Italia, che conseguenze avrà l’elezione di Trump? Nel breve periodo è la partita referendaria per la modifica della Costituzione quella che può essere maggiormente toccata dall’esito del voto. Obama aveva apertamente appoggiato il SI al quesito referendario italiano, sostenendo di fatto la riforma e il Governo.

Se vincesse il NO, è chiaro che anche in Italia si aprirebbe un periodo di incertezza politica per non dire di crisi di Governo vera e propria. Ora con un’Europa alle prese con la Brexit e con tutti i problemi relativi all’integrazione religiosa e all’immigrazione dai Paesi del Mediterraneo in guerra, con le elezioni politiche in Germania l’anno prossimo, con le spinte antagoniste in diversi Paesi (Ungheria e Austria in primis), l’apertura di un nuovo fronte italiano di crisi provocherebbe un’ulteriore nube tossica sui cieli europei dall’esito tutto da scrivere.

Occorrerà tenere presente anche questo fattore quando si andrà a votare per il referendum il 4 dicembre.
  

lunedì 17 ottobre 2016

Da questi luoghi bui

Francesco Fadigati


Da questi luoghi bui è il secondo romanzo di Francesco Fadigati.

Abbandonato il genere del romanzo storico utilizzato nella sua opera prima, La congiura delle torri, (http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.it/2012/09/la-congiura-delle-torri.html) il professore sanremese si cimenta in una storia contemporanea, ambientata tra Milano e Genova con una puntata in terra di Spagna.

I protagonisti sono il giovane diciassettenne Satch alle prese con la malattia tipica della sua età, l’adolescenza; l’universitario fuori corso Alessandro in cerca della sua vocazione; il maestro Cortesi che, più avanti con gli anni, è costretto dalle circostanze a fare i conti con sé stesso e infine il signor Nardi, portato da un incidente ferroviario su di un letto d’ospedale ed in attesa di riprendere i contatti con il tempo presente e quello passato. 

Ultima protagonista è la musica, in tutte le sue forme e stili: rock, jazz, classica: la troviamo quasi in ogni pagina del libro e fa da cornice ai momenti più significativi della vita dei personaggi.

Il romanzo parte lentamente per poi prendere forma e spessore mano a mano che le storie dei protagonisti si svelano al lettore. Quelle narrate sono storie di esistenze al limite, con i personaggi che si ritrovano spinti dalle circostanze della vita in situazioni apparentemente senza uscita, senza via di scampo, in quei luoghi bui della propria umanità.

Ma proprio quando si arriva sull’orlo del baratro ecco che, quasi d’incanto, l’imprevisto e l’impensato si svelano: una nuova strada si apre all’orizzonte e i protagonisti insieme al lettore riprendono fiato e rivedono la luce. Solo la morte può fermare il cambiamento.

Fadigati è maestro con l’uso delle parole nel creare quell’alternanza di scuro-chiaro, buio-luce, musica e silenzio che caratterizza il romanzo. La tensione narrativa è un crescendo che a tratti assume i toni del thriller e a tratti quelli della cronaca giornalistica come quando viene descritta con dovizia di particolari l’alluvione di Genova del 2014 che coinvolge uno dei protagonisti, Alessandro.

La sorpresa che attende il lettore nelle ultime pagine del romanzo, se all’inizio stupisce, a ben pensare è il finale giusto per questa storia che racconta di uomini in cerca di loro stessi: e ognuno di noi, giovane o meno, in fondo, se si ferma a riflettere, deve riconoscere di aver vissuto più vite nel corso della sua esistenza.
 

Francesco Fadigati, Da questi luoghi bui, Bolis Edizioni, ottobre 2015

martedì 11 ottobre 2016

L'ultimo miglio di Renzi



Ora che finalmente conosciamo la data del referendum costituzionale – il 4 dicembre salvo sorprese dell’ultima ora - è giunto il momento di tirare le fila e prendere una posizione: o votare Si al cambiamento proposto dal Parlamento oppure lasciare le cose come stanno.

Sgombriamo il campo subito dagli equivoci: noi voteremo Si a questo referendum anche se non siamo elettori di Renzi e non ci sentiamo di appartenere al Partito della Nazione. Semmai abbiamo a cuore le sorti del nostro Paese, questo Sì!

Le motivazioni razionali che ci hanno spinto nella direzione del Sì sono molteplici e cercheremo di esplicitarle nel modo più semplice possibile.

Primo: è una riforma che va nella direzione di semplificare la vita politica e istituzionale. In nessun Paese al mondo si è mai visto che un Organismo parlamentare voti di fatto quasi la propria eliminazione fisica. In Italia è accaduto. Il “vecchio” Senato ha votato a favore della riduzione del numero dei propri componenti e a favore di una limitazione importante delle proprie competenze legislative. Il nuovo Senato avrà 100 senatori (ora sono 315) precedentemente eletti dal popolo delle grandi città italiane e dai Consigli regionali. Questi signori dovranno svolgere un doppio lavoro? Assolutamente Sì e vedremo alla prova dei fatti se vi riusciranno o meno.

Teniamo presente che già ora il sindaco di una grande città almeno una volta alla settimana si reca a Roma per dialogare con dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione centrale. Inoltre, le ridotte competenze legislative che saranno lasciate al Senato non inducono a prevedere un impegno così gravoso per questi cento senatori. Infine, nulla vieta che si possa intervenire nuovamente sul funzionamento del Senato nel caso ci si renda conto che, così come ipotizzata, l’attività istituzionale non funziona al meglio. Ma intanto un primo passo verso la velocizzazione dell’iter deliberativo delle leggi è stato compiuto. Votare No a questo referendum significherebbe rimanere impantanati nel doppio binario legislativo che ci ha rallentato sino ad ora.

Secondo: l’eliminazione del CNEL, organo di rilevanza costituzionale, sconosciuto ai più. Le sue funzioni ormai sono state avocate dall’Unione Europea, ma per eliminarlo occorre una modifica della Costituzione. Il suo costo stimato: 20 milioni di euro all’anno. Direi che almeno su questo punto possiamo essere tutti d’accordo sulla sua soppressione.

Terzo: questa riforma porterà alla fine del potere legislativo regionale? La riforma del 2016 interviene su tutti e tre i livelli di competenza legislativa attraverso la soppressione della competenza concorrente tra Stato e Regioni, l’ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato (comma 2) e l’individuazione delle materie di competenza delle Regioni (comma 3). La riforma introduce inoltre la c.d. clausola di supremazia (comma 4), che consente allo Stato di intervenire in materie di competenza regionale, quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Francamente negli ultimi quindici anni (dalla Riforma del 2001) non possiamo vantarci molto del lavoro che la maggior parte delle Regioni ha compiuto in molti degli ambiti sui quali gli Enti territoriali avevano ricevuto in devoluzione dallo Stato centrale una parte delle competenze legislative. Al di là quindi di quanto ciascuno di noi si senta più o meno federalista nell’anima, l’esperienza negativa vissuta ci porta a sostenere una ridistribuzione delle diverse materie. Ritornano quindi con questa riforma, di esclusiva competenza dello Stato, le legiferazioni in tema di: mercati assicurativi, programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica, previdenza complementare integrativa, sicurezza e politiche attive del lavoro, commercio con l’estero, ordinamento sportivo, porti e aeroporti, infrastrutture strategiche di interesse nazionale; solo per citare le materie più importanti.

Quarto: Sarebbe molto miope se gli italiani votassero No. Il Paese è in una situazione molto precaria. La sua performance economica è scadente, il sistema bancario è straordinariamente fragile malgrado la sua enorme importanza per l’economia. Gli italiani devono pensare che un No sarebbe interpretato dall’Europa, Germania in primis, come una replica del voto greco. Un modo di dire: al diavolo le riforme. Sarebbe estremamente pericoloso perché all’estero la fiducia nel nostro Paese potrebbe affondare molto precipitosamente e si sarebbero sprecati nuovamente anni a parlare di riforme senza poi riuscire ad attuarle.

Quinto: Affidare ad un referendum popolare senza quorum (la maggioranza dei votanti decide la vittoria del Sì o del No) una decisione così importante per il futuro del Paese può sembrare un azzardo. È ancora fresca nella memoria la vittoria dei sostenitori della Brexit nel Regno Unito. Tuttavia a questo punto non è più possibile tornare indietro e quindi occorre che tutti coloro che hanno a cuore la volontà di cambiare, un poco, le ormai datate regole del gioco della nostra vita politica e istituzionale si diano da fare per portare i propri vicini di casa a votare il 4 dicembre e votare Sì.

Speriamo di essere riusciti, con i nostri scritti, in questi mesi ad esservi stati d’aiuto nelle vostre riflessioni. Se vi è rimasto ancora un po’ di tempo e di voglia, vi invitiamo a guardare il video dell’incontro tra Matteo Renzi e il costituzionalista Zagrebski andato in onda la scorsa settimana su La7 ( https://youtu.be/Xevo3V7_paA ). Il dibattito dura un paio d’ore, tuttavia se non avete a disposizione tutto questo tempo, possono bastare i primi quaranta minuti per comprendere le diverse motivazioni civili e morali di chi sostiene il Sì e di chi sostiene il No.

Premesso che entrambi gli uomini politici istituzionali erano sicuramente in buona fede nel difendere le proprie posizioni, le loro visioni sul futuro dell'Italia divergevano profondamente.

Ecco, proprio qui sta il punto: che visione dell’Italia abbiamo? Se pensiamo che l’Italia di oggi vada bene così com’è e che sia impossibile ottenere qualcosa di migliorativo da questa riforma, allora votiamo No.

Se pensiamo invece che valga la pena finalmente provare a cambiare in parte le regole del gioco, per non avere più per esempio le proposte di legge che viaggiano avanti e indietro tra Camera e Senato senza apparente motivo, allora votiamo Sì alla riforma. Ma soprattutto andiamo a votare. In questo caso chi si astiene fa il gioco del vincitore e a vincere potrebbero essere i No.

Quindi andiamo a votare e votiamo SI'.

venerdì 23 settembre 2016

Renzi vs Resto del mondo...



Ormai è chiaro: al referendum costituzionale la partita sarà giocata tra Renzi vs Resto del mondo…

Tutti i partiti infatti, oltre alle sigle dei principali movimenti e associazioni, voteranno NO e Renzi con la parte maggioritaria del PD (di fatto la maggioranza che l’ha eletto segretario) più i piccoli partiti satelliti, voteranno SI.

Almeno questo è lo scenario che appare evidente a due mesi circa dalla votazione.

Sconfitta annunciata quindi per il premier?

Non è detto. Avere contro la galassia dei partiti politici italiani potrebbe rivelarsi un vantaggio per Renzi.

Quante persone infatti oggi seguono le direttive di voto del partito in cui dicono di riconoscersi? Anzi, per dirla meglio: quante persone oggi si riconoscono in un partito? Poche, pochissime, se analizziamo i flussi di votanti delle ultime tornate elettorali, sia politiche che amministrative.

Solo per citare l’ultimo caso, Roma è amministrata da un sindaco votato da 453.806 romani su una popolazione di aventi diritto al voto di 2.363.444 cittadini, cioè il 19,2% dei romani ha scelto Virginia Raggi come proprio sindaco. L'astensione è stata del 44%.

(Fonte: http://www.elezioni.comune.roma.it/elezioni/2016/comunali/A062016/vsin99.htm)

Se il premier saprà spiegare chiaramente agli italiani quali sono i vantaggi e i punti di forza di questa riforma, allora forse non tutto è perduto.

Certo, Renzi con l’aver voluto personalizzare il voto referendario (se vincono i NO mi dimetto, è stato il suo slogan d’esordio) è il primo artefice di questa situazione che ora sulla carta lo vede in svantaggio. Ma si è accorto dell’errore compiuto e lo ha ammesso. 

In politica, come nella vita, è meglio ammettere un errore e ripartire che perseverare fino a farsi male per davvero. E poi Renzi è giovane ed alla sua prima esperienza politica di un certo spessore. Ci può stare.

Ora che le dichiarazioni di voto sono state formulate, rimane la curiosità di vedere quanti italiani si lasceranno convincere dal leader del proprio partito, ma soprattutto quanti italiani andranno a votare e sosterranno quella riforma costituzionale licenziata dal Parlamento con il voto, ricordiamo, del PD e di alcuni di quei partiti che ora la criticano e vogliono affossarla, a partire da Forza Italia. 

Ma è sicuramente più facile che un cieco faccia l’elemosina ad un altro cieco che pretendere che la lealtà e la coerenza di un leader politico resistano al cambio di stagione.

Intanto, per il momento, al buio siamo rimasti noi italiani.

lunedì 8 agosto 2016

Referendum costituzionale: le ragioni del Sì



Dopo aver analizzato nel post precedente le ragioni del No, passiamo ora ad esporre quelle dei sostenitori del Si al Referendum del prossimo autunno.

Per prima cosa evidenziamo che, dopo oltre venti anni di tentativi finiti male, finalmente si ha la possibilità di imprimere una svolta al nostro sistema istituzionale. Forse non sarà un cambiamento determinante e risolutivo, ma da qualche parte bisognava pur incominciare.

Da un bicameralismo perfetto, arriviamo ad un monocameralismo imperfetto, ma tant'è. La riduzione del numero dei senatori e delle competenze e delle funzioni del Senato vanno nella direzione di snellire i processi legislativi del Paese.

Di contro il Governo vede da questa riforma aumentare la propria sfera di influenza sulla vita politica a discapito del Parlamento inteso come Camera più Senato. Questo significherà una maggiore responsabilizzazione del Premier con i suoi ministri. In ultima analisi avremo finalmente in Italia un Governo che avrà a disposizione gli strumenti per governare e allo scadere della Legislatura risponderà agli italiani del proprio operato, senza potersi giustificare denunciando un ostruzionismo da parte del Parlamento che viene ridimensionato nei suoi poteri, ma per nulla azzerato.

Infatti la Camera dei deputati rimane l'unica ad esercitare pienamente la funzione legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo, diventando quindi la sola titolare del rapporto di fiducia con il Governo. I deputati rimangono anche gli unici "rappresentanti della Nazione".

Anche la nuova legge elettorale ormai definitiva (che però non rientra nel pacchetto delle riforme) contribuirà ad eleggere un Parlamento più coeso e rappresentante, con una maggioranza qualificata, la forza politica più votata nel Paese. Certo i partiti avranno il gravoso compito di inserire nelle proprie liste di candidati persone non solo degne, ma anche preparate per affrontare le sfide del futuro. Solo così potranno pensare di vincere la competizione elettorale.

I sostenitori del Si non stanno facendo l'elogio di un Governissimo con a capo un Premier dittatore, bensì chiedono un Governo che nei cinque anni di durata della Legislatura (che, per chi scrive, potrebbero anche diventare quattro) abbia la concreta possibilità di realizzare il proprio programma elettorale e che allo scadere si vedrà giudicato dal popolo. Osano troppo?

Quante volte in Italia i Governi sono durati solo alcuni mesi, tenuti sotto scacco da maggioranze parlamentari mutanti dalla sera alla mattina? Se forse sino a qualche decennio fa era possibile per un Paese sopportare una simile situazione, in tempi complessi, fluidi, liquidi, come si usa dire oggi, non è più possibile per una Nazione che vuole rimanere al passo delle maggiori potenze mondiali, essere governata in questo modo.

Occorrono maggioranze parlamentari stabili e governi coesi che possano esercitare il potere, per un periodo limitato di tempo, entro rigide regole democratiche, ma senza essere sottoposti a ricatti politici.

L'eliminazione delle Province, del CNEL e lo snellimento di altre procedure amministrative concorrono a rendere questa riforma interessante più che altro perché incomincia a smuovere le acque stagnanti della vita politica e istituzionale.

Da troppi anni si vede fallire ogni tentativo di riformare il nostro sistema istituzionale, da qualsiasi parte politica provenga il tentativo. Questa volta sarebbe veramente un peccato rinunciare ad imprimere il primo colpo al cambiamento.

Per queste ragioni a ottobre i sostenitori del cambiamento andranno a votare Si, non per sostenere Renzi e il suo Governo, ma per tenere vivo il desiderio di modernizzare il bel Paese.

domenica 7 agosto 2016

Referendum costituzionale: le ragioni del No




L'appuntamento referendario si avvicina e in queste sere estive vogliamo riprendere le riflessioni sul futuro assetto istituzionale del nostro Paese per aiutarci ad arrivare a quella ragionevole certezza che ci permetterà di esprimere un voto consapevole al momento opportuno.

Analizziamo in questo primo post le ragioni del No al Referendum e nel post successivo quelle del Si.

Dichiariamo subito che non vogliamo inserirci nel coro di coloro che decidono di votare No per far cadere il Governo Renzi. Non ci sembra corretto unire le sorti di un Governo a quelle del futuro istituzionale dell'Italia. Troppo importante il secondo rispetto al primo.

Entriamo nel merito della riforma proposta: appare evidente come per certi aspetti si sia persa l'occasione di realizzare un taglio netto con il passato. Mantenere un Senato non elettivo di 100 membri che avranno un doppio incarico (i 100 senatori saranno contemporaneamente membri di Consigli regionali o Sindaci di grandi città) e per di più con funzioni e compiti ridotti risulterà inutile e costoso.

Inoltre politicamente il nuovo senato non avrà voce in capitolo se non nei seguenti casi, come recita il riscritto articolo 55 della Costituzione:

“Il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all'esercizio della funzione legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché all'esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l'Unione europea. Partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l'attività delle pubbliche amministrazioni e verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l'attuazione delle leggi dello Stato”.

A questo punto forse si poteva puntare direttamente al monocameralismo.

Il Governo è l'istituzione che più aumenterebbe la propria sfera di influenza nella vita politica, a scapito di un Parlamento dimezzato. Tecnicamente vi sono diverse innovazioni nella riforma proposta che permetterebbero all'esecutivo di dare corso a iniziative legislative prioritariamente, limitando i tempi entro cui il Parlamento verrebbe chiamato ad occuparsi della materia. Un po’ come accade già oggi con l'utilizzo della decretazione d'urgenza.

Se a questo limite temporale cui i parlamentari si dovranno attenere, si aggiunge il fatto che la nuova legge elettorale ormai in vigore (che però non è inserita nel pacchetto delle riforme costituzionali) di fatto consegna nelle mani dei partiti la possibilità di scelta della stragrande maggioranza dei deputati, il pericolo di avere un Parlamento fotocopia del Governo e pronto a ratificarne l'operato e non Organo Costituzionale autonomo esercitante in primis la funzione di Legislatore, è reale.

Tutto ciò porterebbe ad un calo dello spazio della vita democratica del Paese danneggiando di fatto l'intera comunità.

Ulteriore aspetto negativo di questa riforma: l'abolizione delle Province. Non convince perché di fatto non raggiunge lo scopo di ridurre le spese di gestione amministrativa dello Stato che saranno sostenute dagli Enti che si dovranno far carico delle competenze delle ex Province.

Vengono anche introdotte alcune modifiche nel meccanismo di elezione del Presidente della Repubblica e di nomina dei giudici della Corte costituzionale. La riforma contempla inoltre l'abolizione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e la soppressione dell'elenco delle materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni; sono previste anche modifiche in tema di referendum popolari.

Non si pretende qui di analizzare nel profondo le norme modificate, ma nel complesso le ragioni del No emergono chiaramente dall'analisi eseguita.

Infine, si può anche obiettare che una riforma di tal portata si sarebbe dovuta approvare con una più larga maggioranza politica in Parlamento, cercando di coinvolgere anche l'opposizione che invece risulta schierata decisamente contro la riforma del sistema.

A questo punto per i sostenitori del No appare chiaro che le modifiche che ci vengono proposte non risolveranno i problemi dell'Italia di oggi e forse anzi li peggioreranno e pertanto sono da respingere in toto.

venerdì 24 giugno 2016

Brexit: presente e futuro

Brexit

Mai sottoporre al popolo quesiti così “tranchant”, questo probabilmente starà pensando in queste ore l’ex premier inglese David Cameron dopo l’esito del referendum sulla Brexit che ha segnato un punto di non ritorno nella storia europea.

Con questo referendum Cameron è riuscito, suo malgrado, a spaccare il suo stesso Paese (dove il Nord, Scozia e Irlanda, ha votato in maggioranza per rimanere in Europa mentre l’Inghilterra -a parte la zona di Londra- con il Galles per uscire dalla UE) e a dare una fortissima spallata alla tenuta politica dell’Europa.

Sulle cause e le motivazioni che hanno provocato questo inaspettato risultato se ne discuterà per i prossimi mesi, se non anni. Ora, a caldo, ci sentiamo di esprimere solo alcune considerazioni di pancia, che poi probabilmente è quella parte del corpo cui gli elettori inglesi hanno dato ascolto.

La prima: il voto ha rivelato un’opinione pubblica britannica scollata dall’establishment del Paese. La Confindustria inglese, la finanza, i maggiori partiti politici, ad eccezione degli euro scettici, i media, tutti si erano pronunciati a favore della permanenza in Europa. Risultato: la Brexit. Di questo iato tra la popolazione e la classe dirigente bisognerà che i leader inglesi se ne facciano carico se vogliono governare il prossimo cambiamento che inevitabilmente attenderà quel Paese.

La seconda: il voto inglese modificherà per sempre la visione europea cui ci eravamo abituati sino a ieri. È stato un voto contro l’Europa, così come l’abbiamo pensata, organizzata e attuata, che evidentemente non è riuscita ad appagare la maggioranza degli inglesi. È quindi necessario ripensare al funzionamento e alla riorganizzazione, alla rifondazione di un’Europa che ormai non risulta più attrattiva, ma viene anzi percepita come una sovrastruttura burocratica di cui si può fare a meno.

Evidentemente non è stato sufficiente il mercato unico delle merci e dei servizi ed una moneta unica (di cui peraltro gli inglesi non godevano) per creare un Unione tra Stati che sia percepita positivamente, con favore, dai cittadini. Ci vuole altro.

Questa è la cruda realtà emersa dal voto inglese. L’Europa come l’abbiamo pensata non funziona. Del resto sui temi che solitamente costituiscono la base di una Federazione di Stati, come la fiscalità generale, la politica estera, la difesa, l’occupazione, i grandi investimenti, non si è mai attivata una politica europea comune. La nuova Commissione a guida Juncker aveva promesso un piano di investimenti straordinario per far ripartire lo sviluppo e l’occupazione, ma ancora non si è visto nulla o quasi. Anche il grande tema del debito pubblico europeo, di cui è sempre più evidente la necessità in questo perdurante clima di instabilità finanziaria, rimane per ora lettera morta.

In occasione delle ultime elezioni europee avevamo già evidenziato come ci fosse bisogno di un cambio di passo che a distanza di due anni non si è visto. Sul banco degli imputati non solo la Commissione guidata da un inadeguato Junker, ma anche e soprattutto la politica tedesca di Angela Merkel.

La Germania di fatto, in questi ultimi 15 anni è stato il Paese che ha più influito sulla politica del rigore e di austerity che ha portato l’Europa alla situazione attuale. Non è populismo, come molti dicono, ma la realtà basata sui numeri: per esempio quelli del surplus della bilancia commerciale della Germania rispetto agli altri Paesi, Francia e Italia per cominciare. Il voto inglese contiene anche un no a questo modello di politica europea e a questa impostazione germano centrica che l’Europa deve per forza modificare se vuole continuare ad esistere.

Ed infine, il voto inglese pone a nostro giudizio una questione non secondaria relativa al suffragio universale. Nella scelta di lasciare l’Europa, i giovani under 25 hanno votato al 70% per rimanere nell’Unione, mentre gli over 65 hanno votato in maggioranza per uscirne. Vi sono state differenze di voto anche dal punto di vista della formazione culturale, ma lasciamo perdere questo aspetto.

Rimane il fatto che una generazione di anziani la cui aspettativa di vita media si aggira intorno ai 10 anni, ha deciso del futuro di quella dei ventenni che per il resto della loro vita dovrà rinunciare a giocarsi la partita europea. 

E questo non è giusto. Forse, quando in gioco ci sono decisioni su questioni che avranno ripercussioni per decine di anni, come in questo caso, si potrebbe pensare a porre un limite di età al diritto di voto. 

Non sarebbe una discriminazione, ma una forma concreta e reale di democrazia “pesata”, due punto zero, forse più consona e adeguata ai tempi che stiamo vivendo.

mercoledì 1 giugno 2016

Ttip & Loi Travail

Ttip

Che cosa collega il negoziato in corso tra Europa e Stati Uniti, noto con il nome di Ttip, e la riforma del lavoro francese, voluta dal Governo e fortemente osteggiata dai sindacati dei lavoratori?

In apparenza poco o niente.

Il Ttip, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, vuole creare tra Stati Uniti ed Europa la più vasta area del mondo dove si possa commerciare in beni e servizi il più liberamente possibile, riducendo dazi e tariffe che ne rallentano la circolazione e unificando il più possibile le regole del libero scambio. Questo accordo, se andasse in porto, coinvolgerebbe centinaia di milioni di famiglie residenti nella parte più ricca del pianeta. Il massimo dell’omologazione immaginabile, dal punto di vista dei produttori di questi beni e servizi. Il vecchio sogno di David Rockefeller che nel luglio 1973 con alcuni amici fondò la Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di circolazione della moneta. Dopo poco più di quarant’anni quel sogno è sul punto di realizzarsi.
(Leggi anche: http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.it/2013/03/ttip-nuovo-cavallo-di-troia.html)

La riforma del lavoro varata nelle settimane scorse in Francia, viceversa, riguarda unicamente il popolo francese e tenta di rendere il mercato del lavoro più flessibile e dinamico, dal punto di vista dei datori di lavoro. Ma non solo. Tutte le novità che vengono introdotte dalla riforma, all’insegna della maggiore flessibilità del lavoratore, in entrata e in uscita dal mercato, possono essere normate da una contrattazione integrativa aziendale che va a sostituire quella nazionale in vigore sino ad ora. Cosa significa? Banalmente che il lavoratore vedrà tutelati i propri diritti dai sindacati (se presenti) dell’azienda in cui lavora, i quali sindacati non avranno alle spalle una legislazione nazionale cui far riferimento e da usare come argine alle richieste della proprietà. Tutta la contrattazione sindacale potrà essere effettuata all’interno delle singole aziende; così facendo si avranno contratti diversi da azienda ad azienda, con minori tutele in generale e con possibili disparità di trattamenti tra lavoratori. Si azzera quel minimo sindacale in tema di diritti basilari del lavoratore conquistato dai francesi in decenni di lotte sindacali e che ora viene eliminato di colpo.

Ma tutto ciò come si collega al Ttip?

In modo molto semplice. La filosofia che sostiene entrambi i tentativi e i provvedimenti in corso è la medesima e viene portata avanti dai medesimi soggetti: si possono chiamare Multinazionali, Corporations o con nomi similari. Esse rappresentano nel mondo realtà più importanti e potenti degli Stati nazionali medesimi e con i profitti accumulati negli ultimi decenni, con il potere delle lobby che sono al loro servizio in ogni Stato e nelle istituzioni politiche sovranazionali, riescono sempre di più a condizionare le scelte politiche generali a loro favore per un unico scopo: fare più business.

Ecco che allora appare chiaro come da un’area comune di libero scambio, nella zona più ricca del pianeta, a guadagnarci maggiormente non sarà l’artigiano del mobile della Brianza, che potrà esportare i suoi divani nel Texas senza pagare dazi, ma la multinazionale americana di mobili per ufficio che potrà vendere i suoi prodotti in tutta Europa a prezzi più competitivi addirittura dei produttori europei.

Abbiamo volutamente toccato nell’esempio un settore non core business per noi italiani. Pensate cosa potrebbe succedere, se entrasse in vigore questa mega area di libero scambio, ai prodotti alimentari italiani che verrebbero invasi da prodotti similari a prezzi più che concorrenziali. Sarebbe il disastro di interi distretti e filiere alimentari del nostro Paese.

La stessa filosofia è contenuta nella nuova legge sul lavoro approvata in Francia. La possibilità di chiudere la contrattazione con il lavoratore in casa, senza dover più sottostare a contratti quadro di natura pubblicistica, giova sicuramente più alle multinazionali presenti sul territorio, piuttosto che ad un artigiano che con il suo praticante non ha problemi a trovare un accordo.

E quindi? Cosa fare di fronte a questi fenomeni? Ma soprattutto, posto che il mondo non sta mai fermo, il futuro che ci aspetta sarà sempre più omologato e con meno regole? Meno pubblico e più multinazionale? E in un mondo governato da Big Company che cercheranno sempre di più di sottrarre la propria responsabilità allo Stato nazionale e riconosceranno come referente unicamente il proprio Stakeholder, come saranno regolati i rapporti tra quest’ultimo e i cittadini?

Chi tutelerà i diritti dei singoli, dei consumatori, delle persone, di fronte all’invadenza delle Corporations?

Domande al momento senza risposta, che generano inquietudine.


venerdì 27 maggio 2016

La Riforma Costituzionale: un po' di storia


Il labirinto delle riforme costituzionali

Prima di analizzare nel dettaglio la riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, crediamo sia importante ripassare un po’ di storia recente.

Ci limiteremo brevemente a ricordare i tentativi di riforma della Costituzione compiuti dai Governi della Repubblica, senza citare le diverse Commissioni bicamerali per le riforme costituzionali istituite dal Parlamento nel corso delle diverse Legislature.

Già dai primi anni Novanta, i Governi della Repubblica sentirono l’esigenza di studiare eventuali interventi atti a migliorare e snellire la vita democratica del Paese che iniziava ad attraversare un periodo di crisi politica, economica e sociale.

L’idea di semplificare il nostro sistema istituzionale (improntato su un bicameralismo perfetto che per forza di cose dilata quasi all’infinito i tempi per l’approvazione di una legge) per restare al passo con le nuove esigenze dei tempi, era e rimane sicuramente positiva.

Antonio Maccanico (Governo De Mita) nel 1988 fu il primo politico nominato Ministro per gli Affari regionali e i problemi Istituzionali (prima volta nella Repubblica) cui seguì Mino Martinazzoli (VII Governo Andreotti) nel 1991. Il suo ministero venne rinominato Ministero per le riforme istituzionali e per gli affari regionali.

Già da questi brevi cenni, possiamo renderci conto che sono passati più di venticinque anni da quando il mondo politico iniziò a discutere di riforme istituzionali, senza di fatto giungere ad una modifica sostanziale delle nostre procedure e dei nostri organi costituzionali.

Un primo progetto di riforma costituzionale di un certo respiro, promosso dai Governi di Centro Sinistra, fu approvato dal Parlamento e si concretizzò nel 2001 con la modifica del titolo V della parte seconda della Carta (quello riguardante gli enti locali e le competenze Stato - Regioni). Il successivo referendum costituzionale che si svolse in Italia per la prima volta, confermò le modifiche varate dal Parlamento. Tale riforma però non modificò sostanzialmente il funzionamento dei principali poteri costituzionali, Governo e Parlamento.

Un secondo tentativo, più incisivo, di modificare il funzionamento della vita istituzionale dello Stato, promosso dal Governo Berlusconi, fu invece bloccato dal referendum costituzionale del 2006 che lo bocciò. Con la riforma del 2005 si voleva, in estrema sintesi, proporre per l’Italia un modello di Repubblica federale, con un Esecutivo forte a scapito di un Parlamento che vedeva limitati i suoi poteri. Non vogliamo qui entrare nel merito di quella riforma fallita per volere del popolo italiano.

Con questo breve excursus desideriamo solo ricordarci da dove veniamo: cioè da un periodo di 25 anni durante i quali si è parlato molto su come riformare questo Paese, ma poi nei fatti si è riuscito o voluto fare ben poco.

Tra alcuni mesi avremo nuovamente la possibilità di prendere posizione su questa nuova proposta di riforma del nostro ordinamento repubblicano. Utilizziamo bene questo tempo per informarci, riflettere e quindi votare un o un No a quello che per noi sarà il giudizio finale sulla riforma costituzionale del Governo Renzi.

Ma ricordiamoci per bene una cosa: il nostro non dovrà essere un Sì o un No al Governo Renzi, ma solo a questa proposta di modifica costituzionale.

Personalizzare il voto sarebbe un grosso errore.


domenica 15 maggio 2016

Il rosicone

Rosicone


Alcune riflessioni a caldo sulla legge “Cirinnà”.

Da cattolico quale sono, dovrei passare queste ore a “rosicare” secondo quanto asseriscono i sostenitori della legge. A parte il fatto che, non capisco per quale motivo, debbano ritenersi non cattoliche le persone a favore della Cirinnà: e quindi a quale religione dovrebbero appartenere: musulmana, ebraica, induista, scintoista? Oppure sono tutte atee?

In realtà, tranquillizzo subito i nostri maître à penser, il sottoscritto è assolutamente contento che finalmente si sia fatta anche in Italia una legge che regolamenti le unioni civili.

Oggettivamente il tema era “caldo” da parecchi anni ed effettivamente, senza arrivare a toccare il punto delle convivenze omosessuali, esisteva una lacuna normativa ampia che riguardava in generale tutte le persone conviventi, anche non legate da vincoli affettivi e sessuali.

Ma il sottoscritto è assolutamente contento di questa legge per un semplice motivo: finalmente anche l’Italia ha una legge che regolamenta questo tipo di unioni e spera vivamente che da oggi in avanti il Governo e il Parlamento si preoccupino non di alcune migliaia di persone, ma di alcune decine di milioni di persone che hanno formato una famiglia (l’unica cellula fondante la vita civile dello Stato in tutto il mondo) e che faticano a portarla avanti ed a svilupparla.

Penso alla crisi economica che ha lasciato uno o entrambi i genitori senza lavoro, penso alla denatalità ormai impressionante perché gli orari di lavoro (quando ancora c’è) mal si conciliano con l’attività di crescere i figli, soprattutto per le donne; penso alle famiglie numerose, sempre meno presenti, che non hanno aiuti seri dallo Stato. Penso alle scuole e a tutti i problemi legati all’educazione.

In questo senso non credo che un referendum abrogativo sulla Cirinnà sia una buona idea. C’è il rischio che a prevalere siano gli schemi ideologici, mentre invece la Cirinnà dovremmo lasciarla operare così com’è e tra dieci anni si potrà verificare quanto, nei fatti, sarà stata utilizzata dalle coppie di fatto per regolarizzarsi.

Anche perché, parliamoci chiaro, la Cirinnà qualche “paletto” importante, dal nostro punto di vista di “rosiconi” l’ha pure messo: no alle adozioni per le coppie dello stesso sesso. Una cosa invece non mi è chiara: l’assenza dell’obbligo di fedeltà. Forse che un amore omosessuale è meno fedele di un amore tra un uomo e una donna? Semmai è opportuno evitare che sentenze “artistiche o interpretative” di alcuni giudici introducano la possibilità per le coppie omosessuali di adottare figli. Questo è il vero tema per il futuro.

Io penso che il Governo Renzi, che tanto si è beato in queste ore su giornali e televisione per essere stato capace di portare sino in fondo la legge Cirinnà, sarà giudicato dai cattolici da quanto farà sui temi legati alla famiglia tradizionale.

Certo, il metodo usato da Renzi per far approvare la Cirinnà può essere criticato. Utilizzare la fiducia, obbligare i deputati e i senatori a votare un testo blindato non è mai positivo, soprattutto quando in gioco ci sono temi così sensibili, ma tant’è. Il nostro fiorentino ormai lo conosciamo.

È pur vero che senza una imposizione decisa da parte del Governo, oggi avremmo ancora il Parlamento che discute di massimi sistemi e una legge di questo tipo sarebbe ancora nel limbo. Noi italiani, per storia, siamo il popolo dei mille comuni, dei mille campanili e questo fatto in politica si è tradotto a volte in uno stallo conservativo che non ha fatto bene al progresso del Paese.

Per chiudere, bene questa legge Cirinnà, ma d’ora in avanti capitolo chiuso, guardiamo avanti ed occupiamoci dei temi caldi che riguardano le famiglie degli italiani, i figli che non nascono e la loro educazione: Renzi ci sei? Batti un colpo, coraggio!     

venerdì 22 aprile 2016

Le riforme costituzionali



Nei giorni scorsi si è concluso l'iter legislativo delle riforme costituzionali. Il prossimo mese di ottobre sarà dunque decisivo per il proseguimento o meno del Governo di Matteo Renzi. Il premier infatti ha volutamente legato la tematica del Referendum confermativo sulle modifiche costituzionali alle sorti del suo esecutivo.

Gli italiani hanno quindi circa sei mesi di tempo per meditare sulla riforma varata dal Parlamento e decidere se sostenerla o abrogarla tramite il voto referendario.

Prima di analizzare, nei post successivi, le ragioni dell'una e dell'altra parte, proponiamo ora alcune considerazioni di carattere generale su quanto abbiamo ascoltato e letto negli ultimi due anni sul tema delle riforme.

Una premessa generale per chiarire subito il campo: chi scrive non è un sostenitore del Governo Renzi, semmai uno strenuo supporter del nostro Bel Paese, delle persone che vi abitano, dei giovani che non partono per cercare lavoro altrove oppure di quelli che ritornano dopo un’esperienza lavorativa all’estero per contribuire alla rinascita della nostra Patria. Noi crediamo che quando si affrontano tematiche di così ampio respiro e di così vitale importanza per il futuro della nazione, dovrebbero essere costoro i riferimenti con cui confrontarsi: le generazioni future degli italiani.

Per poter esprimere con una ragionevole certezza il nostro voto non dovremmo focalizzarci sul binomio, Governo SI, Governo NO; Matteo SI o Matteo NO. Con l'esito del referendum non ci giochiamo il Governo di Matteo Renzi, ma probabilmente ci giocheremo un pezzo importante del futuro del nostro Paese.

Pertanto cari concittadini, informiamoci da fonti diverse e riflettiamo su quello che leggeremo: al termine di questo lavoro saremo pronti per andare a votare secondo quello che ci detterà la nostra coscienza. Non lasciamoci tirare dentro il gioco di essere pro o contro il Governo. Perché, in questa storia, l’unico pericolo che dobbiamo assolutamente cercare di evitare, è quello di cadere nella demagogia, cioè nel lasciarci ammaliare dalla retorica dei capi bastoni vicini unicamente alle proprie fazioni politiche ed elettorali e distanti dal bene comune. 

Per tutti i sei mesi che ci separano dal referendum, sentirete o leggerete pochissime volte riflessioni come queste: ragionate con la vostra testa.

E' il bene comune del nostro Paese la stella polare che ci dovrà guidare mentre esprimeremo il giudizio finale su quanto proposto dal Parlamento. Da parte nostra, l'impegno che prendiamo è quello di analizzare nelle prossime settimane le ragioni del si e quelle del no e di cercare di proporre una sintesi che si riveli, a distanza di tempo, la più eticamente corretta.

Che poi Matteo Renzi, in base al voto espresso dagli italiani, opti per le dimissioni o decida di continuare il suo servizio alla nazione, francamente non ce ne importa nulla.

sabato 26 marzo 2016

Tradimento Misericordia e Resurrezione



Tra poche ore noi cristiani celebreremo la Pasqua del Signore. In questi momenti, chiamato a riflettere sul significato di questa festa, mi vengono in mente tre parole.

La prima è tradimento. Ce ne parla il Vangelo di Matteo: “Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse: «In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà». Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: - Sono forse io, Signore?”.

Purtroppo il nostro cuore non riesce a non tradire. Anche l’amico più amico, il sentimento più nobile, lo sforzo più energico, alla fine devono cedere di fronte alla fatica del quotidiano. E a prendere il sopravvento sono da un lato la noia, dall’altro l’istinto.

Da soli non ce la facciamo a vincere noi stessi, la nostra debolezza: da soli l’unica esperienza veramente umana che possiamo mettere in atto è il tradimento. Non ci sono riusciti nemmeno gli Apostoli, che pure erano stati con Lui tre anni, oltre mille giorni in Sua compagnia, mattina, pomeriggio e sera: alla prima difficoltà lo hanno tradito. Lo ha tradito Giuda, lo ha tradito Pietro.

Siamo quindi stati creati per tradire?

La seconda parola che mi viene in mente è la parola misericordia.

Dio è misericordioso, amoroso, caritatevole. Dio è infinito amore e infinito perdono. E’ l’unico che può abbracciare il cuore dell’uomo improntato al tradimento e consolarlo.

Nella storia del mondo, sino ad oggi, solo un essere umano che ha calpestato questa terra si è dichiarato Figlio di Dio. Questa persona si chiama Gesù di Nazareth ed è venuta al mondo per prendere su di sé il tradimento del nostro cuore e redimerlo, riscattarlo, purificarlo, donarci un cuore nuovo capace di amare veramente.

Ma che prove abbiamo di ciò?

La terza parola che mi viene in mente è la parola resurrezione.

La Pasqua che andremo a celebrare tra poche ore è una Pasqua di resurrezione. Perché quell’uomo di nome Gesù, morto crocifisso dal tradimento dei suoi concittadini, dei suoi confratelli, dei suoi amici, rinchiuso in un sepolcro, dopo tre giorni è resuscitato.

Gesù, l’unico giusto al mondo che non ha mai tradito il suo destino umano, è passato dalla condizione cui tutti noi tendiamo, la morte, e l’ha vinta tornando in vita. Solo seguendo la sua via, il nostro cuore può imparare a rimanere fedele a sé stesso, al proprio desiderio di felicità, di solito infranto dall’inevitabile tradimento.

Anche oggi, immersi come siamo in un mondo fatto principalmente di immagini, quante volte al giorno siamo testimoni del nostro e dell’altrui tradimento? Quando poi il tradimento ultimo, la morte, colpisce i più indifesi, i più piccoli tra di noi, a volte il nostro cuore non riesce a sopportare la fatica ed arriva anche a ribellarsi a Dio. Ci chiediamo le ragioni di tutto questo male, di questo dolore. Ma non troviamo una risposta.

Ebbene, non sempre esiste una risposta al male del mondo. Non esiste una persona al mondo, neanche il Papa, che sappia dare una spiegazione razionale al dolore di una mamma che vede morire il proprio bambino, magari affogato in mare mentre stava cercando di portarlo in una terra accogliente (l’Europa) lasciandosi alle spalle anni di guerre e carestie. Nessuno può giustificare il dolore derivante dalla perdita di una persona che esce di casa per recarsi al lavoro e rimane vittima di un attentato in una stazione della metropolitana.

Solo la misericordia di Cristo è capace di abbracciare questo dolore e farsi sua compagnia. Occorre però che il cuore dell’uomo si renda disponibile a questo abbraccio misericordioso, che metta in gioco la propria libertà e dica il suo sì.

Questa è l’unica condizione per evitare di essere solo burattini nelle mani di un Altro.

Buona Pasqua a tutti.  

martedì 9 febbraio 2016

Renzi e il Festival di Sanremo...





Premessa: non siamo mai stati teneri con Berlusconi e i suoi governi. All’esperienza politica del Centro Destra italiano degli ultimi vent’anni addebitiamo il tradimento di quella rivoluzione liberale che avrebbe dovuto rimodernare il Paese, ma che nei fatti non si è vista.

Questo mancato rinnovamento ha comportato per l’Italia, rimasta fanalino di coda della UE, dopo quattro anni di crisi economica mondiale e l’uscita di scena pilotata dell’ultimo governo Berlusconi nel 2011, di dover subire i draconiani tentativi di salvataggio del proprio sistema economico, tutt’altro che riusciti, per motivi diversi, dei Governi Monti e Letta.

Fu per questo che gli italiani nel 2014 accolsero il giovane premier Renzi con entusiasmo e gli aprirono un mandato di credito quasi illimitato. Certo, forse non tutti i proclami del nuovo leader vennero accolti seriamente, con convinzione profonda, come quando all’inizio egli si presentò, promettendo di attuare nel Bel Paese una riforma al mese. Quella affermazione, agli occhi ormai senza più lacrime degli italiani, sembrò una boutade piuttosto che una to do list, un programma da attuare. Ma la fiducia rimase, anche perché alternative all’orizzonte non se ne vedevano… 

Poi finalmente arrivarono i primi tentativi concreti di cambiare il Paese, a partire dalla riforma costituzionale e dalla legge elettorale, tutt’ora non approvate, ma in dirittura d’arrivo. Seguirono la riforma del lavoro, della pubblica amministrazione, quella fiscale. Altre riforme invece si arenarono quasi subito. Come quella relativa alla riduzione dei costi della macchina amministrativa, la c.d. spending review, sbandierata nei primi mesi, letteralmente evaporata dopo la vendita delle prime dieci auto blu.

Ma tant’è. Il credito degli italiani a Renzi era tale e l’economia mondiale in ripresa, che il 2014 e l’inizio del 2015 passarono con il vento in poppa. Il grande successo del PD alle Europee del 2014 e l’indubbio successo di Expo nel 2015, di cui il Premier non mancò di evidenziarne la riuscita come fosse stata opera del suo Governo, contribuirono a rendere la leadership renziana sempre più convinta di avere l’appoggio della maggioranza degli italiani.

Ed è proprio da questa convinzione di aver in pugno il Paese, che hanno inizio i problemi attuali del governo Renzi. Alcune riforme attese da tempo, come quella del Jobs Act, nel corso del 2015 non hanno dimostrato di portare gli esiti sperati, cioè una riduzione della disoccupazione. Quella del sistema bancario, impostata nel 2015, sino ad ora non ha contribuito a creare quel clima di fiducia dei mercati nei confronti del nostro sistema economico, del nostro Sistema Paese, che rimane osservato speciale.

Di più, in Europa Renzi ha cercato di monetizzare troppo presto il pacchetto delle riforme interne, alcune ancora in corso, altre solo abbozzate (i famosi compiti a casa), chiedendo alla Commissione alcuni punti di flessibilità in più per la nostra spesa pubblica in un momento storico dove purtroppo la crescita economica vista nel biennio 2014/2015, peraltro debole, si sta fermando.

E arriviamo agli ultimi mesi, trascorsi con il dibattito politico interno focalizzato sulla riforma costituzionale e sulla legge per la parità dei diritti per le coppie omosessuali, mentre i pensieri degli italiani andavano da tutt’altra parte. Un tentativo per distogliere la mente dalla gravità della situazione economica?

Diciamo la verità: se al posto di Renzi ci fosse stato Berlusconi e la Borsa di Milano avesse perso dall’inizio dell’anno ad oggi quasi il 25% del suo valore di capitalizzazione, il leader di Centro Destra sarebbe stato oggetto di una potente campagna denigratoria e costretto alle dimissioni, come accadde nel 2011.

Con Renzi invece, come si sta comportando l’establishment che conta in Italia? Per ora tace, cercando appunto di distrarre l’opinione pubblica portandola ad occuparsi di grandi tematiche, di massimi sistemi che coinvolgono emotivamente le persone e le allontanano dagli argomenti spigolosi.

Fino a quando potrà durare il giochetto?

Perché una cosa è certa: in politica si guadagna il consenso e il potere con le promesse di un mondo migliore, ma si perde potere e consenso quando la borsa della spesa rimane vuota.

Ma da stasera ricomincia il Festival di Sanremo...

mercoledì 27 gennaio 2016

E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino...




E alla fine, la solita montagna partorì il solito topolino...

Viene da dire che il Ministro Padoan forse poteva concedersi qualche ora di sonno in più nella giornata di ieri ed evitare un tour de force con la dura commissaria danese Margrethe Vestager per spuntare un risultato come quello ottenuto sulla bad bank italiana che, alla fine, come voleva l’Europa, non si farà.

Dodici mesi di dibattiti, polemiche, incontri, più o meno istituzionali, sui diversi tavoli europei per poi partorire un accordicchio come quello di ieri. Che disastro. Per il nostro Governo, per Renzi, ma anche per l’economia italiana e in ultima analisi anche per l’Europa. 

Questo i falchi delle Nazioni del Nord non l’hanno ancora capito: ostacolare la ripresa della nostra economia e del nostro sistema finanziario, alla lunga non gioverà neanche a loro, sempre che alla lunga ci sia ancora una parvenza di unità economica europea da difendere.

Per rendere comprensibile al maggior numero di lettori il nocciolo dell’accordo ottenuto dal nostro ministro ieri sera possiamo dire che al posto di una bad bank italiana, ci saranno più cartolarizzazioni di crediti a sofferenza.

Mi spiego: i crediti a sofferenza delle banche (circa 200 miliardi di euro) resteranno nei bilanci delle singole banche che però potranno (non saranno obbligate) a fronte di un pacchetto di crediti ben individuato e con ancora qualche possibilità di recupero (in sostanza quelli meglio garantiti in via reale con ipoteche) cartolarizzarli, ossia emettere obbligazioni di pari valore dei crediti individuati. 

Inoltre, alla garanzia reale già collegata a questi crediti cartolarizzati, lo Stato italiano per renderli maggiormente appetibili a coloro che sottoscriveranno le obbligazioni, offrirà, dietro il pagamento di una commissione a carico della banca emittente, una ulteriore garanzia pubblica, statale. 

Così confezionato, il pacchetto regalo di obbligazioni “ex spazzatura” potrà essere allocato presso la BCE dove il nostro concittadino Draghi li accetterà in conto deposito elargendo alla banca depositaria liquidità che potrà essere spesa per sostenere, in teoria, gli investimenti di famiglie e imprese.

Questo in estrema sintesi. 

Di fatto questo è un modo elegante per prendere tempo senza risolvere il problema. E' certo infatti che prima o poi le obbligazioni dovranno essere rimborsate dalla banca emittente la quale per giunta si troverà sempre nei suoi bilanci i crediti a sofferenza, quelli appunto che nel frattempo ha cartolarizzato. E quindi mantenendo questi incagli nel suo bilancio, la banca dovrà sempre effettuare accantonamenti di fondi a scopo prudenziale come prevede la normativa bancaria europea. Questi accantonamenti continueranno pertanto, come accade oggi, ad essere una zavorra alla crescita economica.

In sintesi da questa super manovra del nostro Ministro Padoan non si otterrà quella spinta che tutti aspettavano per dare una scossa alla nostra economia che, ormai è chiaro, ha riacceso il motore, ma è rimasta in folle, e la strada non è in discesa.

Ci si accorge ora che non aver affrontato il problema banche negli anni passati, quando altre Nazioni hanno approfittato dei fondi Salva Stati per ripianare i buchi nei bilanci degli istituti di credito, è stato un errore strategico. Ora la normativa europea è cambiata con l’entrata in vigore del c.d. Bail in e non è più possibile operare come in passato, ma questo è avvenuto anche grazie al voto dei rappresentanti italiani presenti in Europa.

Allora viene un dubbio: ma i nostri parlamentari e politici eletti nelle diverse istituzioni europee hanno idea di cosa votano, e si rendono conto se i temi che si discutono possano o meno danneggiare il Paese?

L’impressione che si ricava da questa come da altre vicende europee è quella che abbiamo eletto in Europa una massa di politici impreparati ad affrontare temi tanto complessi, che si riempiono la bocca in campagna elettorale di parole di cui probabilmente ignorano il significato e che forse sono più interessati agli emolumenti che le cariche europee riconoscono che a portare avanti politiche sensate per il nostro Paese.

Alla fine, si ritorna sempre al punto fondamentale: quello che fa la differenza è la coscienza con cui si compie il proprio lavoro, qualunque esso sia, dal pulire una strada al votare una legge a Strasburgo o scrivere un articolo alla sera dopo cena, perché l’ultima a morire è la passione per questo Paese, il più bello del mondo, se non fosse per certi concittadini.

sabato 16 gennaio 2016

Cinema è Sogno



Cinema: una parola che segna tutte le stagioni della vita di ognuno di noi. La fanciullezza con i primi film a disegni animati che ci fanno ridere e contemporaneamente ci insegnano le regole elementari della convivenza, la gioventù con l’attenzione rivolta a conoscere il mondo dei sentimenti nel quale siamo immersi fuori e dentro di noi, l’età adulta, fatta di giudizio, di confronto, di conferme ed a volte di delusioni, la vecchiaia che si consola del tempo passato di fronte a quel medesimo schermo che le aveva svelato anni prima il futuro.

Il buio nella sala, il silenzio improvviso, la musica e le immagini: che lo spettacolo abbia inizio! Quanti brividi lungo la schiena hanno accompagnato l’inizio del film che avevamo scelto di vedere per trascorrere un paio d’ore in un altro mondo, forse in un nuovo mondo dove non saremmo mai più tornati?

Le parole. Nell’esperienza che si prova guardando un film, e non a caso non si dice leggendo un film, forse le parole, il discorso scritto e letto dei dialoghi ascoltati gustando l’opera, sono il lato più nascosto dell’arte cinematografica.

A questa lacuna, se così possiamo definirla, ha posto rimedio il volume di Giuseppe Alessio Nuzzo, Cinema è Sogno, edito da Pulcinella Editore di Acerra, Napoli.

L’opera raccoglie alcune tra le battute più significative e passate alla storia, dei film italiani dal 1930 ai giorni nostri. Certo, sono le frasi più belle secondo il gusto e la sensibilità dell’autore, che peraltro vive di e per il cinema, [Giuseppe Alessio Nuzzo, per chi non lo conoscesse è l'Ideatore e il Direttore del Social World Film Festival, Mostra Internazionale del Cinema Sociale di Vico Equense e vanta plurime esperienze internazionali nel mondo del cinema] ma vi assicuro che leggendo il libro sarà come ritornare indietro nel tempo della propria fanciullezza (che per il sottoscritto è iniziata nei primi anni Settanta) e da lì ripartire in avanti nel tempo per rivivere quelle sensazioni, quei sentimenti e quelle gioie provate la prima volta di fronte alle pellicole e scoprire che le stesse hanno costituito il nostro animo, il nostro modo di vedere la vita più di quanto noi stessi potevamo immaginare.

E’ stato un piacere profondo leggere e ricordare le frasi e i dialoghi di quei film che ci avevano colpito e stupito e fatto riflettere e pensare, come invece è stata una sorpresa leggere delle frasi o spezzoni di film che, senza averli visti in sala, ci è venuta voglia di conoscere. 

Perché anche a questo serve la scrittura e servono i libri: a divulgare e a far sorgere il desiderio di conoscere e di scoprire la realtà che ci circonda. Quello di Nuzzo è un libro per gli amanti del cinema, ma non solo. Direi per gli amanti della vita in generale, che se poi la vita la leggi attraverso gli occhi di una bella storia vista al cinema, forse è ancora più bella.

Però attenzione: “La vita non è come l’hai vista al cinematografo: la vita è più difficile”. Nuovo Cinema Paradiso di Giuseppe Tornatore, 1998 – Cristaldifilm

Cinema è Sogno è un’opera da tenere a portata di mano sul proprio comodino per farci compagnia quando ne abbiamo bisogno, peccato tenerla semplicemente sullo scaffale della libreria.


lunedì 11 gennaio 2016

Le référendum est-nous



L'appuntamento politico italiano più importante dell'anno 2016 sarà il referendum costituzionale che si terrà in ottobre. Il Premier Renzi non smette di sottolinearlo in queste prime giornate di ripresa della vita politica. Tutto ruoterà attorno a quell'evento. Dall'esito della consultazione dipenderà il futuro politico di Renzi e del Governo. Almeno, è in questi termini che la questione è stata posta dai medesimi.

In effetti, a ben pensarci, tutto quanto ha fatto sinora il Governo, indipendentemente dal giudizio positivo o negativo che ciascuno di noi dà al suo operato, trova le sue fondamenta nelle riforme di quelle norme costituzionali che sono state votate, attenzione non decise, ma solamente votate, in Parlamento. 

Da tali riforme l'Italia si dovrebbe aspettare la ripresa di quel circolo virtuoso che rimetterebbe in moto la vita politica, quella civile e infine quella economica del Paese. Personalmente crediamo e speriamo che un forte contributo alla rinascita del nostro Paese possa veramente arrivare da queste riforme, attese da anni. 

Ecco allora che diventa fondamentale per il destino del Paese, in questi dieci mesi che ci dividono dall'appuntamento referendario, approfondire e comprendere le modifiche che sono state approvate dal Parlamento, cercando di essere liberi il più possibile da pregiudizi e steccati ideologici perché in gioco c'è il futuro dell’Italia.

Se venissero bocciate le riforme, significherebbe che la stagione riformista del più giovane Premier che l'Italia repubblicana abbia avuto è arrivata al capolinea. Viceversa, se confermate, il Governo avrebbe il via libera nel proseguire la sua opera riformatrice almeno sino alle politiche del 2018.

Ma il problema secondo noi sta proprio qui. E' corretto collegare la vita del Governo Renzi all'esito del referendum? Tutti noi siamo consapevoli di come l'Italia abbia bisogno di ridisegnare il suo abito costituzionale, in alcuni punti desueto e tagliato su misura per un'Italia diversa da quella di oggi.

Ma c'è modo e modo per giungere ad un risultato. Quello scelto da Renzi, lo diciamo senza problemi, non ci convince in alcuni passaggi, soprattutto perché in gioco c'è la modifica della Costituzione. Certo, il Premier fa valere il fatto che si è comunque giunti ad una riforma, mentre in passato i tentativi di modificare il sistema si erano sempre arenati. Ma è sufficiente l'aver voluto raggiungere un risultato a tutti i costi per ritenersi soddisfatti? 

Sono solamente due i precedenti analoghi referendum costituzionali: il referendum del 2001 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo D'Alema) e quello del 2006 (su modifica della Costituzione proposta dal Governo Berlusconi). Il primo confermò la decisione del Parlamento (con una partecipazione al voto decisamente bassa: 34,1% degli aventi diritto che approvarono la riforma con il 64,2% dei voti) e la riforma entrò in vigore; mentre il secondo venne bocciato dal popolo (la partecipazione al voto fu superiore al 2001 e pari al 52,30% degli aventi diritto ma la riforma fu bocciata dal 61,32% dei votanti). 

Nel primo caso, nel 2001, quando si tenne il referendum, le forze politiche (di Centro Destra) che sostenevano il Governo in carica (Berlusconi) erano opposizione al tempo della riforma votata dal Parlamento e confermata dal voto popolare (Riforma D'Alema). Nel 2006 capitò la medesima cosa: quando si tenne il referendum (25 e 26 giugno 2006) era da un mese salito in carica il secondo Governo Prodi e le forze politiche che avevano proposto la modifica della Costituzione (di Centro Destra) erano diventate minoranza nel Paese. La riforma però questa volta fu bocciata nel referendum con una maggioranza superiore a quella del 2001.

Questo per dire che un conto è sostenere la politica di riforme, anche coraggiose, che sta portando avanti l'attuale Governo Renzi, diverso è valutare nel merito la bontà o meno delle riforme stesse.

Certo non è un compito facile, ma abbiamo ancora dieci mesi per informarci e pensarci. L'importante è non sprecare questo tempo. Facciamoci trovare preparati perché questa volta sarebbe un errore imperdonabile mancare l’appuntamento con la storia.