Il ritorno di Lenin a San Pietroburgo |
Sono trascorsi cento anni dalla “Rivoluzione” russa, che portò al potere per la prima volta nella storia il partito dei bolscevichi, ossia quella frazione minoritaria della società russa, di ispirazione marxista, che guidata da Lenin riuscì in pochi mesi, dal marzo all’ottobre 1917 a rovesciare il potere zarista e sostituirlo con la dittatura del proletariato.
Nonostante l’anniversario sia significativo, non ci sembra che la stampa e i mezzi di informazione lo abbiano ricordato dedicandovi particolare spazio e attenzione. Men che meno il tema è stato affrontato da partiti o associazioni culturali che del marxismo e dei suoi derivati si sono nutriti in questi ultimi cento anni: silenzio assoluto. Voglia di dimenticare le origini?
Unica eccezione un’interessante mostra dal titolo “1917 – Russia il sogno infranto di un mondo mai visto” presentata al Meeting di Rimini ad agosto e curata da Adriano Dell’Asta, Marta Carletti e Giovanna Parravicini i cui pannelli sono stati riuniti in un volume edito da La casa di Matriona con il medesimo titolo.
Cosa accadde in Russia, cento anni fa? Quali furono le cause che portarono alla caduta di un regime, quello zarista, tra i più longevi del continente europeo, il cui capo supremo, lo Zar, era sia capo civile che guida religiosa?
Le motivazioni che per decenni abbiamo letto e ascoltato, facevano riferimento allo sfruttamento delle classi più umili e povere (contadini e operai), da parte della borghesia e della nobiltà legata allo zar che ad un certo punto trovarono la forza e il coraggio di ribellarsi. Queste classi, guidate da personaggi intellettualmente superiori, tra i quali certamente spicca Lenin che fu il vero regista della presa del potere da parte dei bolscevichi, riuscirono ad abbattere il vecchio regime, instaurando il governo del popolo. Questa, in estrema sintesi, la storiografia ufficiale sulla Rivoluzione russa che abbiamo letto in classe nei libri di storia sino a qualche anno fa.
In realtà le cose non andarono proprio così.
La Russia di inizio ‘900 non era così arretrata come la si dipinse dopo la Rivoluzione. Tre dati per rendere l’idea: l’incremento della produzione industriale nel periodo 1900 – 1913 fu del 74,1%; nel 1915 il 51% dei bambini dagli otto agli undici anni aveva ricevuto l’istruzione elementare e il 68% dei soldati sapeva leggere e scrivere. Nel campo delle arti, della letteratura e della scienza, la Russia in quei primi anni del XX secolo non era seconda a nessuno. Certo, esistevano sacche di povertà, la riforma agraria non era ancora compiuta, ma nel complesso la società russa non viveva al di sotto del livello economico e sociale che ritroviamo in altri Paesi europei.
Le cause della crisi che portarono alla Rivoluzione sono da ricercarsi nello svuotamento di significato dell’origine stessa dell’autorità del potere: lo Zar e la Chiesa ortodossa.
Il sistema autocratico impersonato dallo Zar non fu più adeguato ai nuovi tempi e la Chiesa, abituata da secoli ad essere asservita al potere secolare, non sembrò essere in grado di rispondere alle nuove sfide che stavano provocando la società, come l'esigenza di una maggiore libertà di espressione, i diritti dei lavoratori, la riforma della proprietà della terra, le libertà politiche e così via. Diventata religione di Stato, la Chiesa ortodossa smarrì le ragioni profonde della propria missione.
Così il filosofo Berdjaev descrive il periodo precedente la Rivoluzione: “Il nostro popolo è gravemente malato, malato nell’anima, sta attraversando una crisi profonda, ha perduto la luce della vecchia fede e non ha trovato alcuna nuova luce. Il popolo è schiavo dei propri istinti e passioni peccaminose, è facile sedurlo e ingannarlo, è facile fargli violenza. […] Chiunque lo può confondere e può dirigere la sua volontà in qualsiasi direzione, ad attaccare la borghesia e la società colta oppure gli ebrei e gli stessi rivoluzionari. È libero e protetto solo chi ha un centro spirituale, chi ha un nucleo morale che non è scosso e indebolito”.
Nei successivi articoli analizzeremo più da vicino le ragioni del crollo della fiducia nei confronti dello Zar, la crisi in cui si trovò la Chiesa ortodossa all’inizio del ‘900 e la diabolica cronologia di eventi che in otto mesi consegnarono una delle più grandi e popolate nazioni del mondo, la Russia, nelle mani di un manipolo di bolscevichi che per settant’anni tentarono di realizzare l’utopia di creare un uomo nuovo, senza Dio, senza famiglia, senza legami tranne quello che lo stringeva a doppio filo al Partito del popolo.
La.distanza aiuta la riflessione e la ricerca delle "cause" che muovono la storia in alcune direzioni e non in altre... Attore sempre l'uomo, più o meno consapevole. Sono curiosa, Lorenzo, di proseguire nell'approfondimento della rilettura di una vicenda che riverbera fino ai nostri giorni.
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