Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

sabato 9 dicembre 2017

Un bimbo di nome Gesù

Natività di Gentile da Fabriano - 1423

È sicuramente un caso che la decisione di questi giorni del Presidente Trump di spostare l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme abbia di fatto riacceso l’attenzione dei media internazionali su Gerusalemme e sulla Palestina, terra dove 2017 anni fa è nato un bimbo di nome Gesù del quale a breve ci apprestiamo a celebrare la memoria della sua nascita.

Quel bimbo, divenuto grande grazie alle attenzioni, alle cure e all’educazione ricevuta dai suoi genitori, ad un certo punto della sua esistenza ha iniziato a parlare in pubblico e a rivelare la propria missione, ciò che era venuto a fare sulla terra.

Gesù è stato l’unico uomo, di cui esistono documenti ufficiali e riscontri storici inconfutabili, che si è dichiarato figlio di Dio.

Di fronte a questa affermazione, inaspettata, imprevedibile, potente, sconvolgente, la nostra libertà, ora come allora, è chiamata a confrontarsi.

Credere o non credere alle parole, ai gesti compiuti da quell’uomo e giunti sino ai nostri giorni dai testimoni della Fede? Questa è la domanda radicale dell’esistenza umana.

Il vero mistero della vita non è domandarsi se un Dio esista, ma stupirsi dell’esistenza di un uomo con una libertà simile a quella di Dio. Nessuno infatti rispetta la nostra libertà come lo fa Dio.

L’uomo ha sempre desiderato la libertà più di ogni altra cosa al mondo, ma questo desiderio è anche di Dio e di suo figlio Gesù. È dai tempi di Adamo ed Eva che l’uomo anela alla libertà, la vuole raggiungere con le sue forze, senza dipendere da nessuno. Mentre Dio si è abbassato e si è fatto nostro compagno di viaggio, l’uomo invece si è innalzato al livello di Dio e lo ha rifiutato.

Ma come diceva Sant’Agostino: “Di quanti padroni diviene schiavo, chi non riconosce Gesù come unico Signore!”.

Senza il rapporto con Dio, e con suo figlio Gesù, l’uomo perde l’unico punto di riferimento che lo rende capace di dare significato ad ogni sua azione e l’esito di questa separazione purtroppo è sempre più sotto gli occhi di ognuno di noi.

Approfittiamo di questo Natale per rivolgere uno sguardo, un pensiero a quel Bambino, nato a Betlemme di Giudea, a pochi chilometri da Gerusalemme, la città dove quel bambino, divenuto Uomo, è morto a causa del nostro orgoglio e della nostra libertà.

lunedì 27 novembre 2017

Umberto è andato in America



L’ultima opera di Giuseppe Carfagno si intitola Umberto è andato in America, con sottotitolo: Diario per un amico.

Confessiamo subito che il libro l’abbiamo letto d’un fiato, e subito ci è piaciuto: per la passione con cui è stato scritto, per l’amore che sgorga dalle pagine ricche di ricordi e di episodi curiosi, riferiti ad un mondo che è stato dei più, ma è ancora nella memoria di pochi, e che il professore di Barile ci ripropone con la consueta maestria, narrandoci le avventure di un ragazzino di dieci anni e dei suoi amici.

Il romanzo è scritto per coloro che vogliono ripercorrere la propria gioventù attraverso il ricordo di episodi semplici, quotidiani, vissuti da un gruppo di fanciulli in una Basilicata post bellica, in cui è presente l’essenziale e ancora assente il superfluo, presa come regione simbolo di un’Italia già in cammino e desiderosa di ritrovare i motivi per sperare in una ripresa.

Ma Umberto è andato in America è anche l’occasione per i più piccoli di conoscere le origini della propria famiglia, di scoprire cosa facevano e come si divertivano i propri nonni all’inizio degli anni Cinquanta.

E così ecco il gruppetto di amici andare alla ricerca dell’aereo caduto, partire per una giornata di pesca al lago, un’avventura nel bosco o perdersi nella grotta del brigante…

Ma il titolo del romanzo, a cosa si deve? Chi è Umberto? E perché è andato in America?

Umberto è l’amico del cuore di Giuseppe, l’altro ragazzino protagonista del romanzo, che fa da narratore e da fil rouge per l’intera opera. Perché Umberto sia andato in America, sempre che vi sia andato, noi ora, qui non ve lo diciamo!

Una cosa però ci sentiamo di dirvi: leggete il libro in compagnia del vostro nipotino e insieme vivrete un’emozione indimenticabile.

Arricchiscono l'opera le piacevoli illustrazioni di Alessia Coppola.


Giuseppe Carfagno, Umberto è andato in America, il Ciliegio Edizioni, 2017
 

martedì 31 ottobre 2017

Furlana - Storia di questa notte



Furlana, storia di questa notte, è il titolo del nuovo romanzo di Francesco Fadigati. Alla sua terza impresa letteraria, dopo il primo romanzo di genere storico e il secondo completamente immerso nella contemporaneità, questo terzo lavoro di Fadigati stupisce il lettore per l’impostazione duale data all’opera. Diciamo subito che il libro ci è piaciuto, anche se all’inizio ci ha disorientato, diviso com’è tra una parte fiabesca e una parte romanzo epistolare, dove le epistole sono sostituite da mail che i due protagonisti, Andrea e Miriam, si scrivono nell’arco di una notte. 

A Furlana, nome di fantasia che identifica la terra promessa all’umanità, troviamo un quartetto improvvisato di amici, un cavaliere, un pirata, un pastore ed un ragazzino che, guidati e sostenuti da una curiosa vecchina, un po’ Mary Poppins, un po’ Fata Turchina, vanno incontro al loro destino, che è quello di liberare la terra promessa dal Male.

Alternato ai capitoli della fiaba, ha luogo lo scambio di mail tra Andrea e Miriam, e poco a poco al lettore viene svelata la loro storia d’amore. Ma quelle che in apparenza sembrano due storie parallele, sono in realtà unite dallo studio profondo che Fadigati compie, attraverso la scrittura precisa e il puntuale uso delle parole, nell’analizzare sia il legame affettivo che unisce i due giovani, sia le dinamiche profonde che muovono i personaggi della favola. E alla fine il lettore si accorgerà che quello che c’è alla base del rapporto affettivo tra Andrea e Miriam, la verità di quel rapporto, ha la medesima origine che è alla base dell’amicizia del quartetto che, nonostante sia sgangherato come è sgangherata la nostra umanità, si batte e lotta per la liberazione di Furlana.

Fadigati dimostra di ben conoscere che le storie sono percorsi di umanizzazione che insegnano che cambiare è possibile, che diventare uomini e donne migliori è possibile, ed è alla portata di tutti: con Furlana viene lanciato al lettore proprio questo messaggio. Furlana apre alla fiducia nella vita e in noi stessi, aiuta a cogliere l’invisibile che è presente nel visibile, lo straordinario che vive nell’ordinario, la magia che è nascosta nel quotidiano.

E più il lettore si addentrerà in Furlana, e più andrà alla radice del significato del rapporto che lega Andrea e Miriam, e più scoprirà che quello che sta leggendo è quello a cui il suo cuore anela.

Sintetizzando, ci sembra di poter affermare che «Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo», questo il senso del romanzo, per utilizzare una frase del beato Mons. Luigi Giussani.

Un libro da leggere, un passo da compiere, dentro la nostra personale Furlana.


Francesco Fadigati, Furlana, Storia di questa notte, Bolis Edizioni 2017

venerdì 27 ottobre 2017

La Rivoluzione russa: considerazioni finali

Giovannino Guareschi

Scriveva Giovannino Guareschi che le più grandi sciagure dell’umanità sono state originate da chi ha voluto semplificare la vita, pianificando il mondo.

Questa affermazione ben si adatta a chiudere la serie di post che abbiamo pubblicato sulla rivoluzione russa, perché in fondo, proprio questo Lenin aveva in mente: la creazione di un nuovo mondo e di un nuovo uomo che fosse finalmente libero di vivere felice sulla terra, senza più le costrizioni, le catene e i pesi imposti dalla cultura della borghesia capitalista: in sostanza il paradiso sulla terra, forgiato dagli uomini senza l’intervento di Dio. 

Il nuovo leader non lascia passare molto tempo prima di iniziare la sua opera. Appena conquistato il potere, il 26 ottobre 1917, Lenin fa emanare dal Congresso dei Soviet i primi tre decreti attuativi del nuovo ordine che da lì a pochi mesi verrà imposto a tutta la Russia. Il primo decreto chiede una pace giusta ai Paesi belligeranti e pone fine all’intervento russo nella prima guerra mondiale. Il secondo decreto legalizza gli espropri compiuti dai contadini e socializza la terra. Il terzo decreto riguarda la formazione del nuovo governo degli operai e dei contadini, di cui Lenin è nominato Primo ministro.

Il giorno successivo, 27 ottobre, da Premier Lenin emana il decreto sulla stampa borghese, che viene messa fuori legge. Vengono immediatamente chiusi 122 giornali e altre 340 testate saranno chiuse entro l’agosto 1918. Il libero confronto delle idee in Russia è diventato un reato. Il 22 novembre 1917 viene emesso il decreto sui Tribunali che prevede lo smantellamento del sistema giudiziario pregresso e l’instaurazione dei Tribunali rivoluzionari: la giustizia d’ora in avanti è al servizio del partito unico. Il 7 dicembre 1917 viene istituita la Ceka, un ente speciale per la repressione e la lotta alla controrivoluzione il cui comandante risponde al capo supremo del Partito, non del Governo. Insieme a questa struttura nasce anche una nuova categoria umana, il cekista, un tutore dell’ordine che ha devoluto la propria coscienza personale alla causa del partito.  Il 16 dicembre 1917 viene rilasciato il decreto sul matrimonio civile che è l’unico riconosciuto legalmente, mentre quello religioso diventa un fatto privato. Inoltre nel 1920 la Russia sovietica diventerà il primo Paese al mondo a legalizzare l’aborto.

La fine della guerra, la terra ai contadini, la libertà di stampa, l’amministrazione della giustizia, il controllo del partito sulla società, il matrimonio: tutti temi caldi nella Russia del 1917 e Lenin capisce che deve partire da essi per iniziare l’opera di sradicamento delle vecchie abitudini e della vecchia cultura pre-rivoluzionaria, anche a costo di rieducare forzatamente milioni di russi alla novità rappresentata dall’uomo sovietico.

In pochi mesi Lenin getta le basi per dare vita ad una rivoluzione culturale, ispirata al marxismo: la creazione di un uomo nuovo che poggi la sua fede esclusivamente nel partito e si identifichi in esso come ideale, modello e valore esaustivo di vita. Ma qui sta il punto dolente: dalla totale liberazione desiderata da Lenin per la sua creatura, l’uomo sovietico, si passa al totale controllo dell’io e dei suoi affetti, sino ad arrivare ad un radicale materialismo e alla creazione di una vera e propria religione atea, al posto di quella cristiana.

Il tentativo di Lenin e dei suoi seguaci è quindi fallito, ma questo è un fatto acclarato e non è questo il momento di analizzare i settant’anni di storia dell’Unione Sovietica. Le ragioni del fallimento sono già tutte presenti nell’emissioni dei primi decreti di Lenin: non è possibile infatti ingabbiare l’uomo per lungo tempo e costringerlo a comportamenti che non lo costituiscono e lo privano della propria libertà: presto o tardi essa risorgerà e si farà sentire.

Scrive Berdjaev nel 1917: “Nella vecchia Russia non c’era abbastanza rispetto per la persona umana. Ma ora ce n’è ancora meno. A intere classi sociali viene negato il valore della persona, non si rispetta la persona; nei riguardi delle classi sociali che la rivoluzione emargina, si compie un omicidio spirituale che poi si trasforma facilmente in omicidio fisico”.  E lo storico Pierre Pascal scrive nel 1934: “Il contadino russo che aveva visto nella rivoluzione del 1917 il mezzo per liberarsi dal giogo dello Stato, il cui peso sopportava da secoli, paga oggi il prezzo di un sistema totalitario che non conosce eguali nella storia”.

Quello che Lenin ha ignorato era il fatto che per realizzare il paradiso sulla terra, semmai lo si volesse proprio edificare, non era necessario rivoluzionare con la forza gli usi e i costumi di un popolo, ma era sufficiente puntare al cambiamento del cuore dell’uomo: solo così infatti, parlando al cuore dell’uomo, senza costrizioni, si può pensare di ottenere nel tempo quei piccoli cambiamenti quotidiani che potranno farci vivere attimi di felicità sulla terra.

lunedì 16 ottobre 2017

La Rivoluzione russa: la fase finale - cronistoria del 1917

Lenin

Lenin, grazie all’aiuto della Germania che sperava che lo scoppio della Rivoluzione potesse convincere lo zar a ritirare le sue truppe dal conflitto mondiale, rientra in patria dalla Svizzera i primi giorni di aprile del 1917.

Il 21 febbraio Nicola II parte per il fronte russo – tedesco e lascia il governo in mano a Rasputin.

Il 23 febbraio inizia l’insurrezione di Pietrogrado (dopo l’inizio della prima guerra mondiale la città aveva cambiato nome da Pietroburgo, nome con troppe assonanze con la lingua tedesca) e Nicola II ordina di reprimerla con la forza. Il 27 febbraio avviene però l’ammutinamento della guarnigione della capitale, si ricostituisce il Soviet di Pietrogrado e nasce il Comitato provvisorio della Duma dando inizio di fatto ad un doppio potere in Russia, Soviet e Duma. [Il primo Soviet (Consiglio) degli operai era nato dopo la domenica di sangue del 1905 ed era l’organismo di base per organizzare la protesta nelle fabbriche e gli aiuti alle famiglie degli scioperanti. All’interno del Soviet erano già presenti i meccanismi politici tipici del partito unico bolscevico]. Il 28 febbraio Nicola II lascia il fronte e ritorna a Pietrogrado. Il primo marzo lo zar convoca i generali dell’esercito. Il Soviet di Pietrogrado abolisce la disciplina militare. L’esercito russo è nel caos totale. Nasce il Soviet a Mosca.

Tra il primo e il due di marzo nasce il Governo Provvisorio presieduto dal Principe L’vov, di ispirazione moderata, con il sostegno di Duma e Soviet, anche se di fatto sarà il Soviet a indicare la rotta politica, vista la debolezza interna della Duma. Il 2 marzo lo zar abdica a favore del fratello Michail che rinuncia alla corona il 3 marzo. Il 6 marzo viene chiesto asilo politico per la famiglia Romanov in Gran Bretagna che si era offerta di accogliere lo zar. Il 7 marzo il Soviet di Pietrogrado costringe il Governo Provvisorio a mettere agli arresti domiciliari la famiglia imperiale a Carskoe Selo. 

Lenin rientra in patria subito dopo questi eventi e inizia a perseguire l’obiettivo della presa del potere totale proclamando le famose Tesi di aprile. Il rivoluzionario sostiene che è arrivato il tempo di abbandonare la fase borghese della rivoluzione, e inaugurare quella socialista. Ogni ipotesi di valorizzare la democrazia parlamentare deve essere superata in quanto questa forma di governo è tipica della borghesia. Esclude quindi qualsiasi forma di collaborazione con il nuovo governo. Operativamente Lenin propone di non sostenere la prosecuzione della guerra, trasmettere tutto il potere al Soviet, abolire l’esercito, nazionalizzare la terra, fondere le banche in un’unica banca nazionale. È un programma radicale, demagogico e massimalista che lascia perplessi anche molti bolscevichi, oltre ad alcuni partiti radicali che si sentono scavalcati a sinistra. Dal momento dell’arrivo di Lenin, l’ala bolscevica incomincia quindi a distanziarsi dal fronte comune delle sinistre.

Nel frattempo il 10 aprile la Gran Bretagna ritira l’offerta di accogliere lo zar e la sua famiglia. Tra il 20 e il 21 aprile vi sono disordini di piazza fomentati dai bolscevichi con l’intento di far cadere il Governo Provvisorio. Il 28 aprile i bolscevichi danno vita alla Guardia Rossa. Il 5 maggio viene inaugurato un nuovo Governo Provvisorio di coalizione che vede l’ingresso di 6 ministri socialisti provenienti dai Soviet, ma i bolscevichi di Lenin sono ancora una minoranza. Infatti, al termine del primo congresso panrusso dei Soviet che si tiene dal 3 al 24 giugno (vi partecipano 285 delegati socialisti rivoluzionari, 248 delegati menscevichi e 105 delegati bolscevichi) viene deciso da parte dei Soviet di sostenere il nuovo governo di coalizione contro la proposta bolscevica di interrompere subito la guerra e di dare tutto il potere ai Soviet. Il nuovo Governo di coalizione durerà due mesi.

Intanto il 9 giugno i bolscevichi tentano un’insurrezione armata sconfessata dai Soviet e Lenin, che intuisce che i tempi per la Rivoluzione non sono ancora maturi e vede in pericolo la sua persona, il 29 giugno fugge in Finlandia.  Dal 3 al 5 luglio a Pietrogrado dopo un nuovo tentativo bolscevico di rovesciare il Governo Provvisorio, vi sono scontri armati e vittime. Il Governo accusa Lenin di spionaggio a favore dei tedeschi e ordina l’arresto di numerosi bolscevichi.

Il 24 luglio avviene un nuovo rimpasto di Governo e il socialista rivoluzionario Kerenskij diventa primo ministro. Costui è ossessionato dal timore di una contro rivoluzione da destra e decide quindi di lasciare mano libera ai contro rivoluzionari di sinistra, i bolscevichi che invece continuano nella loro impresa di far cadere il Governo per riunire tutto il potere nelle mani del Soviet, all’interno del quale però i rapporti di forza stanno mutando.

Il 9 agosto il governo Kerenskij indice le elezioni dell’assemblea Costituente per il 12 novembre, mentre il 15 agosto si apre a Mosca il tanto atteso Concilio della Chiesa Ortodossa. A fine agosto però avviene una nuova crisi di Governo che fa precipitare ulteriormente la situazione politica nel caos: lo spunto è dato dal caso Kornilov, capo dell’esercito, nominato dal primo ministro Kerenskij e poi destituito. Ad un certo punto a fine agosto si sparge la notizia di un presunto golpe militare da parte di Kornilov. Costui smentisce, ma il primo ministro non gli crede e lo destituisce, passando il potere al generale Alekseev. Inoltre, Kerenskij fa liberare tutti i bolscevichi arrestati a luglio e li arma offrendo loro un ruolo di aiutanti della legalità che li riabilita nel favore popolare.

A questo punto Lenin sente che il vento sta cambiando a suo favore. Lui sa perfettamente che le elezioni a suffragio universale non gli darebbero mai la maggioranza, che andrebbe ai socialisti rivoluzionari; inoltre un’assemblea eletta in modo popolare diventerebbe la sola legittima rappresentante del popolo e i bolscevichi non potrebbero più arrogarsi il diritto di parlare a nome del popolo e dei lavoratori. Per questo motivo qualsiasi iniziativa politica bolscevica ha bisogno della legittimazione dei Soviet, senza i quali il partito di Lenin non avrebbe alcun peso.

La crisi politica ha l’effetto per la prima volta di promuovere la politica bolscevica: tra fine agosto e settembre cambiano gli umori dei delegati del Soviet di Pietrogrado e per la prima volta i bolscevichi hanno la maggioranza. Nel tentativo di bloccare il processo di bolscevizzazione il presidium menscevico e socialrivoluzionario del Soviet si dimette con l’intento di delegittimare il consiglio in carica, ma i bolscevichi non rispettano le regole d’onore e di fair play. Approfittando del vuoto che si è creato, il 1° settembre costringono il Direttorio a proclamare la Repubblica senza aspettare la convocazione dell’Assemblea costituente. Il 9 settembre il Soviet passa anche formalmente dalla parte dei bolscevichi che riescono a far eleggere Presidente un proprio uomo, Lev Trockij. Ora il Soviet è praticamente monocolore ed è diventato uno strumento politico per la presa del potere. Il 12, 14 e 29 settembre Lenin scrive tre lettere dalla Finlandia in cui sprona i suoi a prendere il potere con le armi.

Il 25 settembre Kerenskij inaugura un nuovo Governo di coalizione, ma di fatto non governa più. Nella lettera del 29 settembre Lenin scrive ai suoi: “Abbiamo a Pietrogrado migliaia di operai e soldati in armi che possono impadronirsi immediatamente del Palazzo d’Inverno e dello Stato maggiore generale, della centrale telefonica e di tutte le grandi tipografie”. Il 9 ottobre il Soviet di Pietrogrado delibera la creazione di un braccio militare e nasce il Comitato militare rivoluzionario. Subito viene adottato dai bolscevichi che vedono un modo per legalizzare la Guardia Rossa creata ad aprile. In pratica il Comitato diventerà il centro operativo legale del colpo di Stato. Lenin torna a Pietrogrado il 10 ottobre e affronta lo scontro davanti al comitato centrale del suo partito, riesce a far prevalere la propria linea: il colpo di Stato deve precedere di pochissimo l’apertura del congresso del Soviet in modo che questo lo riconosca subito come suo. Il 21 ottobre il Comitato militare rivoluzionario chiede allo Stato maggiore dell’esercito che qualsiasi ordine alle truppe abbia la sua ratifica. Ne nasce un braccio di ferro: le truppe fedeli al Governo occupano una parte di Pietrogrado, i bolscevichi fanno altrettanto. Il Comitato invia i suoi commissari a sostituire i commissari governativi in tutte le unità militari, nei depositi di armi e munizioni, nelle fabbriche e nelle ferrovie.

Il 24 ottobre i commissari del Soviet sono piazzati in tutti i punti strategici della capitale: ponti, stazioni ferroviarie, centrale telefonica e telegrafica, banca di stato, senza di loro nessun ordine del governo può essere eseguito.  Il 25 ottobre è la giornata del colpo di Stato: Lenin dichiara deposto il Governo Provvisorio, Kerenskij si allontana dalla capitale, tutto il potere passa al Soviet. Nella notte tra il 25 e il 26 ottobre vengono arrestati dentro il Palazzo d’inverno i membri del governo da un drappello di bolscevichi. Ha inizio il tempo della rivoluzione bolscevica. Il 26 ottobre i bolscevichi aprono il II Congresso dei Soviet e Lenin viene eletto Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo.

Nessuno ricorda che il Governo deposto era un governo formato con il consenso dei partiti rivoluzionari di sinistra, che avevano fatto cadere il regime zarista. La rivoluzione del 25 ottobre non assomiglia affatto ad una rivoluzione, non ci sono movimenti di massa, non c’è resistenza, quel giorno non si conta una sola vittima. Sembra che nessuno si accorga di niente. E il fiume di sangue che seguirà, nessuno quel giorno di ottobre del 1917 lo può prevedere...


domenica 15 ottobre 2017

La Rivoluzione russa: le forze politiche in campo


Riunione della Duma

All’inizio del XX secolo, il panorama politico della Russia è decisamente variegato, e vede attive sul territorio formazioni di ispirazione liberale e altre di ispirazione socialista, ma tutte di recente costituzione (a partire dal 1898) in quanto l’impostazione autocratica dello Stato ha sempre dissuaso lo sviluppo di un’opposizione politica ufficiale.

L’elemento che unisce le diverse formazioni è la lotta all’autocrazia, che viene combattuta però con diversi metodi: il terrorismo, la propaganda, oppure la stampa. Di fatto, l’opposizione russa è costituita da un mosaico di correnti ideologiche che si combattono di continuo tra loro, e proprio questo fatto ha impedito la formazione di un ideale condiviso in previsione di una riforma dello Stato auspicata da tutte le forze.

Il polo liberale è costituito dal Partito democratico costituzionale (soprannominato dei “cadetti” dalle iniziali russe KaDe), dall’Unione del 17 Ottobre (detto anche partito ottobrista in ricordo del Manifesto zarista del 1905 che istituisce la Duma) e dall’Unione del Popolo russo.

I cadetti nascono nel 1905 e raccolgono parte della nobiltà e dell’intelligencija, ma soprattutto raccolgono adesioni tra le classi medie urbane. Nel momento di massimo successo, il partito conta circa 70.000 iscritti tra Mosca, Pietroburgo e le altre città maggiori di Russia. Il programma prevede la convocazione di un’Assemblea costituente, il suffragio universale, la Costituzione, la divisione dei poteri e tutte le libertà democratiche. Altro punto importante è la riforma agraria che dovrebbe consentire la diffusione della piccola proprietà. Loro obiettivo è creare in Russia una monarchia costituzionale, ma alcuni si spingono oltre, propugnando una democrazia repubblicana. Vi è poi un’amara costatazione: in nessuna occasione ufficiale i cadetti sono arrivati a condannare il terrorismo praticato dagli altri partiti, e questo evidenzia il vuoto ideale che ha caratterizzato tutta la società russa di quel periodo.

L’Unione del 17 Ottobre segue una tendenza liberal conservatrice ed è stata fondata nel febbraio 1906. Sostiene l’instaurazione di uno Stato di diritto, ma è contraria ad un’alleanza con le sinistre, non esclusa dai cadetti. Raggiunge un massimo di 50.000 iscritti tra impiegati e piccoli proprietari terrieri. Punti irrinunciabili del programma sono la conservazione dell’unità dell’Impero contro le autonomie locali, e l’estensione della piccola proprietà agraria senza però requisire le terre ai latifondisti.

L’Unione del Popolo russo nasce nel novembre 1905 a Pietroburgo. Vi aderiscono contadini, artigiani, operai, piccoli commercianti, e tra i leader si trovano anche sacerdoti. Sostiene l’autocrazia contro il costituzionalismo e l’unità dell’Impero. Al suo interno nascono le “Centurie nere” squadre dichiaratamente antisemite che scatenano numerosi pogrom antiebraici. Davanti agli eventi rivoluzionari, non resisteranno e si disintegreranno.

Le sinistre.

Il Partito socialdemocratico nasce clandestinamente a Minsk nel 1898 e unisce i vari gruppi rivoluzionari di ispirazione marxista. Durante il II Congresso di Londra nel 1903 il partito si divide in due fazioni: i menscevichi e i bolscevichi. I primi si aspettano la presa del potere da parte della borghesia, i secondi promuovono un partito centralizzato che instauri subito la dittatura del proletariato. Nel 1907 si contano 46.000 iscritti tra le fila dei menscevichi e 32.000 iscritti tra quelle dei bolscevichi, ma nel 1910 le iscrizioni dei bolscevichi scendono a 10.000. La cosa “curiosa” è che il partito del proletariato raccoglie adesioni per lo più tra i nobili e gli intellettuali e avrà il sostegno dei ricchi industriali. La rottura definitiva tra le due fazioni avviene nel 1912 alla conferenza di Praga.

Il Partito socialista rivoluzionario nasce nel 1902 dall’unione di vari gruppi e punta sull’azione armata, boicotta le elezioni della Duma e le riforme zariste. Non vuole nazionalizzare le terre, come i bolscevichi, ma rafforzare le comunità rurali distruggendo il latifondo. Si rendono protagonisti di diversi attentati, anche a personalità di spicco, nell’agosto del 1918 compiono un attentato a Lenin.

Il Partito del lavoro nasce in occasione della prima Duma, nel 1906, come gruppo parlamentare. Ha tendenze populiste e riunisce contadini e intellettuali. Non ha un programma e non si ritiene neanche un partito. Avversa i bolscevichi e dopo la rivoluzione si sfalda e scompare.

I gruppi anarchici. Il pensiero anarchico circola in Russia già dal 1860 attraverso intellettuali come Bakunin e Kropotkin e si diffonde tra studenti e populisti. Auspica l’abolizione dello Stato e delle leggi per garantire la piena uguaglianza tra gli individui. Nel periodo 1905 -1907 si arriva alla massima diffusione di questi gruppi, circa 250 con 7.000 affiliati. Vi sono gli Anarco-comunisti che perseguono la distruzione totale del capitalismo e dello Stato, gli Autonomi negano qualsiasi fondamento morale della società, i Radicali di Bandiera Nera auspicano azioni partigiane, espropri e terrore di massa, infine i Terroristi senza motivo progettano attentati individuali contro obiettivi scelti a caso, solo per moltiplicare la confusione e il panico tra le persone.

Nel prossimo articolo racconteremo la presa del potere da parte di Lenin.


lunedì 9 ottobre 2017

La Rivoluzione russa: la Chiesa ortodossa


Sacerdoti ortodossi


Il secondo elemento cardine della Russia di inizio ‘900 è la Chiesa Ortodossa. Secondo la tradizione bizantina, il legame che unisce la monarchia alla Chiesa è strettissimo, sacrale. Lo zar è l’unto del signore, baluardo e sostegno della fede sulla terra. Da questa concezione ne conseguirono però anche dei rischi spirituali.

In apparenza florida e presente con oltre cinquantamila chiese in tutta la Russia, la Chiesa ortodossa in realtà fu compromessa dalla riforma impostale nel 1721 dallo zar Pietro il Grande che con il suo Regolamento ecclesiastico la decapitò, sostituendo il Patriarca con un funzionario pubblico, laico, posto a presiedere l’assemblea dei vescovi, il Santo Sinodo. Accettando la riforma, la Chiesa russa accettò di fatto di diventare un dicastero spirituale, al servizio dello Stato.

Scrive il filosofo Berdjaev: “Prevalse una diversa concezione della Chiesa: quella che la considera un’istituzione e una società di credenti, e la riduce alla gerarchia e al tempio. La Chiesa si trasformò in un istituto di cura nel quale le anime individuali entrano per essere risanate. È in tal modo che si afferma l’individualismo cristiano, insensibile al destino della società umana e del mondo. […] Un’ortodossia di questo genere, esclusivamente ascetico-monastica, in Russia è stata resa possibile solo dal fatto che la Chiesa ha scaricato tutto il peso dell’edificazione della vita sullo Stato. Solo l’esistenza di una monarchia autocratica consacrata dalla Chiesa ha reso possibile questo individualismo ortodosso, questa separazione del cristianesimo dalla vita del mondo. Il mondo era guidato e conservato dalla monarchia ortodossa che guidava anche lo stesso sistema ecclesiastico”.

Il nocciolo del problema risiede proprio qui: se lo zar e le autorità ecclesiastiche sono unite da un unico destino, persa la fiducia nel primo, la Chiesa stessa si troverà allo sbando. Quando nel 1916 fu tolto l’obbligo della confessione pasquale ai funzionari statali, la frequenza al sacramento precipitò dal 100% al 10%. La Chiesa ortodossa alla vigilia della rivoluzione era ormai decaduta nella considerazione popolare che la considerava alla stregua di un potere burocratico senza alcuna autorità morale.

A dire il vero, più parti all’interno della Chiesa supplicarono Nicola II affinché convocasse un nuovo Concilio che avrebbe dovuto occuparsi dei progetti di riforma della vita ecclesiale, ma lo zar si oppose sempre, e il Concilio venne convocato solo dopo l’abdicazione del monarca. Sarà ormai troppo tardi per influenzare la vita sociale: la rivoluzione bolscevica era alle porte.

Quindi, allo scoppio della prima guerra mondiale la situazione politica e sociale della Russia è già in stallo, e il conflitto, più che produrre una crisi, impedirà di uscire da quella in atto. È in questo vuoto, in questa assenza di riferimenti che si inserirà il marxismo, portato avanti con determinata lucidità da Lenin.

Scrive nel 1918 lo scrittore Bulgakov: “Bisogna far rinascere la vita ecclesiale; questo è oggi il compito patriottico, culturale e perfino politico più importante in Russia. Solo da questo centro spirituale può rinascere anche la Russia e perciò vedo nel nostro Concilio l’evento più importante della storia russa recente, in particolare dell’epoca rivoluzionaria con tutti i suoi cambiamenti di scena e le tempeste partitiche”.

Il Concilio tanto atteso si aprì nel mese di agosto del 1917 e il 20 settembre del 1918 fu chiuso forzatamente dai bolscevichi andati al potere.

Nel prossimo articolo analizzeremo le forze politiche operanti in Russia al tempo della Rivoluzione.


domenica 8 ottobre 2017

La Rivoluzione russa: l'ultimo Zar




Nicola II, ultimo zar di Russia, sale al trono a ventisei anni, nel 1894. All’età di tredici anni subì l’esperienza traumatica dell’omicidio del nonno, lo zar regnante Alessandro II, assassinato da un terrorista appartenente al gruppo “Volontà del popolo”. Da allora matura in lui la convinzione profonda della necessità di difendere sino alla morte l’irrinunciabile triade “ortodossia – autocrazia – popolo”.

Nicola II ha una natura mistica, una religiosità fervente ma pietistica e fatalista: è profondamente convinto che il popolo ami devotamente e incondizionatamente il suo zar, benedetto da Dio.
Questa posizione gli impedirà di comprendere fino in fondo la nuova epoca di cambiamenti sociali che si sta facendo strada nella società, convinto di aver ricevuto l’alta missione di trasportare intatta l’autocrazia nel nuovo secolo.

Il primo banco di prova che si presentò allo Zar, fu il conflitto russo – giapponese (gennaio 1904-agosto 1905). Il modo in cui fu affrontata la guerra da parte di Nicola II e del suo establishment dimostrò incompetenza politica e impreparazione militare. L’esercito russo subì tre pesanti sconfitte e il 23 agosto 1905 a Portsmouth, grazie alla mediazione del Presidente statunitense Roosevelt, russi e giapponesi siglarono un accordo di pace. Il danno per la Russia fu più morale che materiale: da quel momento trionfò la totale sfiducia nei confronti dei vertici militari e del governo e il seme rivoluzionario si radicò sempre di più anche nelle forze armate.

Sempre durante la guerra con i giapponesi, avvenne l’episodio che sancì il punto di non ritorno per la monarchia e la fiducia del popolo nei confronti di Nicola II. La carneficina passò alla storia come la domenica di sangue e distrusse per sempre l’immagine dello Zar come padre del popolo.

Il 9 gennaio 1905 a San Pietroburgo un corteo di 140.000 persone, vestite a festa, con famiglie intere, icone, stendardi professionali e ritratti di Nicola II si dirige verso la piazza del Palazzo d’inverno. Manifestano in modo pacifico, e guidate da un sacerdote, Georgij Gapon, intendono esporre direttamente al sovrano le necessità degli operai e delle classi meno abbienti. Nicola II però, avvertito dell’iniziativa che si stava preparando, il 6 gennaio lascia il Palazzo, affidando la gestione dell’ordine pubblico al governatore della città. Ad attendere Gapon in piazza ci sono i soldati e la polizia schierati con i fucili. All’ordine ricevuto, sparano contro la folla inerme: le vittime saranno tra le 1.000 e le 1.200 persone. “Non c’è più Dio, non c’è più uno Zar” urla padre Gapon in mezzo al caos.
La carneficina della domenica di sangue pose fine per sempre all’immagine del monarca cristiano che ha a cuore il bene del suo popolo, e un movimento di rivendicazione sociale che era prettamente operaio e democratico rifluì tra le file rivoluzionarie.

La reazione del Paese alla strage fu immediata, scioperi si organizzarono in tutte le fabbriche della Russia, e le agitazioni si trasferirono anche in campagna dove vennero saccheggiate e incendiate migliaia di tenute nobiliari.    
Dieci giorni dopo la domenica di sangue, Nicola II consente a ricevere una delegazione di 35 operai selezionati da un elenco concordato. Lo zar legge un discorso nel quale dice tra l’altro: “È un delitto manifestare a Me le vostre necessità convenendo in folla sediziosa […] Io credo nei sentimenti onesti degli uomini del lavoro e nella loro incondizionata dedizione alla mia persona e per questo perdono la loro colpa”.

Con questo episodio, il vecchio regime arma la mano della rivoluzione, non permettendo di vedere alternative alla totale chiusura conservatrice, se non quella della violenza.

Nel biennio 1905-1907 saranno oltre 4.500 le vittime di attentati terroristici, tra funzionari pubblici, ufficiali e ministri; 2.180 le vittime tra semplici cittadini; nel 1906 vi fu anche l’attentato al Premier Stolypin, che fu poi ucciso nel 1911.

A nulla valse la concessione da parte dello zar della costituzione della Duma, la camera bassa del Parlamento, nell’ottobre 1905: essa rimarrà sempre in balia dell’arbitrio del sovrano che infatti la sciolse per ben due volte, nel luglio 1906 e nel giugno 1907.

La fine della monarchia dei Romanov era incominciata. Nel prossimo articolo analizzeremo la crisi in cui versava la Chiesa ortodossa.


sabato 7 ottobre 2017

La Rivoluzione russa

Il ritorno di Lenin a San Pietroburgo

Sono trascorsi cento anni dalla “Rivoluzione” russa, che portò al potere per la prima volta nella storia il partito dei bolscevichi, ossia quella frazione minoritaria della società russa, di ispirazione marxista, che guidata da Lenin riuscì in pochi mesi, dal marzo all’ottobre 1917 a rovesciare il potere zarista e sostituirlo con la dittatura del proletariato.

Nonostante l’anniversario sia significativo, non ci sembra che la stampa e i mezzi di informazione lo abbiano ricordato dedicandovi particolare spazio e attenzione. Men che meno il tema è stato affrontato da partiti o associazioni culturali che del marxismo e dei suoi derivati si sono nutriti in questi ultimi cento anni: silenzio assoluto. Voglia di dimenticare le origini?

Unica eccezione un’interessante mostra dal titolo “1917 – Russia il sogno infranto di un mondo mai visto” presentata al Meeting di Rimini ad agosto e curata da Adriano Dell’Asta, Marta Carletti e Giovanna Parravicini i cui pannelli sono stati riuniti in un volume edito da La casa di Matriona con il medesimo titolo.

Cosa accadde in Russia, cento anni fa? Quali furono le cause che portarono alla caduta di un regime, quello zarista, tra i più longevi del continente europeo, il cui capo supremo, lo Zar, era sia capo civile che guida religiosa?

Le motivazioni che per decenni abbiamo letto e ascoltato, facevano riferimento allo sfruttamento delle classi più umili e povere (contadini e operai), da parte della borghesia e della nobiltà legata allo zar che ad un certo punto trovarono la forza e il coraggio di ribellarsi. Queste classi, guidate da personaggi intellettualmente superiori, tra i quali certamente spicca Lenin che fu il vero regista della presa del potere da parte dei bolscevichi, riuscirono ad abbattere il vecchio regime, instaurando il governo del popolo. Questa, in estrema sintesi, la storiografia ufficiale sulla Rivoluzione russa che abbiamo letto in classe nei libri di storia sino a qualche anno fa.

In realtà le cose non andarono proprio così.

La Russia di inizio ‘900 non era così arretrata come la si dipinse dopo la Rivoluzione. Tre dati per rendere l’idea: l’incremento della produzione industriale nel periodo 1900 – 1913 fu del 74,1%; nel 1915 il 51% dei bambini dagli otto agli undici anni aveva ricevuto l’istruzione elementare e il 68% dei soldati sapeva leggere e scrivere. Nel campo delle arti, della letteratura e della scienza, la Russia in quei primi anni del XX secolo non era seconda a nessuno. Certo, esistevano sacche di povertà, la riforma agraria non era ancora compiuta, ma nel complesso la società russa non viveva al di sotto del livello economico e sociale che ritroviamo in altri Paesi europei.

Le cause della crisi che portarono alla Rivoluzione sono da ricercarsi nello svuotamento di significato dell’origine stessa dell’autorità del potere: lo Zar e la Chiesa ortodossa.

Il sistema autocratico impersonato dallo Zar non fu più adeguato ai nuovi tempi e la Chiesa, abituata da secoli ad essere asservita al potere secolare, non sembrò essere in grado di rispondere alle nuove sfide che stavano provocando la società, come l'esigenza di una maggiore libertà di espressione, i diritti dei lavoratori, la riforma della proprietà della terra, le libertà politiche e così via. Diventata religione di Stato, la Chiesa ortodossa smarrì le ragioni profonde della propria missione.

Così il filosofo Berdjaev descrive il periodo precedente la Rivoluzione: “Il nostro popolo è gravemente malato, malato nell’anima, sta attraversando una crisi profonda, ha perduto la luce della vecchia fede e non ha trovato alcuna nuova luce. Il popolo è schiavo dei propri istinti e passioni peccaminose, è facile sedurlo e ingannarlo, è facile fargli violenza. […] Chiunque lo può confondere e può dirigere la sua volontà in qualsiasi direzione, ad attaccare la borghesia e la società colta oppure gli ebrei e gli stessi rivoluzionari. È libero e protetto solo chi ha un centro spirituale, chi ha un nucleo morale che non è scosso e indebolito”.

Nei successivi articoli analizzeremo più da vicino le ragioni del crollo della fiducia nei confronti dello Zar, la crisi in cui si trovò la Chiesa ortodossa all’inizio del ‘900 e la diabolica cronologia di eventi che in otto mesi consegnarono una delle più grandi e popolate nazioni del mondo, la Russia, nelle mani di un manipolo di bolscevichi che per settant’anni tentarono di realizzare l’utopia di creare un uomo nuovo, senza Dio, senza famiglia, senza legami tranne quello che lo stringeva a doppio filo al Partito del popolo.

lunedì 28 agosto 2017

Meeting di Rimini



Esiste un luogo dove le persone possono assistere ad un incontro con relatori che sono su posizioni opposte in merito al tema proposto, e al termine del convegno trovarsi arricchite dai punti di vista di entrambi.

Esiste un luogo dove nel corso di una giornata, contemporaneamente, si svolgono una dozzina di convegni, con argomenti di carattere religioso, politico, storico, filosofico, scientifico, letterario e artistico.

Esiste un luogo dove è possibile incontrare e interloquire con scienziati, filosofi, docenti universitari, religiosi, politici, imprenditori, scrittori, in un modo totalmente semplice, abbattendo quella distanza conseguenza del “ruolo”, che alcune volte è presente quando ci si rapporta con taluni personaggi.

Esiste un luogo dove per una settimana, dalla mattina alla sera, giovani, famiglie, laici e consacrati, credenti e persone in cerca di una ragione per vivere, possono incontrarsi, e assistere ad uno di questi incontri, liberamente, oppure visitare una delle innumerevoli mostre tematiche che sono allestite in prossimità dei saloni ove si tengono i convegni.

Esiste un luogo dove, per tutta la settimana in cui si svolge la manifestazione, è possibile per chi lo desidera dedicarsi ad attività sportive, e per i più piccini trovare maestri, educatori e mamme disposti ad occuparsi di loro, attraverso attività ludiche e ricreative.

Ed infine esiste un luogo ove per un’intera settimana, le persone possono assistere a spettacoli quali recital di canzoni, rappresentazioni teatrali e musicali di elevato livello artistico.

Esiste un unico luogo dove tutto quanto sopra descritto si realizza, in parte grazie alla disponibilità di migliaia di persone, giovani e adulti, che dedicano una parte delle loro vacanze o delle loro ferie per la realizzazione di questo evento, in parte penso, grazie all’opera di un Altro.

Esiste da 38 anni un luogo come questo e, credo senza tema di essere smentito, quest'unico luogo al mondo si trova in Italia, a Rimini, e prende il nome di Meeting per l'amicizia tra i popoli.

Esso nasce dal bisogno di alcuni giovani cattolici, amici di un sacerdote brianzolo che porta il nome di Don Giussani, di condividere con tutti il desiderio di bellezza e di felicità che l'incontro con questo prete, e tramite lui con Cristo, aveva generato nella loro vita.

Per questi amici, ad un certo punto della loro storia, fu naturale pensare ad un luogo dove le persone, indipendentemente dalla loro fede, razza, opinione politica, posizioni sociale, una volta all'anno potessero trovarsi insieme per alcuni giorni e ragionare, riflettere e pensare su quanto in fondo, interessa di più ogni essere umano: come soddisfare il proprio bisogno di felicità e di essere amati.

La cultura non è altro se non la risposta dell’uomo di tutti i tempi a questo desiderio di pienezza di vita: più si conosce e si comprende la vita e la storia dei popoli, più si possono gettare ponti di pace tra gli uomini e abbattere i muri che ancora dividono i cuori di molte persone.

Questo è lo scopo del Meeting: incontrare le diverse culture per conoscersi e cercare la risposta al bisogno del singolo uomo. Ogni anno il Meeting ha un titolo che invita alla riflessione e indica la strada a tutti i partecipanti, relatori e non, della manifestazione. Quello del prossimo Meeting 2018 (che si terrà dal 19 al 25 agosto 2018) è il seguente: Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice. 

Questa affermazione, di Don Giussani, è riportata anche nella prefazione scritta da Marta Cartabia, giudice della Corte Costituzionale, al libro di Vaclav Havel, dal titolo Il potere dei senza potere, edito da Itaca e ci può forse già fornire un’indicazione su quali saranno i temi principali del prossimo Meeting. 

Per chi volesse leggere un commento all’opera citata, lo può trovare al seguente link: http://lorenzorobertoquaglia.blogspot.it/2013/06/il-potere-dei-senza-potere.html

Per finire un po' di numeri.

I numeri che ho deciso di aggiungere al termine di questo post, forniscono solo una vaga idea di quanto si sia vissuto al Meeting di quest’anno: 118 incontri con 327 relatori, 17 esposizioni, 10mila mp3 di audioguide delle mostre, 14 spettacoli con 21mila spettatori e 31 manifestazioni sportive. 
Il tutto in 130mila metri quadrati di Fiera (21mila dedicati alla ristorazione), con l’apporto di 2.259 volontari più 400 nel “pre-Meeting” che hanno reso possibile la costruzione degli spazi fieristici. 

Rilevanti anche le cifre della comunicazione: 600 giornalisti accreditati, 1478 articoli sulla carta stampata, 1447 sul web, 316 servizi tv e 154 passaggi in radio, per un totale di 3395 servizi.

Anche i social sono stati bollenti. In una settimana 1175 nuovi fan Facebook per la pagina @meetingrimini, 515mila utenti unici e 400mila interazioni, tra mi piace, condivisioni e commenti. Ancora: 166mila le visualizzazioni di video su Facebook e 250mila le visualizzazioni su Twitter.

Arrivederci al prossimo Meeting: non andarci fors'anche per un giorno, sarebbe veramente un peccato!

Ed ora, per finire, un breve video sul Meeting: https://youtu.be/3GxQ_kpauWs

mercoledì 19 luglio 2017

London Lies



Prendete una donna non ancora trentenne, e quindi ancora alla ricerca del senso della vita, Emma Woodhouse, prendete un belloccio di New York, David Wilson, e catapultatelo dalla stratosfera a Londra, proprio nell’ufficio di consulenza aziendale strategica dove lavora Emma, e infine immaginate il cognato di lei, Matthew Hunt, di cui Emma è perdutamente innamorata, a sua insaputa, che è in procinto di sposarsi con una austera e menzognera geisha giapponese.

Mescolate il tutto con una Londra (e dintorni) affascinante e luccicante, nonostante il suo grigiore climatico, aggiungete q.b. di relazioni velenose vissute sul luogo di lavoro, più simile ad un covo di vipere che altro, dove si elaborano innovative strategie per eliminare i rivali (sia in amore che di carriera); insaporite il tutto con i familiari di Emma, sorella, nonna, zii e nipoti indisciplinati, che coinvolgono, e sono coinvolti da Emma in divertenti episodi, e infine servite il tutto con eleganza di stile e brillantezza di scrittura.

Ecco gli ingredienti di questo dolce (potremmo immaginarlo un riuscitissimo crumble di mele per restare in tema), cucinato a puntino dalla scrittrice Silvia Molinari, alla sua seconda esperienza letteraria.

London Lies è un romanzo coinvolgente sin dalle prime pagine: la storia, che all’inizio può far pensare ad un romanzo rosa, estivo, da leggere sotto l’ombrellone, non deve ingannare. In realtà London Lies, letto con attenzione, è un romanzo dove le relazioni uomo – donna sono analizzate in profondità sotto diversi aspetti, sentimentali, lavorativi, generazionali, in modo preciso, originale e con taglio ironico.

È la vis comica che pervade tutto il romanzo, infatti, la chiave del successo di quest’opera. Raramente ci è capitato di leggere, tra le recenti pubblicazioni, un romanzo così accattivante, capace di raccontare episodi anche banali della vita di tutti noi, in modo così divertente ed ironico.

Non vi raccontiamo il finale, per ovvie ragioni, ma vi consigliamo di scoprirlo da soli e, arrivati alla fine, proverete forse, come noi, una spiacevole sensazione di abbandono, tanto vi eravate abituati al mondo magico e frizzante dentro il quale vi aveva accompagnato questa lettura.

Il romanzo è acquistabile nelle due versioni, ebook e cartacea, su Amazon e nei principali internet store. Da non lasciarselo sfuggire.

Silvia Molinari, London Lies, Amazon Media EU, 2017

venerdì 14 luglio 2017

Voltagabbana



Da quando sono stati resi noti i risultati dei ballottaggi amministrativi, che hanno visto l’indubbia vittoria delle coalizioni di centro destra, ancorché inaspettatamente per alcuni commentatori, appare evidente che tra i parlamentari italiani qualcosa è cambiato: l’aria che respirano. E l’aria non tira più verso la Toscana del riconfermato segretario PD, ma scavalca il Po e va su, più a Nord, per fermarsi nell’afosa Brianza, nel comune di Arcore.

Intendiamoci, il cambio di casacca dei nostri parlamentari non è un fenomeno né nuovo, né sconvolgente. Ogni Legislatura ha visto innumerevoli transumanze in corso d’opera, e quindi anche gli ultimi salti sul carro del presunto vincitore (Berlusconi) non ci stupiscono. 

Però, ogni volta che ne leggiamo sui giornali, questi cambiamenti aumentano la delusione nei confronti di una classe dirigente composta da persone, ciascuna delle quali dovrebbe rappresentare la Nazione, e che invece pare proprio abbia a cuore unicamente sé stessa e il proprio interesse. Che, nel contingente, sarebbe quello di trovare il porto sicuro per una prossima rielezione, visto che ormai la Legislatura è agli sgoccioli.

Inutile fare nomi e cognomi di questi onorevoli deputati e senatori, non sono quelli che ci interessano e poi non li riteniamo meritevoli di essere ricordati, meglio dimenticarli e non fare pubblicità gratuita.

Sarebbe moralmente giusto però che gli elettori di questi personaggi, che sicuramente nella loro circoscrizione elettorale sono ben conosciuti, si ricordassero di costoro il giorno fatidico delle elezioni, e li ignorassero.

Tale comportamento sarebbe una concreta e tangibile lezione di civiltà per coloro che iniziano la Legislatura in un partito all’opposizione, poi passano nella cordata di governo, e alla fine della Legislatura sentono il dovere morale di ripassare all’opposizione, sperando, beati loro, che l’ultimo partito scelto sarà al governo nella Legislatura seguente. Il tutto per poter ambire a qualche posto di vice ministro, di vice segretario, di vice qualcosa…

Esiste una soluzione? Posto che per fortuna la maggioranza degli onorevoli è moralmente e politicamente coerente per tutta la durata della Legislatura, forse l’unico disincentivo ai cambi di casacca effettuati per interesse sarebbe quello di limitare per legge a due Legislature il numero massimo di volte consecutive per poter essere eletti in Parlamento.

Governare gli italiani, diceva qualcuno, è impresa quasi impossibile, ma anche essere governati da italiani mette a dura prova la pressione arteriosa…

sabato 20 maggio 2017

A tu per tu con Francesco Napoli

Oggi incontriamo Francesco Napoli, uomo di cultura a tutto tondo: nella sua carriera professionale è stato editor, responsabile di uffici stampa di case editrici, nonché critico letterario e autore di testi riguardanti soprattutto il mondo della poesia.
Francesco Napoli

Francesco, come ti definiresti in poche righe? 

Appartengo alla classe 1959. Scherzando dico che per la mia professione bastava la licenza elementare, infatti devo solo leggere e scrivere. Lavoro in editoria, con vari ruoli e compiti e per diversi marchi editoriali, dal 1989 e ne sono contento. Mi occupo anche di poesia contemporanea ma in chiave critica e ... basta parlare di me, non l'amo molto.

In editoria, si sente molto utilizzare il termine editor, in cosa consiste il lavoro di editor?

Scouting di autori e lettura di testi, principalmente. Poi l'editor deve saper suggerire e affiancare l'autore per la miglior resa di un testo o di un'idea narrativa.

Che rapporto si instaura tra l'editor e lo scrittore?

Di fiducia, prima di tutto, e di stima. L'occhio dell'editor deve saper interpretare e poi rendere in pagina la sensibilità del lettore, senza per questo urtare la sensibilità dello scrittore, ovviamente. Un equilibrio non sempre facile da conservare.

Quali sono le caratteristiche peculiari che un buon editor deve possedere per svolgere al meglio la sua professione?

Pazienza, e occhio capace di vedere oltre quanto c'è scritto in un testo.

Sono cambiati gli scrittori e i lettori in questi ultimi trent'anni?

Penso di sì: credo che il Mercato abbia fortemente inciso sulla qualità degli scrittori. Impossibile scrivere un romanzo all'anno solo perché il Mercato così vuole, manca il tempo di costruzione e realizzazione dell'opera. E poi si strizza troppo l'occhio all'andatura cinematografica, con trame e scritture che troppo pensano a un'eventuale riduzione cinematografica o televisiva. Ma anche il lettore è cambiato: è malamente abituato alla velocità e alla sintesi, causa internet, e all'immagine, causa televisione. Non sa più pazientare.

Le nuove tecnologie hanno influito su questa professione?

Certo, ne sono convinto. Basti solo pensare al capovolgimento della trasmissione del sapere: un tempo erano le generazioni più anziane a possedere e trasmettere alle successive la conoscenza; oggi sempre più sono gli anziani a dover chiedere ai più giovani quegli elementi della conoscenza (l'online tanto per fare un esempio) per non esser tagliati fuori.

Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole intraprendere questa carriera?

Di scrittura? Leggere, leggere e ancora leggere. Poi, scrivere.

Ti ricordi il pensiero più bello che hai letto in un libro che stavi analizzando?

Stavo leggendo Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, come lettore sia ben inteso e non come editor. La vitalità dietro ogni rigo e l'ironia raffinata dell'autore ricordo mi diedero una sensazione di straordinaria serenità e rilassatezza.


Ringraziamo Francesco Napoli per il tempo che ci ha dedicato e per gli interessanti spunti di riflessione che ci ha regalato.



domenica 7 maggio 2017

Alitalia docet



Era il 4 dicembre 2016 quando Renzi, dopo la vittoria dei NO al Referendum costituzionale da lui proposto, si dimise da Premier e decise di porre termine alla sua prima esperienza di Governo.

All’epoca fummo dispiaciuti per l’esito del Referendum, ma del resto fummo anche tra i primi a scrivere che personalizzare la scelta referendaria e renderla una scelta politica Renzi SI o Renzi No non avrebbe giovato all’esito della consultazione e così avvenne.

Quello fu un grave errore che il giovane Renzi, alle prese con la sua prima esperienza di Premier, commise e di cui si assunse la responsabilità.

Trascorsi cinque mesi Renzi è stato riconfermato, da consultazioni che hanno coinvolto circa due milioni di italiani, leader indiscusso e senza rivali credibili del primo partito del Centro Sinistra, mentre la situazione politica, economica e sociale del Paese è rimasta invariata.  Anzi, se consideriamo che in questi cinque mesi gli altri Paesi europei hanno avuto una crescita economica e un calo della disoccupazione, possiamo affermare che l’Italia abbia fatto un ulteriore passo indietro nella classifica generale.

Certamente non penso che in cinque mesi, se l’esito del Referendum fosse stato favorevole ai SI, la situazione in Italia si sarebbe potuta capovolgere. È un fatto però che, di tutti coloro che in campagna referendaria sostennero e votarono per il NO, dichiarando che dal giorno successivo al Referendum si sarebbe ripreso a studiare una nuova riforma costituzionale, non è rimasta l’ombra.

Anche perché la luce sull’argomento riforme è stata spenta, e chi dirige il grande circus dell’informazione ha deciso di spostare i riflettori su altri argomenti più di moda in questo momento: immigrazione clandestina, fine vita, violenza sulle donne, Brexit, guerra in Siria e sullo sfondo un Paese di nome Corea del Nord…

Per il resto della cronaca, peanuts, noccioline.

La conclusione: l’Italia rimane bloccata, cristallizzata in un sistema di norme e regole che sulla carta tutti vogliono cambiare perché obsolete e non adeguate ai tempi moderni, mentre invece nella realtà dei fatti sembra che queste norme vadano bene a molti partiti politici e a molti italiani…

E quindi non ci resta che continuare a ringraziare quel 60% di concittadini che, andando a votare NO, hanno permesso ai falsi profeti seduti fuori e dentro il Parlamento, di ottenere l’ennesima vittoria di Pirro e di lasciare l’Italia ancora una volta immobile, ferma a terra nel cammino delle riforme che a questo punto nessuno sa quando potranno riprendere il via. Del resto Alitalia docet. 

A questo punto, forse, la cosa migliore sarebbe mettersi d’accordo almeno sulle regole del gioco e andare a votare quanto prima.

mercoledì 19 aprile 2017

In ogni caso niente paura




In ogni caso niente paura è l'opera prima di Cristiano Guarneri.

È uno di quei romanzi che ti prende da subito per la chiarezza espositiva della sua prosa e la storia accattivante di un gruppo di adolescenti di alcuni decenni fa, che abitano nella "bassa", la zona di pianura padana a sud di Milano, a ridosso del grande fiume: Riccardo detto Zeus, Gianni il belloccio intraprendente, Annibale detto totem e Carlo, il narratore.

Ma ecco che, come spesso accade, mentre il gruppo di amici anno dopo anno cresce e modifica i propri interessi, passando dalle guerre tra bande alle schermaglie amorose, uno di loro, Carlo, viene in contatto con Giacomo e suo padre Rino e da quel momento il suo modo di vedere la vita non sarà più lo stesso.

Giacomo è un coetaneo del gruppo di ragazzi, ed è nato con metà cervello e suo padre, rimasto vedovo, sino a quell'incontro lo... "sopporta", senza mai aver avuto il coraggio di sentirsi bisognoso, di chiedere aiuto, soprattutto dopo la morte della moglie, investita da un'auto.

Sarà dal rapporto con Carlo e il suo gruppo di amici, con suo figlio e il sacerdote del paese che Rino uscirà come trasformato nella sua umanità, e in grado di vedere Giacomo con occhi diversi.

“Ho smesso di darmi certe risposte” disse Rino a Don Flavio.
Credo che lei abbia smesso di farsi le domande giuste” gli rispose il sacerdote.

È dal rapporto umano tra di loro che Rino, Giacomo, i ragazzi e Don Flavio troveranno il senso, la ragione, il significato vero della propria esistenza.

La capacità dell'autore in questa sua prima opera, ottimamente riuscita, è stata quella di trattare un tema così delicato e per certi versi drammatico, con lo spirito giusto, riuscendo a conciliare il ritmo narrativo di un romanzo di formazione con quello più intenso e realistico di una storia vera...


Cristiano Guarneri, In ogni caso niente paura, Piccola Casa Editrice, 2015

venerdì 14 aprile 2017

Un uomo di nome Gesù

Beato Angelico - Noli me tangere - Firenze (1438 - 1440)

Anche quest'anno siamo arrivati all'inizio del triduo pasquale: i tre giorni più importanti dell'anno liturgico, per un cristiano. Perché c'è solo un fatto più straordinario dell'incarnazione del Figlio di Dio fattosi uomo grazie al Sì di una donna; ed è la Sua morte in croce e la Sua resurrezione dal mondo delle tenebre.

Nessuno infatti, a memoria d'uomo, è mai morto e risorto dopo tre giorni: solo un uomo nella storia del mondo è tornato in vita dal regno dei morti e quell'uomo di nome si chiamava Gesù.  

Stiamo parlando di un fatto storico, realmente accaduto e documentato da fonti diverse: poi spetta alla libertà del cuore dell'uomo se attribuire a questo fatto un valore religioso o annoverarlo tra i misteri irrisolti dell'umanità, un cold case come la scomparsa dei dinosauri: perché scomparvero?

Gesù, chi era costui?

Certo il mondo del 2017 non è più il mondo dei tempi in cui visse Gesù. Tuttavia, nella sostanza, il cuore dell’uomo è rimasto il medesimo: esso cerca, anela, desidera raggiungere la felicità, ma oggi come allora, da solo non vi riesce. Questa esperienza l’hanno provata da subito anche i Suoi discepoli, con Lui vicino. L’ha vissuta Pietro, la sera del tradimento prima del canto del gallo, come aveva previsto il Maestro. Senza avere come riferimento quell'uomo di nome Gesù, l'agire umano nei migliori dei casi rimane sterile, o addirittura provoca dolore e sofferenza.

Ne è testimonianza, in questi tempi di crisi, la realtà contemporanea, anche se la nostra memoria di esseri umani è per definizione limitata, e non credo che il XXI secolo appena iniziato sarà ricordato per essere stato molto diverso dai secoli che lo hanno preceduto. Forse, l'unica novità risiede nel fatto che oggi l'uomo ha in mano l'arma che può autodistruggerlo. Tutte le guerre si fanno in nome della felicità, del desiderio di costruire un Paradiso in terra; ma come diceva Claudel: “Quando l’uomo prova a immaginare il Paradiso in terra, il risultato è un molto rispettabile Inferno” come la storia del XX secolo ci ha insegnato.

Del resto la Terza Guerra mondiale, che viene combattuta oggi a pezzi, come ci ricorda Papa Francesco è davanti ai nostri occhi, ogni giorno. E allora come suonano vere più che mai le parole di questo Papa, successore del Figlio dell’Uomo di nome Gesù, che in più occasioni del suo pontificato ha tuonato contro coloro che operano nel traffico d’armi definendoli “maledetti”.

Forse allora, ciò che fa il Paradiso non è il cambiamento di un luogo, ma il cambiamento di un cuore. Dopo duemila anni pare proprio che il nostro cuore abbia ancora bisogno di essere cambiato da un uomo di nome Gesù.



giovedì 16 marzo 2017

Il silenzio dei moderati





Ormai ci siamo quasi abituati, ma c’è stato un tempo in cui le uniche urla che si sentivano in TV erano quelle di Tarzan e della simpatica Cita. Ora invece un programma televisivo ha successo solo se gli ospiti presenti si insultano a vicenda e urlano a squarciagola le proprie presunte ragioni. Così milioni di italiani possono tifare in diretta per la propria fazione, scelta davanti al video in quell’istante, senza un particolare motivo, facendo nel contempo salire l’audience e gli introiti pubblicitari della rete.

È un modo surrettizio per far credere allo spettatore di essere parte del programma, di fargli scaricare le proprie frustazioni dal personaggio che in quel momento è in video a lanciare grida all’indirizzo della parte avversa.

Oggi sembra impossibile raggiungere l’obiettivo di incrementare i guadagni e sostenere quindi lo star system senza portare all’esasperazione i protagonisti di un talk show.

Questo modello, partito dai programmi di intrattenimento, a largo ascolto, si è esteso nel tempo anche ad altri programmi del palinsesto, meno seguiti, come ad esempio i talk ad argomento politico. Le vecchie tribune hanno lasciato spazio a programmi di intrattenimento con ospiti politici che sempre di più hanno incominciato a comportarsi come attori, comici, macchiette, gente di spettacolo.

Da tempo ormai assistiamo, da parte degli stessi leader di partito, all’adozione di forme sempre più estreme di manifestazione del pensiero, che non viene più declamato nei comizi, o dalle pagine dei giornali, ma urlato attraverso i canali TV e i moderni social media.

E in questi ultimi anni siamo arrivati alla chiusura del cerchio, con un comico di nascita che ha dato vita ad un movimento politico e si è candidato alla guida del Paese urlando al pubblico il proprio pensiero attraverso un blog.

Questo modo di comunicare ha permesso anche a personaggi non estremamente dotati di idee brillanti e di una prosa adeguata, di urlare a squarciagola quello che passava loro nella mente, senza apparentemente mostrare che il pensiero espresso fosse stato prima meditato ed elaborato, con il risultato di abbassare di molto il livello qualitativo della discussione politica.

Le conseguenze: potenzialmente pericolose, nella misura in cui gruppi di perone possono legittimamente credere a quanto loro urlato in faccia ogni giorno, mentre perdura il silenzio dei moderati, di coloro che non si riconoscono in questo sistema, ma per mille ragioni non intendono utilizzare il medesimo canale espressivo degli urlatori.

Arriverà però un giorno che i moderati di questo Paese dovranno ribellarsi, e dire basta a questo modo di gestire la comunicazione e la politica. Se non lo faranno, diventeranno complici dell’inesorabile disfacimento della società, perché ad avere l’ultima parola sarà sempre colui che urla di più, e non colui che pensa e ragiona meglio, e lo sa dimostrare con i fatti.

In fondo, se ci pensiamo bene, basta un dito per cambiare canale e far tacere l’urlatore.

domenica 5 marzo 2017

Sul fine vita

Natività di Giotto


Il suicidio assistito di Dj Fabo ha riaperto in queste settimane il dibattito pubblico sul tema del fine vita.

Tutti noi siamo stati inghiottiti dalla campagna mediatica dei sostenitori della legalizzazione anche in Italia dell’eutanasia e dalla contro campagna di chi invece è contrario, tendenzialmente i cattolici, gli ultimi rimasti a difendere il valore della vita umana a prescindere da qualsiasi forma estrema essa possa assumere.

La mia impressione è che, partendo da questa contrapposizione, non si arrivi da nessuna parte e ognuno resti arroccato alle proprie posizioni, senza che le ragioni degli uni e quelle degli altri vengano realmente a contatto e si comprendano vicendevolmente.

Il mio contributo sul tema del fine vita parte da una dichiarazione, e dal racconto di un’esperienza vissuta.

La dichiarazione è che sono un cattolico praticante.

Il racconto dell’esperienza vissuta è il seguente. Il 31 dicembre 2015, poche ore prima della mezzanotte, il mio amico Ugo è salito al cielo. Era malato di SLA da sei anni e forse qualcuno di voi ha già letto i post che parlano di lui su questo blog.  Sono stati anni di fatica, tantissima, per Silvia, la moglie, che non lo ha mai lasciato solo un giorno, e nel frattempo ha cresciuto i due figli che ora hanno dieci e otto anni, ma anche per Ugo che, oltre a dover subire la malattia che avanzava a passi da gigante, vedeva passare davanti agli occhi la vita dei suoi cari senza poter fisicamente agire.

Eppure dal rapporto tra marito e moglie, dove ad operare era l’essenziale e non altro, attraverso la fatica del quotidiano, giorno dopo giorno, sono germogliati un’infinità di relazioni, di situazioni, di incontri che hanno cambiato la vita stessa delle persone coinvolte. Era impossibile rimanere gli stessi dopo una visita a casa di Ugo e Silvia. A casa loro si stava bene, tutti stavano bene. Ci si sentiva meglio, si usciva cambiati.

Si andava a casa loro con la scusa di salutare Ugo, ma in realtà era come si volesse vivere un poco vicino a quell’unione, si volesse contemplare l’unità presente tra un corpo immobile, Ugo e sua moglie Silvia. Unità che rimandava a qualcosa d’altro, ad una Presenza che la rendeva possibile, umanamente possibile.

Un’alternativa alla clinica svizzera della dolce morte abbiamo quindi visto che esiste, e produce anche frutti meravigliosi il cui sviluppo nel tempo rimane misterioso, ma allora tutto si esaurisce qui, di fronte al racconto di questo fatto?

Assolutamente no. Mi rendo benissimo conto che un tale approccio ad una malattia estrema come la SLA sia possibile solo se si possiedono principi morali laici o religiosi molto forti o si è sostenuti da una fede, o dalla Fede, ed anche da un gruppo di persone, (almeno all’inizio, poi arriva il centuplo inaspettato, ma promesso) disponibili ad aiutare la famiglia colpita dall’evento.

Di solito infatti, non è solo il malato che rimane vittima del suo nuovo status, ma è tutta la vita che gira intorno a lui a rimanerne coinvolta e sconvolta. E quindi la risposta che si dà a questa nuova situazione è per forza una risposta interpersonale, di relazioni umane.

Ho letto da parte di alcuni che lo Stato dovrebbe maggiormente sostenere finanziariamente le famiglie impegnate a gestire questi tipi di malati. Certamente gli aiuti economici in questo caso non si rifiutano mai. Specialmente quando il malato viene gestito a casa, senza gravare su posti di cura pubblici e molto costosi.

Ma sinceramente, nel caso che ho potuto seguire da vicino, quello che ha fatto la differenza è stato il punto di partenza, l’ideale che Ugo e Silvia hanno abbracciato il giorno del matrimonio e che non hanno mai abbandonato, a tenere unita la famiglia anche in circostanze così drammatiche, per chi le vedeva dall’esterno. Perché, a casa loro, non ho mai vissuto un solo attimo di tristezza, ma sempre momenti di normale vita familiare, di gioia e di profonda amicizia tra tutti coloro che si alternavano a venire a trovarli anche solo per un saluto.

E chi non possiede questa forza morale, questa incrollabile fede che gli permette di scegliere la vita al di là di qualsiasi cosa, perché è consapevole del dono che ha ricevuto e per nessuna ragione se ne priverebbe, cosa può decidere di fare in casi simili? Potrebbe decidere che non vale più la pena di vivere incollati in un letto e senza più alcuna speranza di guarigione? Potrebbe decidere che non vuole vedere soffrire i suoi cari e volersi togliere la vita come ultimo gesto d’amore nei loro confronti?

Penso di sì. Potrebbe optare per questa scelta.

Io non credo che un cattolico possa giudicare un essere umano che decide di togliersi la vita, in nessun caso. Un cattolico è dispiaciuto per il gesto che viene compiuto dal suicida, nel caso in cui magari lo conosca anche personalmente, può sentirsi in colpa per non essere riuscito a stargli più vicino e a fargli scegliere la vita, piuttosto che la morte, ma non debba mai sostituirsi all’Unico in grado di comprendere fino in fondo l’animo umano.

Pertanto personalmente non sono contrario ad una legge che anche in Italia regolamenti questo tipo di realtà, questo tipo di situazioni estreme perché penso che il problema non sia la morte, ma sia a monte.

O le persone incontrano qualcosa per cui valga la pena vivere, oppure nel caso in cui la vita ponga loro degli ostacoli superiori alla quotidianità (ogni giorno ha già la sua pena), possono sentirsi perse, abbandonate. La solitudine fa il resto.

Allora per noi cattolici, la responsabilità di questo momento storico è grandissima. La vita delle persone non cambia con dei richiami etici, ma cambia se vedono che qualcuno sta vicino a loro, li aiuta gratuitamente e offre loro la possibilità di re-imparare che un modo diverso di vivere e morire è possibile.

Tenendo sempre presente che il libero arbitrio esiste e che nostro Signore ce lo ha donato perché Lui stesso ci ha voluto così.

venerdì 17 febbraio 2017

L'ideale che unisce

14 ottobre 2007: la data di nascita del Partito Democratico

Come la maggior parte degli italiani, assisto basito in questi giorni all’ultimo atto di una disfida politica, tutta interna al maggior partito politico rappresentato in Parlamento: il Partito Democratico.

E non riesco a comprendere le ragioni politiche di questa lotta intestina che si protrae da mesi.

Per inciso: non sono un elettore del PD, ma comprendo bene che se il maggior partito politico a vocazione governativa è in crisi da mesi, molto probabilmente anche tutta la macchina di governo ne risentirà, e quindi, per il bene comune, sarebbe meglio che si facesse chiarezza una volta per tutti, chi sta con chi e soprattutto quali sono gli obiettivi da perseguire. Prima occorrerebbe che tutti i dirigenti del PD facessero un’analisi sui temi e sui problemi da risolvere e solo dopo, si dovrebbero considerare i nomi e gli incarichi da distribuire.

Fermo restando che un Governo in carica, al momento, il nostro Paese lo possiede.

Non credo di esprimere un pensiero particolare, ma anzi abbastanza ovvio e banale, un pensiero se vogliamo di buon senso.

Detto ciò, forse questa è finalmente l’occasione per fare una volta per tutte chiarezza sulla genesi di questo partito. Il Manifesto dei valori, approvato dal PD il 16 febbraio 2008, recita: “Il Partito Democratico intende contribuire a costruire e consolidare, in Europa e nel mondo, un ampio campo riformista, europeista e di centro-sinistra, operando in un rapporto organico con le principali forze socialiste, democratiche, progressiste e promuovendone l'azione comune”.

Una dichiarazione d’intenti sicuramente ambiziosa, ma di tutto rispetto e, se vogliamo, necessaria in un Paese come l’Italia, non particolarmente vivace e attivo nel promuovere cambiamenti allo status quo in molti settori della vita civile, economica e sociale. Basti pensare a cosa succede ancora oggi quando si cerca di modificare qualche privilegio o rendita di posizione di particolari “corporazioni”…

Il Comitato promotore del partito era costituito dai seguenti illustri personaggi:

Giuliano Amato, Mario Barbi, Antonio Bassolino, Pier Luigi Bersani, Rosy Bindi, Paola Caporossi, Sergio Cofferati, Massimo D'Alema, Marcello De Cecco, Letizia De Torre, Ottaviano Del Turco, Lamberto Dini, Leonardo Domenici, Vasco Errani, Piero Fassino, Anna Finocchiaro, Giuseppe Fioroni, Marco Follini, Dario Franceschini, Vittoria Franco, Paolo Gentiloni, Donata Gottardi, Rosa Jervolino, Linda Lanzillotta, Gad Lerner, Enrico Letta, Agazio Loiero, Marina Magistrelli, Lella Massari, Wilma Mazzocco, Maurizio Migliavacca, Enrico Morando, Arturo Parisi, Carlo Petrini, Barbara Pollastrini, Romano Prodi, Angelo Rovati, Francesco Rutelli, Luciana Sbarbati, Marina Sereni, Antonello Soro, Renato Soru, Patrizia Toia, Walter Veltroni, Tullia Zevi .

Già solo scorrendo velocemente questo elenco di nomi, si può intuire la diversità delle storie personali di ciascun membro e la scarsa omogeneità delle posizioni politiche di cui invece il neo costituito PD si candidava a strutturare in una sintesi unitaria, per proporre all’Italia un’azione politica che fosse convergente su determinati principi e obiettivi di interesse comune.

La situazione oggi?

All’interno del PD coesistono una pluralità di “correnti” o, per meglio dire, centri di interesse particolare quali:

Sinistra Riformista ispirata da Pierluigi Bersani e Roberto Speranza,
ConSenso ispirata da Massimo D’Alema, e vicina a Sinistra Riformista,
Rifare l’Italia (i c.d. Giovani Turchi) ispirata da Matteo Orfini, Andrea Orlando,
Sinistra è cambiamento guidata da Maurizio Martina
Rete Dem con il suo leader Giuseppe Civati
Sinistra Dem guidata da Gianni Cuperlo
Socialisti e Democratici fondata nel 2015 da Marco di Lello
Liberal PD che fa riferimento a Enzo Bianco
Rottamatori di Matteo Renzi
FutureDem seguiti da Benifei e Bonomo
AreaDem di Dario Franceschini
Ecologisti democratici guidati da Ermete Realacci

Dietro ciascuna di queste sigle troviamo uno o più leader che, forse anche con diritto, tentano di portare avanti le proprie legittime idee, condizionando quanto più possibile la vita del partito secondo le proprie convinzioni.

Purtroppo però non sempre il risultato è la somma degli sforzi che si prodigano, talvolta anzi nel PD si sono viste posizioni politiche diametralmente opposte su grandi temi di interesse generale (ultimo caso in ordine di tempo la posizione sul Referendum costituzionale) e allora viene da chiedersi che utilità possa dare alla governabilità dell’Italia un partito che prende il 30% di voti alle elezioni, ma che poi non è unito sui grandi temi e non riesce quindi ad essere forza propulsiva del tanto desiderato cambiamento.

La domanda vera, dopo quello che abbiamo sin qui descritto, è allora la seguente: può il PD essere considerato un partito politico in senso stretto o piuttosto, dalla sua nascita, dieci anni fa, è stato il risultato da parte di gruppi politici affini, di unire interessi differenti, e in un certo senso anche convergenti, che hanno trovato una grande casa per un certo periodo di tempo, per portare avanti battaglie comuni? Quella famosa fusione a freddo di cui qualche esponente politico parlò nel 2007…

Ma da chi è composto un partito politico, mi domando. La risposta che mi verrebbe è: da persone che hanno un ideale in comune.

Ora, nella società liquida in cui viviamo, parlare di ideale può sembrare eccessivo o fuori moda, ma nella politica, quella con la P maiuscola, se si toglie l’ideale si toglie tutto, e rimane solo la ricerca del proprio interesse, del potere, della ricchezza fine a sé stessa.

Quale ideale comune persegue oggi il PD?

Una delle più belle riflessioni sulla politica a favore dell’uomo in generale, e quindi del bene comune in particolare, è secondo me quella del Mahatma Gandhi: “L'uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici.”

Una politica senza princìpi, coscienza, lavoro, carattere, morale, umanità e sacrificio si rivela essere una politica contro l’uomo, contro il bene comune.

Io, come la maggior parte degli italiani, non sono in grado di valutare se all’interno del PD, ci sia o ci sia mai stato, un ideale comune. Ma in questi giorni, penso che sia questo il vero tema che i dirigenti del PD debbano discutere de visu per poi assumere le decisioni conseguenti. Tenendo conto di tutti i fattori in gioco, della situazione politica interna, ma anche di quella internazionale.

Una classe dirigente che voglia candidarsi alla guida del Paese, dovrebbe valutarli tutti e poi prendere responsabilmente una decisione definitiva che ponga finalmente termine a questo tira e molla che sta esaurendo le energie psicofisiche degli elettori italiani e soprattutto non trasmette serenità all’azione del Governo in carica.