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Santa Madre Teresa di Calcutta

venerdì 1 gennaio 2016

Il Sesto Senso

Il Sesto Senso, USA, 1999, Regia di M. Night Shyamalan




Recensione di Alberto Bordin



Delle cinque emozioni di Inside Out, una che varrebbe davvero la pena indagare in futuro è Paura. Gioia non è in sé sufficiente a descrivere quella forza che ci muove e chiamiamo Amore, né le altre tre possono reclamare una simile potenza e autonomia; ma Paura: la paura è un motore – o antimotore, che dir si voglia – di energia esorbitante. Quanto possiamo vivere dominati dalla paura, quante scelte pensate, organizzate, agite, in virtù di essa. È difficile concepire le giornate, una vita, dominate da rabbia o disgusto, forse dalla tristezza, ma sempre come un risultato, come un quoziente del vivere. La paura invece può porsi alla radice del nostro quotidiano. Ed è tuttavia difficile parlare con coscienza della paura, e pertanto è difficile farne un film.

Lasciamo da parte quella produzione strozzata di pellicole che si autofagocitano in un mercato di salti sulla poltrona, squartamenti sanguinolenti e mostri senza un perché e senza un come – ricordiamo che pure il Demonio ha un perché e un come. Anche nell’esiguo mercato restante, trovare soddisfazione da un film horror è cosa rara. Alcuni utilizzano l’horror come pretesto – andate a vedere l’ultimo film di Del Toro Crimson Peak: è una storia d’amore condita di fantasmi – mentre i restanti fanno dell’horror un gioco immorale, una disperata corsa verso la salvezza senza redenzione o catarsi.
Dentro un panorama tanto desolante, film quali Il Sesto Senso sono una manna dal cielo.

Malcolm Crowe è uno psichiatra infantile, medico di successo, felicemente sposato, finché una notte un suo vecchio paziente irrompe in casa sua accusandolo di averlo abbandonato; gli lascia in regalo una pallottola nell’addome e si spara. Sono passati otto mesi e apparente tutto è tornato alla normalità, ma ora Malcolm sente pesare il senso di colpa, e l’ossessione che l’attanaglia in cerca di redenzione sta mandando in frantumi il suo matrimonio. A soccorrerlo, ecco la sua occasione: il piccolo Cole di 9 anni soffre degli stessi disturbi del paziente suicida. Il bambino si sente perseguitato da un male profondo, è dissociato dal mondo, additato dai compagni come uno stupido, e la madre single per quanto bene gli voglia non è tuttavia in grado di aiutarlo. Crowe, non senza preoccupazione, si accolla il caso. E sarà in un’acquisita intimità che il bambino gli confesserà il suo grande segreto: “io vedo la gente morta. Continuamente”.

16 anni fa, Il Sesto Senso fu un film di sorprendente qualità; nella scrittura, con uno dei più eclatanti e imprevedibili colpi di scena di sempre, e nella regia, prima grande opera a battezzare l’astro cadente che è stato M. Night Shyamalan. Il Sesto Senso racconta una storia di terrore, ma è sul primo punto che vorremmo focalizzarci: racconta una storia; ed è il secondo che ci sorprende per non porsi a contraddizione del primo: di terrore. Quella di Crowe e Cole è un’avventura terrificante ma non priva di speranza. È la chiamata a un cammino che con l’angoscia nel cuore i due protagonisti si apprestano a percorrere con una sola domanda, quella che dovrebbe implicitamente chiedersi ogni eroe: qual è il significato di tutto ciò?

Elogiamo la fotografia sobria, le inquadrature meticolose atte a raccontare, l’interpretazione convincente di Bruce Willis e quella magistrale del piccolo prodigio Haley Joel Osment, e poi le musiche, che incarnano la dolorosa nostalgia delle anime che vagano in pena sulla terra. Lodiamo gli sceneggiatori per regalarci una storia che ne contiene dentro un’altra: queste sono le vere sorprese, quelle sorprese che adoriamo e che restano immortali, ovvero le sorprese che non erano attese, le spiegazioni che se non fossero giunte non ci saremmo aspettati di ricevere; pensavamo di aver visto un film – un bel film – e invece era uno anche migliore – ricordate Fight Club? Psycho? L’Impero Colpisce Ancora? è di questi film che stiamo parlando. Ma appunto Il Sesto Senso è un bel film prima della sua rivelazione, perché è una storia di trasformazione e di crescita. Il Sesto Senso ci fa paura per insegnarci una cosa importante: non dobbiamo averne. Non vogliamo averne, combattiamo per non averne più. E pur nell’ansia e attanagliati dal terrore di un bambino di 9 anni abbandonato a sé stesso, solleviamo quella tenda rossa andando incontro a ciò che ci chiama, per scoprire perché ci sia concesso questo spaventoso dono.

È il cammino della vocazione, perché in fondo ogni avventura inizia con una chiamata. E nella pace della rivelazione, gli spiriti e gli uomini possono guardare a ciò che hanno di più caro e scoprire quel significato profondo. Porre termine alle proprie afflizioni e finalmente essere liberi: ovvero redenti.

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