1) Per rompere il ghiaccio le chiediamo di raccontarci un po' di lei.
Sono nata a Piacenza, vivo da molto tempo in una cittadina dell’hinterland di Milano, ma ho vissuto in diversi posti – Firenze, Southampton, San Josè – che hanno accresciuto la mia passione per i viaggi. Dopo la laurea in Economia, ho lavorato per diversi anni in società di consulenza coltivando, nel poco tempo libero, una profonda passione per la lettura, la scrittura e la fotografia. Sono sposata e madre di due gemelli. Credo nell’amicizia e nella lealtà e amo trascorrere le mie vacanze sulle Dolomiti, il posto più bello del mondo.
2) Come è nata la passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura è nata di pari passo a quella per la lettura. Si sono sempre alimentate a vicenda, in modo quasi simbiotico.
Ho trascorso un’infanzia in compagnia di diari in cui annotavo pensieri e brevi racconti e di tanti libri, soprattutto di autrici britanniche, spaziando dai gialli di Agatha Christie ai romanzi d’amore di Barbara Cartland, fino a scoprire Jane Austen e Charlotte Brontë, in assoluto le mie autrici preferite.
3) I tuoi romanzi appartengono a due "generi" letterari molto diversi: Nelle acque del passato è un romanzo storico, mentre London Lies si può far rientrare nel genere commedia. Con quale dei due generi ti sei trovata più a tuo agio?
Sicuramente ‘London Lies’ è stato più facile da scrivere: lavorando da anni nell’ambiente della consulenza, mi è venuto istintivo prendere spunto da essa per creare un’opera di fantasia. ‘Nelle acque del passato’ ha richiesto, invece, un profondo lavoro di ricerca: ogni descrizione, riferimento a mezzi di trasporto, abiti, personaggi storici, doveva essere verificato. Il libro riporta eventi storici e aneddoti realmente accaduti, ho quindi dovuto fare in modo che tutto il romanzo risultasse realistico, ovviamente ad esclusione del viaggio nel passato che, ahimè, tutti gli scienziati confermano all’unanimità essere del tutto impossibile (purtroppo!).
4) Si dice che nei personaggi dei romanzi, si rispecchi un po' l'anima dello scrittore. È così anche per te? Cosa c'è di Silvia in Maya Romin, alias Sophie Lesange – protagonista di Nelle acque del passato – e in Emma Woodhouse – protagonista di London Lies?
Potrei rispondere che c’è tutto di me, ma paradossalmente sono tante parti e non la totalità, e queste parti si distribuiscono in modo casuale in tanti personaggi, anche secondari, dei miei romanzi. Emma ha la mia stessa istintività, è permalosa, ironica, dà un significato profondo alla famiglia e all’amicizia, investe molto di sé nel lavoro perché ama far bene ciò che fa, sempre e comunque.
Di lei fanno parte anche alcuni miei difetti (su cui preferirei sorvolare!), e allo stesso tempo c’è tanto di me in Amanda, in Alison e persino nella nonna Candace. Maya Romin è una donna disillusa e sotto certi aspetti anche Emma lo è: entrambe vivono come se temessero che il destino proponesse loro “lo stesso copione di sempre” e hanno paura di non avere il coraggio di dare una svolta importante alla loro vita. È sicuramente una paura che ho vissuto, tempo fa, in un periodo caratterizzato da grandi incertezze, e questo ha inevitabilmente influito sul carattere delle mie protagoniste. Una cosa è certa: non credo che un autore non metta mai anche solo una parte di sé in un libro. Scrivere ha un che di catartico, è liberatorio e inevitabilmente il nostro io si insinua, volente o nolente, tra le pagine. Sicuramente ciò che traspare non è mai lo stesso, perché l’autore si evolve e cambiano gli stati d’animo, le certezze e le incertezze. E, con loro, cambiamo noi e i nostri personaggi.
5) Per i tuoi primi lavori hai scelto la strada del self-publishing: e i numeri delle vendite ti stanno dando ragione. Ma è stata proprio una scelta, oppure si è trattato di un ripiego?
È stata una scelta molto ponderata. “Nelle acque del passato” è stato scritto di getto tra maggio e settembre 2011, “London Lies”, invece, in un lasso temporale discontinuo, tra il 2011 e il 2014. La decisione di auto-pubblicarmi l’ho presa solo a maggio 2017: in questo lungo periodo di tempo ho inviato il manoscritto del primo romanzo ad alcune case editrici (ovviamente senza mai ricevere una risposta, nemmeno una breve mail di edulcorato rifiuto) e, soprattutto, mi sono iscritta al gruppo LinkedIn “Editoria Italiana” attraverso il quale ho cercato di capire meglio quale strada intraprendere.
Si potrebbe dire che alla fine abbia scelto l’auto-pubblicazione perché il libro non è stato mai accettato dagli editori, tuttavia non è così. Prima di tutto, ho limitato l’invio a solo 4 case editrici, le più grandi e in grado di offrire un sistema di distribuzione tale da non obbligarmi ad auto promuovermi. Le medie-piccole case editrici non sono oggettivamente in grado di pubblicizzare un autore in modo diverso da come potrebbe fare lui stesso sui social network. L’unico vantaggio sarebbe stato quello di avere un editing professionale, e comunque solo se mi fossi rivolta ad una che non si fosse limitata a stampare i manoscritti poiché spesso i refusi non si contano.
Una volta compreso che le grandi case editrici non avrebbero preso in considerazione una sconosciuta, dovevo fare in modo di non esserlo più e di dimostrare, con un romanzo di qualità, che esistevo anch’io. L’auto-pubblicazione è quindi diventata una scelta per entrare comunque nel mondo editoriale. Una scelta che, inaspettatamente, si è rivelata talmente affascinante, che ho voluto ripeterla. Ora, ammetto, il mio obiettivo non è più quello di “farmi notare” da una casa editrice, quanto quello di scrivere romanzi che i lettori amano leggere.
La recensione di una lettrice che mi ringrazia per averla fatta ridere o per averle fatto trascorrere delle ore piacevoli, è la mia più grande gratificazione. Non sono e non sarò mai una donna marketing: non passo il tempo sui social e ammetto di non essere brava nell’auto promuovermi. Il passaparola è l’unica mia carta, che gioco con orgoglio e spensieratezza. In ogni modo, l’esperienza del self-publishing è un arricchimento personale senza paragoni: ti permette di imparare, ingoiare rospi, ti obbliga all’umiltà e all’accettare giudizi di altri su qualcosa di intimamente tuo, ti obbliga a diventare creativa, a pensare a come pubblicizzare il tuo libro e a come farti conoscere… Non sei più un tassello di un ingranaggio, sei l’intero ingranaggio editoriale: sei l’autore, l’editore, l’ufficio stampa e, come nel caso di ‘London Lies’, persino il traduttore in inglese.
6) Un autore è anche un lettore. Che lettrice è Silvia Molinari? Cosa preferisci leggere e soprattutto quando trovi il tempo di farlo, visto che oltre ad essere una moglie, una mamma, una lavoratrice, sei anche una scrittrice?!
Sono una lettrice compulsiva. Per esigenze lavorative, vado in ufficio con mezzi pubblici (treno e metro) e ho sempre con me il mio fidato Kindle o un libro, spesso in lingua inglese. Non smetto di leggere nemmeno quando cammino: ho sviluppato un’abilità nell’evitare lampioni, cestini dei rifiuti e cacche di cane tanto che potrei quasi pensare di aver un sonar incorporato in testa. Sì, se un libro mi piace, fatico a smettere di leggere, e continuo alla sera, prima di dormire, quando tutti sono a letto e io posso dedicarmi al libro di turno con tutta calma. Leggo un po’ di tutto: thriller, gialli, romanzi rosa, classici, fantascienza, libri storici, biografie, qualche saggio… sicuramente i thriller e i romanzi rosa sono al primo posto, ma alterno tanti romanzi della letteratura britannica e americana (London, Wharton, Gaskell). Sono anche beta-reader di un’autrice indipendente inglese, Celina Grace, autrice di romanzi polizieschi e di mystery novels ambientati nei primi decenni del ventesimo secolo. È davvero brava e avere l’opportunità di contribuire alla qualità di un romanzo di una “collega” mi rende molto orgogliosa.
7) Adesso stai lavorando ad un nuovo romanzo oppure sei in fase “meditativa”?
Direi entrambe! Sto meditando la nascita di un nuovo romanzo, che in realtà è già tutto “scritto” nella mia testa, ma che – per un’oggettiva assenza di tempo libero – non riesco a scrivere. Ho iniziato il “sequel” di ‘London Lies’ (a grande richiesta di alcune care lettrici e lettori!) e ammetto che, ora, il mio più grande desiderio sia di isolarmi sul cucuzzolo di una montagna per poter dargli vita. Scrivere è un’attività solitaria, che richiede metodo e tenacia. Io non sono quasi mai sola, non sono mai riuscita a scrivere quando avevo tempo ma unicamente quando ero ispirata e, malgrado sia tenace, devo fare i conti con le priorità della mia vita di madre lavoratrice.
8) Come vedi il tuo futuro artistico?
Che dire, lo vedo davvero duro…! Temo di non riuscire a creare nulla per mancanza di tempo e questa cosa, a volte, mi spaventa molto. Cerco di non pensarci e di scrivere anche poco, ma appena ne ho la possibilità: mi segno dialoghi che ho immaginato mentre mi dirigevo in stazione, oppure situazioni umoristiche a cui ho assistito… tutto ciò che ci circonda è uno spunto per una storia, quindi attendo gli eventi e intanto mi annoto le idee sulla mia Moleskine rosa!
9) C’è una domanda che non ti è stata posta in questa intervista a cui avresti voluto rispondere? Ebbene: fatti la domanda e scrivi la risposta!
Sì, c’è una domanda ed è questa: come ci si sente dall’altra parte della barricata, ovvero passare dall’essere una lettrice ad essere una scrittrice? Credo che il salto non sia facile. Io ho deciso di “metterci la faccia”: ho scelto di pubblicarmi con il mio nome, senza pseudonimi o nomi fittizi stranieri per rendere i miei libri più intriganti. È una decisione che definirei, se vuoi, “coraggiosa”. Ciò che scrivo viene identificato inevitabilmente con me, chi mi recensisce vede esattamente la mia faccia e il mio nome. In un mondo in cui le piattaforme social spingono molti ad assumere identità fittizie, a nascondersi dietro a foto false, in cui ci si imbatte in autori non reali (eclatante il caso di Nicolas Barreau, un autore immaginario creato da una casa editrice tedesca), non è facile essere “reali e normali”. Ma è ciò che sono, e sono disposta ad accettare le critiche dei lettori, purché siano espresse con sincerità, educazione e realismo.
10) Ringraziamo Silvia per l’intervista concessaci. Vuoi rivolgere un pensiero conclusivo ai tuoi lettori?
Sì, continuate a leggere! Troppa gente soffre di Sindrome da Cellulare Acceso (SCA) e non legge mai. Il mio consiglio è di leggere in ogni momento possibile, perché i libri sono sempre una fonte di arricchimento personale. Quindi, mettete da parte il cellulare, smettete di leggere i post demenziali che trovate sui social, terminate la partita che state giocando e leggete un buon libro!
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