Oggi a "Tu per tu" incontriamo l'amico Davide Morosi, 44 anni di origine milanese, ha conseguito la laurea in Economia Scienze Bancarie ed Assicurative. La prima esperienza professionale è presso Assicurazioni Generali spa presso la quale lavora fino al 1998. Prosegue la sua attività professionale in altre importanti realtà del settore, italiane ed internazionali, dove ricopre ruoli crescenti in ambito commerciale-marketing e nella formazione delle reti di vendita. Nel 2004 ha pubblicato una breve guida dal titolo "Conoscere le Assicurazioni", insieme alla rivista Espansione. Appassionato della materia previdenziale, da circa un anno svolge attività di formazione manageriale con particolare focus sull'evoluzione del sistema previdenziale italiano e sull'offerta di soluzioni di secondo e terzo pilastro (previdenza complementare).
D.: Non più tardi di quindici giorni fa il Presidente dell'INPS Mastrapasqua ha lanciato un allarme sulla stabilità futura dei conti dell'INPS, subito ridimensionato a "problema tecnico" da parte del Ministro dell'Economia Saccomanni. Davide: come stanno le cose oggi in Italia. Gli italiani possono dormire sonni tranquilli?
R.: Cosa dire, è di Maggio 2013 il primo vero “alert” di Mastrapasqua… Una sorta di “messaggi in codice” alla politica per segnalare una situazione non facile relativa alla gestione del super ente di previdenza pubblica (INPS) chiamato, va ricordato, a garantire prestazioni non solo pensionistiche ma anche altre, più di natura assistenziale (ammortizzatori sociali, maternità, ecc.) con oneri non trascurabili. In pratica, qualche mese fa nelle casse previdenziali pubbliche iniziava a scarseggiare la liquidità. L'allarme lanciato da Antonio Mastrapasqua, presidente dell'Inps, era determinato dal fatto che "il patrimonio netto" rimasto "era sufficiente a sostenere una perdita per non oltre tre esercizi", cioè fino al 2015. Pensioni assicurate, quindi, fino e non oltre il 2015. Tutto ciò in primis a causa della fusione Inpdap-Inps, ovvero l'ente previdenziale dei dipendenti pubblici con la previdenza privata. Una fusione voluta dalla manovra Salva-Italia del 2011 (Governo Monti-Fornero) che non ha cancellato il buco di 23 miliardi di euro, equivalente al debito che lo Stato ha nei confronti dei contributi previdenziali per i suoi dipendenti. Buco che ora grava nelle casse del SuperInps, con il rischio di non riuscir più a pagare le pensioni per i prossimi anni se non verranno fatti interventi a carattere urgente per risanare i conti. Si deve tener conto, inoltre, della perdita patrimoniale dell'Inps, di 10 miliardi, che ha fatto scendere le riserve dell'Inps da 41 miliardi nel 2011 a 15 miliardi nel 2012, quasi il 64% in meno in due anni. Una situazione preoccupante per gli italiani, è la domanda? Mastrapasqua ha recentemente affermato di no, ma alcuni fattori non fanno stare al 100% sereni: la crisi economica del Paese non è ancora terminata e lo sviluppo non riparte (anzi, molte imprese chiudono anche nel 2013), l'occupazione è in calo (il peggior dato a livello generale dal 1977 e drammatica quella giovanile, 18-24 anni, pari ad oltre 41%). Tutto ciò si ripercuote sulla contribuzione che si contrae mentre aumenterà, a breve, il numero di chi matura il diritto alla pensione… Un problema che si può, ovviamente, risolvere senza lasciare pensionati senza assegno mensile. Ma come? Bè, senza dirlo apertamente, attraverso trasferimenti all’INPS dallo Stato centrale che significa, in parole semplici, fiscalità generale: tasse!
D.:Ormai è chiaro a tutti che, gli assegni pubblici (quelli erogati dall'INPS) che riceveremo quando andremo in pensione non copriranno più l'80% dell'ultimo stipendio percepito, ma anzi la copertura si avvicinerà al 50% se non meno. Verrebbe quindi spontaneo pensare ad integrare questo gap con forme alternative di risparmio che, una volta giunto il tempo della pensione, integri quest'ultima. Gli italiani hanno percepito secondo te l'importanza di questo tema?
R.: La situazione descritta è quella corretta. I tassi di sostituzioni attesi (lavoro/pensione) a seguito della riforma Fornero, prevedono per chi lavora e versa contributi all’ente pubblico di previdenza per 40 anni un assegnato molto vicino al 50% dell’ultimo reddito. Bè, va ricordato che oggi e in futuro sarà difficile, rispetto a quanto succedeva in passato, a causa della flessibilità e della precarietà del lavoro, lavorare per 40 anni continuativi senza “periodi” inoccupati. Con risultati negativi ed intuibili in termini pensionistici. Da queste considerazioni nasce pertanto la necessità di approfondire l’argomento, aumentare la consapevolezza della situazione e capire se esistono strumenti adeguati in grado di dare risposte concrete in termini di pensione. La situazione attuale è chiara ma poco promossa nel nostro Paese che risulta essere, in un confronto con i Paesi OCSE, uno degli ultimi nel rapporto tra volumi investiti nella previdenza complementare e PIL. La previdenza complementare, infatti, è stata avviata a metà degli anni ’90 e poi migliorata all’inizio del 2005 con interventi sulla fiscalità e sulla flessibilità ma oggi, nel 2013, dopo quasi 18 anni dalla sua introduzione, è ancora poco utilizzata dai lavoratori italiani perché poco sensibilizzati sull’argomento e molti in possesso di conoscenze molto limite sull’argomento. Di fatto, sono presenti sul mercato interessantissime soluzioni che mirano ad integrare la pensioni pubblica. Esse offrono importanti vantaggi fiscali nelle tre fasi: versamento, accumulo e liquidazione a scadenza. In estrema sintesi, ricordiamo che nella prima fase è prevista la possibilità di dedurre dal reddito personale i versamenti a forme di previdenza complementare (Es: Fondi Pensione Aperti e P.I.P. – Piani individuali Pensionistici) con percentuali che variano dal 23% al 43% annuo fino a 5.164 euro annue come importo massimo versato. Nella fase di accumulo, invece, è stata riservata a queste forme una tassazione molto favorevole sugli interessi annui maturati (capital gain) pari all’11%, facendo entrare queste soluzioni previdenziali tra le migliori sul mercato, in confronto con altri strumenti di risparmio finalizzato. Infine, alla scadenza, è prevista una tassazione agevolata, pari al 15% della somma di tutti i versamenti effettuati fino a 15 anni di permanenza nel fondo pensione con un abbattimento di questa aliquota dello 0,30% annuo per ogni anno di permanenza nel fondo oltre il quindicesimo; ad esempio, un piano previdenziale di questo tipo, dopo 35 anni di versamenti, beneficerà di una tassazione pari al 9% che è decisamente favorevole se si confronta con quanto dedotto nel corso degli anni.
D.: I più penalizzati in questo periodo di crisi economica sono i giovani che faticano a trovare un lavoro "stabile", ancorché precario, che permetta loro di pensare al futuro. Questa generazione come dovrebbe affrontare, secondo te, il tema previdenziale e pensionistico se non può contare su entrate certe e stabili?
R.: Abbiamo già fatto un accenno ai giovani, i quali, di fatto, sono oggi le persone più penalizzate in termini previdenziali. Le ragioni le ho già indicate nella precedente risposta. Mi limito pertanto a dire che se un genitore o un nonno con un discreto stipendio o una buona pensione (oppure con patrimonio accumulato negli anni) decidesse oggi di “far avviare” una forma di previdenza previdenziali a favore di un figlio o di un nipote in precarie condizioni lavorati o in fase di ricerca di un lavoro, sicuramente farebbe un’azione solo utile, con vantaggi sia di natura fiscale sia di lungo periodo; che come si può immaginare è il migliore ed unico vero alleato nelle scelte di pianificazione previdenziale (più tempo ho a disposizione meglio è!).
D.: Pensare oggi al proprio domani, al proprio futuro pensionistico, magari lontano ancora decenni, può sembrare inutile. Invece è proprio all'inizio dell’ attività lavorativa che si dovrebbe impostare la costruzione di una rendita integrativa personale da affiancare alla pensione pubblica. E' un cambiamento culturale, di mentalità, che gli italiani al momento non hanno ancora acquisito, mentre in altri Paesi europei è diventato lo standard. In questo senso, sono proprio i giovani quelli più bisognosi di integrare da subito la pensione pubblica. Tu cosa consiglieresti ad un giovane di venticinque anni che si affaccia al mondo del lavoro oggi?
R.: Nel nostro Paese, purtroppo, non c’è ancora una cultura previdenziale diffusa. Non ricordo molti corsi scolastici (nelle scuole superiori o all’Università) che consentano di costruirsi nel tempo una conoscenza su questa importante tematica e che aiuti gli individui, soprattutto quelli giovani, a formare una capacità critica per valutare la situazione e poter prendere decisioni per il loro “domani”, molto lontano, come la cosiddetta fase di quiescenza. All’estero questo processo è in corso da decenni, favorito certamente da un livello di Welfare State inferiore al nostro, il quale, tuttavia, oggi sembra aver raggiunto la cima e appare ormai evidente che inizia a scendere e a ridursi. Dare consigli su queste tematiche a chi ha venticinque anni è abbastanza arduo visto che di norma chi si affaccia al lavoro a questa età non ha certo una condizione economica brillante nei primi anni di lavoro. Quello che però mi sento di poter dire ad un giovane è quello di iniziare ad informarsi il prima possibile, attraverso persone competenti, su questa materia. Rimandare nel futuro una scelta, in termini previdenziale significa “spostare semplicemente nel tempo un problema personale” (di 5, 10 o 15 anni) che dopo anni si riproporrà inesorabile con “dimensioni” sempre più elevate; a certe età poi, esempio 50-55 anni, inizia a diventare di difficile risoluzione una scelta previdenziale visti gli impegni nel frattempo assunti sul piano personale (famiglia, figli, indebitamenti ed impegni finanziari, ecc.). Chiedere, informarsi e capire perché un venticinquenne all’estero conosce questa materia più di un italiano e decidere quando poter iniziare a fare scelte di previdenza integrativa (o complementare) è già una grande conquista per un venticinquenne. Molti giovani, approfondendo questi argomenti con attenzione, alla prima occupazione potrebbero da subito destinare il TFR (Trattamento di Fine Rapporto, valore riconosciuto per legge) a forme di previdenza integrativa e sfruttare così i tanti anni a disposizione prima della pensione senza aggiungere, nei primi anni di lavoro, altre quote viste le modeste remunerazioni.
D.: Ultima domanda: quando si parla di forme pensionistiche private, molti si pongono questo quesito: chi mi assicura che tra 40/50 anni la Compagnia di assicurazioni privata cui ho versato ogni mese una quota della mia retribuzione esisterà ancora? In questi anni è stato fatto qualcosa nel mondo delle Assicurazioni per proteggere in totale sicurezza i contributi versati dai clienti?
R.: Non è possibile prevedere il futuro in generale e tanto meno quello che si verificherà tra 40/50 anni al comparto assicurativo. Quello che però mi sento di evidenziare è che le Compagnie di Assicurazioni private sono obbligate, oggi, ad operare secondo criteri molto più stringenti del passato. Sul piano della trasparenza dell’offerta e della confrontabilità dei prodotto, negli ultimi 5-6 anni sono state introdotte importanti novità. Non tutti possono, infatti, vendere polizze o piani di previdenza integrativa ma solo “soggetti” cosiddetti abilitati e iscritti in un apposito Registro (Registro intermediari IVASS) che impone sia precisi requisiti personali, indispensabili per poter iniziare questa attività, sia professionali con l’obbligo della formazione iniziale (di 60 ore) e di quella annuale di aggiornamento (di 30 ore). Un mercato che sta, quindi, lentamente “maturando” a favore del consumatore finale. I clienti oggi possono comprendere sempre meglio quello che decidono di sottoscrivere e, parlando di soluzioni di previdenza integrativa, possono anche interrompere la scelta inziale per trasferire la posizione presso un altro assicuratore. Tutto ciò, ovviamente, senza alcun onere, generando così una concorrenza di un livello professionale sempre più elevato. Non sono in grado di dire cosa accadrà ai risparmi accantonati tra 40/50 anni ma posso affermare che ogni cliente di queste forme previdenziali può controllare ogni anno la sua situazione e, se non pienamente soddisfatto, decidere di cambiare Compagnia. Un ottimo modo, quindi, per tenere sempre sotto controllo le proprie scelte e mettere in concorrenza tra loro, annualmente, i diversi operatori di mercato. In fondo l'INPS richiede oltre 40 anni di impegni rigorosi (accantonamenti obbligatori) senza offrire alcuna "flessibilità" durante il percorso.
Grazie Davide.