Star Wars VII, USA, 2015, Regia di J.J. Abrams
Recensione di Alberto Bordin
Monstrum, monstri – sostantivo neutro II declinazione: portento, evento straordinario, essere prodigioso. Ci sono alcuni mostri che attendono solo di essere raccontati. Creature mitologiche esorbitanti, chiuse nelle loro grotte, di cui tutti “temiamo” – biblicamente inteso – lo sprigionarsi. Star Wars è un mostro forse senza pari.
In un passato remoto, dentro una galassia lontana, in un mondo ciclico e senza tempo, le creature più progredite si sono unite in un nuovo ordinamento galattico. E questo ordine vive nell’armonia di uno Spirito, un’energia che attraversa tutte le cose e alimenta la vita stessa: la Forza. Pochi individui sono in grado di percepire questo flusso ed entrare in comunicazione con essa, prenderne parte divenendo strumenti di opere inimmaginabili agli scettici. E di tali individui, alcuni hanno scelto una vita sacerdotale, servitori della galassia e dell’ordine cosmico, i Cavalieri Jedi. Altri invece, nella fame di potere e conoscenza, usano quella forza per la propria affermazione e conquista, piegandola al loro volere in un mondo di caos, i Sith.
Non c’è storia: Star Wars non ha rivali. Non certo il combattivo fratello Star Trek, avventura di esplorazione e di dialogo con nuovi popoli per una convivenza con “l’altro”, per quanto distante e quanto diverso. E pure rispetto a Lord of the Rings (LOTR), bisogna ammetterlo, Guerre Stellari pone molte frecce al suo arco. LOTR è l’epica del potere e della corruzione dei potenti, dove l’infinitesimamente piccolo racchiude tuttavia il destino di un intero mondo. Ma Star Wars è il mondo della fede. «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe». Star Wars è la battaglia assoluta tra bene e male dove la fiduciosa obbedienza alle forze che comandano il cosmo si scontra con la feroce volontà dell’egocentrismo umano. Sono le due dimensioni più grandi e affascinanti dell’uomo poste in lotta tra loro. Ed è a seguito di tali premesse che i film sono un’enorme delusione.
Film al plurale; perché questo nuovo episodio, il VII in cronologia di pubblicazione ma anche narrativa, non è in niente peggiore dei suoi predecessori. La storia intrattiene, i combattimenti intrigano, le battute fanno sorridere e il comparto artistico si muove bene. Ma non è nemmeno migliore. E per questo episodio è forse anche più grave.
All’uscita della prima trilogia, pubblico e critica furono divisi. Il primo film del ’77 fu una produzione di serie-b se non peggio, a bassissimo budget e con trovate produttive che rispecchiano il concetto moderno di trash. Ma la critica attaccava soprattutto la sceneggiatura accusata di superficialità e infantilismo. Eppure le folle videro il potenziale di una storia mai vista prima, intravidero quel monstrum dietro la pellicola. George Lucas ci regalò una delle più grandi avventure eroiche mai raccontate – e si vuole sottolineare l’assoluto dell’affermazione – con uno dei plot twist più celebri della storia del cinema, consolidando una trama che tremava in una scrittura imbarazzante a dir poco. Quindici anni ci sono voluti per la seconda trilogia che invece di continuare la precedente decise di anticiparla in una storia di origini. E nonostante dialoghi da mani nei capelli, nuovi personaggi insopportabili e sviluppi narrativi montati con il vinavil, il respiro, le musiche, la storia epica, continuavano a vibrare dietro gli strafalcioni di un prodotto ancora inadeguato alla sua sostanza. Fino al 15 dicembre 2015, Star Wars era un Leviatano in riposo ma insoddisfatto, attendendo di poter finalmente volare temibile in tutta la sua potenza inespressa. E in tal senso, l’episodio VII è stata un’assoluta delusione.
Il film imita in tutto l’antico predecessore “Guerre Stellari” – ribattezzato “Una nuova Speranza” – facendolo solo “più grosso”, anche nei suoi difetti. Fa specie non poter raccontare nulla della trama senza “rovinarla”, a motivo di una storia che si alimenta solo di alcuni colpi di scena e nulla più. E quali colpi di scena! Indubbiamente anche questo nuovo capitolo nasconde l’ossatura di un grande racconto, ma una scrittura sempre scialba storpia tutto nella più assoluta superficialità.
Che pena; soprattutto constatando quanto buone fossero le premesse. I primi minuti sono veramente affascinanti, soprattutto nella presentazione dei due nuovi protagonisti. Un soldato del Primo Ordine, uguale a tutti i compagni, irriconoscibili dentro le anonime armature bianche; eppure non uguale: una mano di sangue gli macchia il casco distinguendolo – genialmente – nell’apparenza, ma anche nel conflitto che lo abita, poiché lui solo porta sul volto l’orrore della guerra. E poi una giovane ragazza, una solitaria sopravvissuta di un pianeta desertico, che ripulendo un pezzo di metallo si trova a fissare una donna fare lo stesso lavoro ma le cui rughe e la stanchezza la segnano su tutto il corpo; e in un lampo la giovane vede il temibile riflesso del suo futuro, mentre i suoi occhi inseguono le navi che fuggono libere nel cielo azzurro. E poi … più nulla.
La storia segue in un terribile qualunquismo, la posta in gioco (altissima!) pare assolutamente trascurabile. E nemmeno la bella e affascinante Rey è al posto giusto. Figura poco consistente, non incarna mai pienamente il tema. Lei che dovrebbe essere il veicolo per “Il Risveglio della Forza”, non vive mai – veramente – un conflitto a riguardo. Perseguitata da un fantasma di cui non ci è data spiegazioni – e si spera che l’imbarazzante gioco di sguardi finali non sia la rivelazione della più prevedibile risoluzione al mistero – Rey non ha alcun problema morale con la forza; al contrario sembra fatta apposta per seguirla. Nessuno scetticismo, nessun volontarismo di autoaffermazione, una ragazza generosa e votata al sacrificio: cosa deve vincere, se non una vaga paura – di cui non siamo messi al corrente! – per padroneggiare finalmente la forza?
In tutto ciò, è fin troppo fragile rispetto all’antagonista, un personaggio al contrario vivamente intrigante e dilemmatico; ma tristemente spiattellato senza pudore e senza sostanza. In una scena dolentissima, che avrebbe dovuto far urlare tutta la sala, piangere i fan, lasciarci per mesi con un groppo al cuore – più di qualunque tragedia di Game of Thrones – , metà sala aveva già previsto lo sviluppo, l’altra metà si è grattata la testa in un “sentito” dispiacere. E qui risiede la vera tristezza: vedere svilupparsi davanti ai propri occhi una promessa emotiva senza pari, e poi essere spettatori del suo sfaldarsi inconsistente.
È questo il problema con Star Wars: è un’eterna promessa infranta. E il VII episodio si era fatto carico di tutta questa promessa e di 10 anni di attesa, quasi 35 per i nostri vecchi eroi. Ma con il tradimento in petto dobbiamo constatare che ha fallito.
Il Leviatano riposa ancora.