Non si può recensire l’esperienza di una vita vissuta e
raccontata, soprattutto se questa vita è una vita speciale. Dopo aver letto il libro di Marina Garaventa,
Voglio arrivarci viva, con
sottotitolo “Una vita vissuta pericolosamente”, la prima parola che viene in
mente è la parola gratitudine, cioè riconoscenza per una persona eccezionale
che si è messa a disposizione del lettore con il desiderio di condividere un’esperienza.
L’esperienza della propria vita, ricca di gioia e di dolore.
Marina Garaventa, di cui ho appreso l’esistenza solo ora,
mea culpa, dopo aver letto il suo scritto, si descrive così: “sono Marina e dal
2002 vivo grazie a un respiratore che uso 24 ore su 24. Io non mi muovo, non
parlo, ma grazie al mio pc comunico! Scrivo libri, articoli, mi occupo di sociale,
di politica, di musica e di molto altro. Insomma: io vivo!” Non mi sembra
occorra aggiungere molto altro.
Marina mi ricorda il mio amico Ugo, che sta benone, come
dice lui, a parte la SLA che lo ha colpito giusto tre anni fa. Ugo, che è stato
mio testimone di nozze, ha 48 anni, una moglie speciale e due bambini
bellissimi di 5 e 3 anni. Ora vive su una carrozzina attaccato al respiratore,
con tracheo e sondino per l’alimentazione. Muove solo gli occhi e grazie ad un
computer riesce a scrivere selezionando con lo sguardo le lettere e così forma
le frasi che un sintetizzatore vocale ripete con voce metallica, la nuova voce
di Ugo, che per oltre venti anni ha cantato nel coro della parrocchia con una
profonda voce da basso.
Ogni settimana vado a trovarlo e a casa sua incontro sempre
amici e persone che vogliono conoscerlo e stare con lui per imparare da lui
come affrontare la quotidianità della vita, fatta di pene quotidiane ma anche
di tanti miracoli che chiedono di essere riconosciuti. Ugo non molla mai, certo
ci sono giorni sì e giorni no, ma Ugo, che è ingegnere e quindi più squadrato
di un cubo, è convinto che alla fine una cura per la sua SLA da qualche parte
nel mondo si troverà. Non che Ugo sia
entusiasta della malattia, questo è chiaro, però vuole vivere sino in fondo la
sua situazione, ogni giorno passa ore attaccato al computer (può fare ben poco
di diverso) cercando nel web ogni piccola nuova notizia che riguarda la sua
malattia, è più informato lui dei medici del centro Nemo di Niguarda che lo
hanno in cura! Marina e Ugo sono fatti
così, per nostra fortuna! Senza di loro il nostro mondo sarebbe meno colorato.
Solo una cosa voglio dire a Marina, una cosa che ho imparato
in questi anni da Ugo e si riferisce al capitolo “gli enigmi sono tre…” del suo
libro. Io non so spiegare perché proprio a te Marina è toccata la vita che stai
vivendo, come la SLA è toccata a Ugo e non a me per esempio, questo proprio non
lo so. Come non so perché esiste il dolore nel mondo, perché muoiono delle
malattie più strane bambini appena nati, questo non lo so. Non è giusto, ma non
so perché accadono queste cose e altre ancora più tremende. So però che il
dolore, la fatica quotidiana, possono essere condivisi e allora, con i tuoi occhi
nello sguardo di un altro, l’orizzonte
si allarga in un sorriso. Il dolore non è scomparso, però è più umano, cioè più
nostro, possiamo forse tentare di comprenderlo, senza pretese. Del resto il
nostro Dio ha inviato sulla terra Suo Figlio proprio per questo, condividere il
Suo Amore per noi, con noi. Basta, non aggiungo altro, sarebbe di troppo.
E’ tempo di chiudere questa “non recensione”. L’invito è di
leggere (non a sbafo) il libro di Marina! Si legge tutto d’un fiato e farete conoscenza
con una persona speciale (per una sera
si può rinunciare a NCIS Los Angeles). Un’ultima cosa mi ha colpito di Marina e la voglio
raccontare: la sua ironia, caratteristica tipica delle persone intelligenti. E
con una frase presa in prestito dal grande miscredente Woody Allen la voglio
salutare: Ci sono cose peggiori della
morte. Se hai passato una serata con un assicuratore, sai esattamente di cosa
parlo. Buona fortuna!
Anche qui, grazie!
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