Ci sono persone così povere che l'unica cosa che hanno sono i soldi.

Santa Madre Teresa di Calcutta

martedì 18 febbraio 2020

Referendum costituzionale del 29 marzo 2020


La Camera dei Deputati


Incomincia a far rumore l’imbarazzante silenzio di quasi tutte le forze politiche e degli organi di stampa in merito alla data del 29 marzo 2020.

In quella giornata, probabilmente ancora pochi italiani lo sanno, si svolgerà un referendum costituzionale per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale dal titolo "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari".

Questo il quesito referendario: «Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari", approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - Serie generale - n° 240 del 12 ottobre 2019?»

Di cosa stiamo parlando? In parole semplici: il testo approvato in via definitiva dalla Camera l'8 ottobre 2019 prevede la diminuzione del 36,5% dei componenti di entrambi i rami del Parlamento: da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato.

Perché la modifica del numero dei parlamentari non è entrata subito in vigore? Perché essendo una legge di modifica della Costituzione, deve essere approvata con delle maggioranze qualificate per due volte da entrambi i rami del Parlamento. Una delle due votazioni al Senato (il giorno 11 luglio 2019 – in carica il primo Governo Conte) non ha avuto la maggioranza richiesta (non hanno votato a favore i senatori del Partito Democratico e di Liberi e Uguali e non ha partecipato al voto Forza Italia). Questo mancato raggiungimento del quorum ha impedito che il provvedimento venisse direttamente promulgato e ha lasciato la possibilità di richiedere un referendum confermativo entro i successivi tre mesi da parte di un quinto dei membri di uno dei due rami del Parlamento, di cinquecentomila elettori o di cinque consigli regionali. Tale facoltà è stata esercitata da 71 senatori che hanno depositato la richiesta di referendum presso la Corte suprema di Cassazione il 10 gennaio 2020.

Ecco il motivo tecnico, ma insieme politico, per cui il 29 marzo siamo chiamati alle urne. Ma la domanda più interessante viene ora: perché non si parla di questo referendum? La riduzione dei costi della politica e del numero dei parlamentari è sempre stato un cavallo di battaglia dei Cinque Stelle, ma al momento non sembrano molto interessati a spiegare le ragioni per chiedere di votare Sì al quesito referendario. Certo la legge che riduce il numero dei parlamentari è stata approvata da una maggioranza diversa da quella attuale, ma appare strano come la Lega che pure ha votato a favore della riduzione ora non dica nulla. Anche il PD è di solito sensibile alla tematica di riduzione dei costi della politica, almeno a parole, ma nei fatti in questo caso sta tacendo l’appuntamento referendario.

A questo punto viene un sospetto: non sarà per caso che i nostri parlamentari, a qualsiasi forza politica appartengano, abbiano il timore che se venissero ridotti i posti nei due rami del Parlamento, a perdere lo scranno potrebbe essere qualcuno di loro (e sicuramente lo sarebbe) e quindi hanno inconsciamente deciso per una sorte di auto tutela del proprio posto di lavoro?

Dalle intenzioni di voto che al momento appaiono sui siti web dei principali partiti, risulterebbero a favore del Sì il M5S, la Lega e Fratelli d’Italia, contrari +Europa, il PSI, Maie e Europa Verde, mentre lasciano libertà di voto il PD, Forza Italia, Italia Viva, Sinistra Italiana, Unione di Centro e altri minori.

Di fatto, anche questa volta, il rischio è che il tentativo di arrivare ad una riforma della Costituzione che preveda una riduzione del numero dei parlamentari fallisca.

Personalmente votai a favore della riforma costituzionale, sicuramente più completa di questa, proposta dall’allora Premier Renzi, ma sappiamo tutti come finì quel tentativo. In questo caso, la riforma riguarda solo la riduzione del numero dei parlamentari, senza mettere mani alla modifica delle competenze e delle funzioni delle due camere, come invece era previsto nella riforma Renzi.

Ora, a mio parere non è una riduzione del 36% dei parlamentari italiani che può portare ad un risparmio consistente di costi e soprattutto può modificare lo zero virgola di crescita economica che ogni anno l’Italia raggiunge.

Invece una riduzione del numero dei parlamentari, senza una contestuale riforma della legge elettorale che tenga conto di questo importante fattore (meno rappresentanti significa banalmente che ogni territorio avrà a disposizione meno voci per farsi ascoltare e questo potrebbe pregiudicare le Regioni meno ricche) e senza una modifica delle attribuzioni e delle competenze dei due rami del parlamento, potrebbe avere anche dei risvolti negativi.

Infatti, meno parlamentari significa sicuramente attribuire più potere politico a quelli eletti ma anche permettere ai segretari di partito di governare meglio le proprie “truppe”, arrivando ad avere in sostanza un Parlamento più facilmente controllabile da soggetti che risiedono fuori dalle Camere.

Per essere rieletto, visto la minor disponibilità di posti, un parlamentare potrebbe essere tentato di osservare in maniera acritica le indicazioni del proprio partito, limitandosi insomma ad essere un grigio ragioniere della politica, mentre personalmente preferisco avere rappresentanti del mio Paese che siano degli spiriti liberi, che in determinate circostanze, non curandosi della versione del partito, possano votare secondo coscienza e in base a quello che suggerisce il proprio cuore e non la logica di mantenimento del proprio scranno. Quindi, o si modificano anche le competenze e le funzioni dei due rami del Parlamento, e allora si può anche modificare il numero dei componenti, oppure perché andare a ridurre il numero di rappresentanti previsto dai Costituenti?

Non dobbiamo farci ingannare dalla propaganda, ma badare alla sostanza e credo che in questa legge, che prevede una mera riduzione del numero dei parlamentari, la sostanza non ci sia proprio. E allora forse è meglio andare a votare e votare NO. In questo caso, infatti, un quorum minimo di votanti non è previsto, non essendo un referendum abrogativo.


          

1 commento:

  1. Quando il silenzio si fa assordante... la democrazia si nutre di confronto, argomentazioni articolate e non slogan semplicistici e fuorvianti. Grazie Lorenzo per i contributi "di merito" alla riflessione e all'esercizio consapevole di diritti non demandabili.

    RispondiElimina