Lo spread dei titoli di Stato italiani vs. i Bund tedeschi è tornato ai livelli di maggio 2011, cioè prima dell’inizio della tempesta che ha investito l’Italia negli ultimi tre anni. Non solo, l’ultimo cambio di Governo, il terzo in tre anni, non ha provocato alcun temuto sobbalzo negli ambienti finanziari internazionali.
Eppure l’Italia di oggi non è diversa dall’Italia di tre anni fa, anzi, per dirla tutta, dall’Italia di venti anni fa.
A ben leggere la storia, l’ultimo uomo politico che ha prodotto, nel bene e nel male, un cambiamento evidente, portato avanti con coraggio e decisione nella vita politica e sociale italiana, è stato Craxi, vent’anni fa. Giusto per ricordare alle giovani generazioni e solo a titolo esemplificativo, Craxi fu l’uomo del nuovo Concordato con la santa Sede, dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, della riforma dell’insegnamento della religione nelle scuole. Craxi fu l’uomo del taglio di tre punti della Scala Mobile, sotto i suoi Governi l’inflazione in Italia passò dal 12,30% del 1983 al 5,20% del 1987. I Governi Craxi introdussero l’uso dei registratori di cassa e degli scontrini fiscali per i commercianti al minuto. Ma Craxi fu anche l’uomo che nei suoi anni di Governo fece decollare il debito pubblico italiano, passato da 234 a 522 miliardi di euro, vale a dire dal 70% al 90% del PIL di allora.
Dopo la sua caduta, per la c.d. questione morale che investì sostanzialmente tutta la classe politica di quegli anni, l’Italia entrò nel ventennio berlusconiano dal quale ancora oggi di fatto dipende.
Ed ora, quale ciclo si sta aprendo con il nuovo premier Renzi? Che cosa ci dobbiamo aspettare? Impossibile saperlo. Di certo l’onda lunga di cui beneficiò Craxi, vale a dire le situazioni economiche “favorevoli”, il clima di fiducia dei mercati, sembrano essere presenti anche in questi giorni di insediamento del nuovo esecutivo. Sta a Renzi saperne approfittare per dare una vera svolta al sistema. Non basta intervenire su lavoro, economia, giustizia, riforme: le solite vuote parole che sentiamo ripetere da tutti i politici, da vent’anni a questa parte. Bisogna mettersi d’impegno e andare fino in fondo per cambiare la macchina organizzativa e burocratica dello Stato, in tutti i settori. Altrimenti potremo fare tutte le riforme di questo mondo, ma le cose non cambieranno mai.
Un esempio semplice, banale se vogliamo. Come abbiamo letto da articoli di stampa, il Comune di Roma avrebbe (sono stime per difetto) 62.000 dipendenti, considerando le aziende municipalizzate e il Comune in senso stretto. Come è possibile modificare una situazione del genere? Come faremo a risalire la china noi italiani se continueremo a scambiare una forma di assistenzialismo per diritto al lavoro?
Noi apparteniamo a coloro che pensano che se il lavoro non c’è, bisogna crearlo, occorre favorire le condizioni che lo sviluppano, non assumere nella pubblica amministrazione, senza reali bisogni, le persone per esigenze clientelari ed in ultima analisi elettorali. Situazioni del genere sono ampiamente presenti in tutta la penisola, a Nord come a Sud.
Altra questione che deve assolutamente affrontare il nuovo Premier, se vuole lasciare un segno positivo del suo passaggio al Governo, è quello di rivedere, senza pre-giudizi, tutte le grandi scelte di investimenti strategici effettuate dai suoi predecessori. I fondi a disposizione non sono molti e i soldi vanno spesi nella direzione di favorire la crescita economica in tutto il Paese e non solo a favore di alcuni fortunati operatori.
Mi spiego: è assolutamente necessario ripensare se conviene investire nella TAV o forse non sarebbe meglio spendere i fondi per migliorare tutta la rete ferroviaria italiana, soprattutto quella del servizio locale, sprofondata in una situazione veramente drammatica? Oppure, non sarebbe meglio spendere una parte dei fondi destinati all’acquisto di aerei militari da combattimento, per iniziare ad occuparsi delle nostre città, delle nostre campagne, per eseguire quella manutenzione ordinaria di fiumi, canali, ponti, argini, fossati e così impedire alle prime piogge autunnali di provocare disastri ambientali ed economici che finiscono poi comunque per pesare sul bilancio dello Stato?
E infine, in politica estera, è ormai chiaro ed evidente anche ai ciechi che gli accordi presi in ambito UE sul rigore economico e finanziario, sul mantenimento del 3% massimo di deficit / PIL, vanno ridiscussi e modificati trovando un nuovo assetto con i partner europei. Berlusconi non è riuscito, se mai ne avesse avuto veramente voglia, a farsi ascoltare sul tema. Monti e Letta non ci hanno neanche provato. Ora tocca a Renzi. Qualcuno deve porre il problema sul tavolo a Bruxelles e deve aprire una nuova stagione, dove le scelte di un tempo che non esiste più, vengano ripensate, ridiscusse e riviste in un’ottica che vada a favore dei popoli, della gente comune che tutti i giorni, da cinque anni a questa parte, affronta la fatica di far quadrare i conti e cresce, nel migliore dei modi possibili, i propri figli, che rappresentano il futuro di questa Europa.
Questo passo Renzi deve farlo subito, prima delle elezioni europee di maggio, altrimenti sarà troppo tardi. Renzi deve osare, essere coraggioso come a suo tempo lo fu Craxi. Altrimenti la gente che ora gli dà fiducia, lo giudicherà uguale agli altri politici che l’hanno preceduto. Il suo Governo potrà durare anche sino al 2018, oppure cadere un giorno qualsiasi del 2014, ma anche lui sarà solo ricordato come il sindaco di Firenze che ha voluto provare a fare il più giovane Presidente del Consiglio d’Italia.
E noi torneremo a pensare a Craxi con nostalgia…
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