Un giovane funambolo, in giacca e cravatta, in equilibrio
precario sulla terra che gira, si tiene in piedi con un bilanciere alle cui
estremità sono attaccati due pesi, uno a forma di euro e uno a forma di
dollaro. Questa è l’immagine, ben riuscita, che compare sulla copertina del XVII Rapporto sull’economia globale e l’Italia
presentato ieri a Milano presso la sede di Assolombarda dal Prof. Mario
Deaglio.
Il Rapporto, ripreso oggi dai
principali quotidiani italiani, dal Corriere
della Sera a Il Sole 24 Ore,
descrive una situazione dell’economia mondiale in piena evoluzione, ma non
drammatica. Lo scenario cambia radicalmente quando si punta l’attenzione sull’Europa
e poi si restringe il campo all’Italia. Qui è evidente che i problemi ci sono,
vengono da lontano e sono lungi dall’essere, non dico risolti, ma ancora
affrontati.
Il Prof. Deaglio nel rapporto,
composto di oltre 200 pagine, analizza a fondo le diverse cause della
stagnazione che regna sovrana nel nostro Bel Paese e del resto tutti i giornali
ne hanno parlato ampiamente quest’oggi. A
me preme qui mettere in evidenza un aspetto del rapporto che non è stato
ripreso da nessun articolo apparso sulla stampa, l’aspetto demografico. Il rapporto tra incremento demografico e
incremento del PIL è ormai un fatto noto e accettato da molti economisti. Anche
lo studio del Prof. Deaglio lo conferma.
Se confrontiamo lo sviluppo della
popolazione tra Europa e Stati Uniti dal 1980 ad oggi ci accorgiamo che, mentre
nel 1980 Europa e Stati Uniti avevano più o meno la medesima percentuale di
giovani (età 0 – 14) : 21,2% Europa e 22,6% Stati Uniti, nel 2011 per la
medesima classe di età (0 – 14) l’Europa vede un 14,5% mentre gli Stati Uniti
un 20,1%. Per la classe di età over 65, il raffronto è ancora a favore
degli Stati Uniti rispetto all’Europa: vi sono 17,6% di europei over 65 rispetto ad un 13,3% di
cittadini statunitensi. Risultato: mentre l’Europa deve dirottare parti ingenti
delle sue risorse finanziarie per curare gli anziani, gli Stati Uniti possono
investire in formazione e istruzione per i giovani. Questi investimenti portano
poi a innovazioni di prodotti e processi. Ora se andiamo a vedere il grafico
della crescita del PIL, dal 1980 ad oggi, ci accorgiamo che negli Stati Uniti la
crescita è stata superiore, mentre l’Europa sembra arrancare.
Da questo punto di vista, tutti i principali Paesi europei
sono a crescita demografica zero o quasi. Se si vuole puntare alla crescita, occorre
impostare politiche nazionali ed europee che vadano nella direzione di aiutare
e sostenere concretamente le famiglie numerose. Sinora abbiamo utilizzato come
surrogato della mancata crescita gli immigrati, ma non è la stessa cosa. Il rischio che corriamo tra cinquanta o cento
anni, perché le politiche demografiche non si improvvisano, è quello di avere
un’Europa popolata per la maggior parte da arabi, turchi, sud americani dove
italiani, francesi e tedeschi saranno minoranza etnica e linguistica. Badate,
non è fantascienza, se non cambiamo la politica a favore delle famiglie, il
futuro non sarà molto diverso, ma soprattutto la crescita economica stenterà e
l’Europa avrà sempre più un ruolo marginale negli equilibri mondiali.
Possibile che i politici europei non si rendano conto di
questo enorme problema? Dall’esito per ora negativo del negoziato in corso per
l’approvazione del nuovo bilancio europeo non sembra che ci sia da stare
allegri. Certo, Paesi come l’Italia, la Francia e la Germania dovrebbero essere
uniti sulle linee guide da proporre alla politica europea, altrimenti l’immagine
che l’Europa offre al mondo intero ne esce ulteriormente danneggiata. Il tema
dell’unità politica dell’Europa, non solo economica quindi, è sicuramente il
tema centrale che determinerà il futuro dell’Europa, nel bene e nel male. Non vorrei che i prossimi mesi trascorressero
in uno stato di “coma” politico europeo in attesa delle elezioni del prossimo
autunno in Germania. Sarebbe una perdita di tempo che l’Europa, tutti noi, non
possiamo permetterci.
Il Prof. Deaglio ieri sera faceva notare come in tedesco, con
la parola schuld si traduce la parola debito
e senso di colpa. Per i tedeschi
avere un debito (e non riuscire ad onorarlo) in un certo senso equivale a
provare un senso di colpa (nazionale). Il significato etimologico delle parole è sempre
collegato, alla radice, al sentimento profondo del popolo che usa quella lingua.
Occorre che l’Europa aiuti la Germania a
comprendere come la politica del rigore che ha “imposto” sino ad ora agli altri
Paesi, da sola non è sufficiente a vincere la crisi e a far ripartire l’economia. Occorre puntare sugli investimenti,
soprattutto a sostegno delle famiglie e dei giovani che formeranno le famiglie
di domani.
Altrimenti il futuro è già scritto nei grafici.
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