Questa volta hanno vinto entrambi: Sergio Marchionne e
Susanna Camusso.
Il primo ci aveva provato, forse anche spinto dalla Famiglia,
a cercare di mantenere la produzione di autoveicoli in Italia. Il progetto
Fabbrica Italia era piaciuto, aveva fascino, Marchionne sapeva come presentarlo
in pubblico e alla fine, per convinzione o per convenienza, i più ci avevano
creduto. Ci avevano creduto i politici, sollevati dal non dover affrontare un
problema dai risvolti economici e sociali spaventosi. Ci avevano creduto i
sindacati, tranne la FIOM, che pur di mantenere il posto di lavoro, avevano
deciso che alcuni diritti acquisiti potevano essere messi in discussione. Ci
avevano creduto gli italiani, convinti che la FIAT dopo tutto aveva fatto la
storia d’Italia e avrebbe continuato a farla.
Forse il meno convinto era proprio Marchionne. Del resto
mentre le parole spese a favore di Fabbrica Italia aumentavano, le azioni concrete
e gli investimenti andavano tutte in altra direzione, oltreoceano, a sostenere
la produzione dell’altra casa automobilistica del gruppo, la Chrysler. Non è
un caso che negli States, Marchionne sia visto come il salvatore della patria
(automobilistica) mentre in Italia è diventato il capro espiatorio di non si sa
ancora bene che cosa, comunque sia è tutta colpa sua.
Anche Susanna Camusso ha vinto la sua battaglia: è stata l’unica
che aveva capito (o indovinato) il “bluff” di Marchionne. I progetti per
Fabbrica Italia non sono mai esistiti e del resto nessuno li ha mai visti.
Bonanni e Angeletti non hanno compreso come stavano realmente le cose e si sono
fidati della parola dell’A.D. Fiat. Quando il mercato dell’auto ha incrociato l’autostrada
della recessione, il gioco è terminato. Marchionne a questo punto non poteva
più attendere ed è dovuto venire allo scoperto, il progetto è superato, il
mercato ha cambiato rotta, il futuro di Fiat in Italia va ripensato.
E’ chiaro che stiamo parlando di due vittorie di Pirro. In
questa storia che si sta scrivendo in questi giorni, in queste settimane, non
ci sono vincitori. Comunque andrà a finire, a perdere il lavoro saranno
migliaia di operai e impiegati con le loro famiglie, a perdere un pezzetto di fiducia
e di speranza nel futuro saremo tutti noi. Perché una cosa è certa: se la Fiat
decidesse una forte riduzione della sua presenza in Italia le ripercussioni per
il nostro Paese non sarebbero indolori.
E questa è solo la punta dell’iceberg. Al momento non esiste
settore industriale in Italia che non stia attraversando un periodo di profonda
crisi e ristrutturazione. E’ di questi giorni la notizia del peggioramento
della nostra posizione nella classifica internazionale dei Paesi maggiormente
industrializzati, dal quinto all’ottavo posto. Cosa
fare giunti a questo punto? Per prima
cosa una nuova politica industriale, quella che non è stata più realizzata in
Italia da decenni. Nuova politica industriale significa però nuovi politici. Non
ci sono molte alternative, occorre che tutti noi ci rimbocchiamo le maniche e,
ciascuno per la propria competenza e la propria responsabilità, ricominciamo a
pensare ad una nuova forma di società, ad un nuovo modo di vivere insieme, a
nuovi standard e stili di vita (che riguardano mondo del lavoro, pensioni,
scuola, sanità solo per citare alcuni temi principali) con lo sguardo soprattutto rivolto alle nuove
generazioni, le più a rischio con l’attuale sistema.
L’esempio in questo senso sarebbe dovuto venire dall’alto,
dalle classi dirigenti, dai nostri politici che per primi avrebbero dovuto
occuparsi di pensare e proporre il cambiamento tanto atteso. Purtroppo, proprio
la politica è la grande assente in questo momento e anzi lo spettacolo che
offre di sé la nostra classe politica non lascia ben sperare per i prossimi
mesi che saranno molto impegnativi per il nostro Paese.
Passati venticinque anni dalla caduta del muro di Berlino,
sembra che anche lo stile di vita capitalista e consumista che vedeva nel
mercato un totem, sia in profonda crisi. Ma il cuore dell’uomo desidera la
felicità, oggi come ieri, e continua a cercarla. Da questo vuoto da colmare, che esiste, mi
viene la certezza, adesso, della possibilità per ognuno di noi del cambiamento.
Scriveva Gilbert Keith Chesterton in La mia fede: “La conversione è l'inizio di una vita
intellettuale attiva, fruttuosa, illuminata e addirittura avventurosa”.
Mettiamoci in gioco
per primi e forse riusciremo anche a far cambiare idea a Marchionne.
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