Nel luglio 1973 David Rockefeller con alcuni amici fondò la
Commissione Trilaterale con lo scopo dichiarato di sostenere e diffondere il
libero scambio mondiale di beni e servizi con meccanismi flessibili di
circolazione della moneta.
Dopo quasi quarant’anni, il Presidente Obama, il 12
Febbraio, durante il suo primo discorso dopo la rielezione, sullo stato dell’Unione, ha annunciato che gli USA e la UE hanno
raggiunto l’accordo per aprire i negoziati Ttip (Transatlantic trade and
investment partnership) vale a dire i negoziati per eliminare da entrambe le
parti le tariffe che ancora pesano sul libero scambio e sul commercio
bilaterale, realizzando così il sogno di David Rockfeller e dei suoi amici.
Entro il 2015, data prevista per l’entrata in vigore degli
accordi, che a quanto pare si danno già per raggiunti o quanto meno realisticamente
raggiungibili, si dovrebbe quindi creare una zona di libero scambio che peserà,
secondo le stime, circa il 40% del PIL mondiale. Gli analisti economici più
informati e accreditati stanno già incominciando a calcolare quanto benessere,
in termine di PIL, porterà ai cittadini questa
zona di libero scambio, alcuni calcolano un aumento dello 0,5% annuo per USA e UE, altri addirittura una stima
maggiore. Ma siamo proprio sicuri, noi
europei, che stiamo andando nella direzione giusta? E’ chiaro che in questa
partita sono in gioco interessi mondiali. Ma questa zona di libero scambio a
chi porterebbe maggior giovamento, all’Europa o agli Stati Uniti?
In questo momento storico, l’Europa sta vivendo un periodo
di crisi economica reale, ma di fatto “voluta”, derivante da una maniacale
attenzione alla tenuta dei conti pubblici degli Stati e dallo stretto
monitoraggio di ogni possibile focolaio inflattivo che si dovesse intravedere
all’orizzonte. Inoltre l’Europa, a differenza degli Usa, non dispone di una
Banca Centrale che possa intervenire direttamente nel governo dell’economia,
governo che rimane in mano alla politica europea con tutte le conseguenze che
ormai abbiamo imparato a conoscere.
Dall’altra parte dell’Atlantico invece, il Governo Usa e la
Fed stanno portando avanti una politica monetaria
più liberista, immettendo liquidità nel sistema per sostenere l’economia (non
per niente l’indice borsistico DJ è tornato ai massimi di sempre in queste settimane)
non preoccupandosi troppo dell’inflazione. E’ chiaro che questa politica economica
per sostenersi meglio ha bisogno di ampliare i mercati e le zone di influenza
delle aziende e dei prodotti americani.
Creare una zona di libero scambio tra le due sponde dell’Atlantico,
se da un lato può sembrare allettante per tutti noi, donne e uomini che ci
riconosciamo nell’identità culturale occidentale, dall’altro lato di fatto
significa che in Europa potranno essere venduti i prodotti americani a prezzi
molto competitivi e allettanti per i consumatori europei. Certo, sarà valido
anche l’opposto, ma quante sono numericamente le aziende multinazionali europee
in grado di competere sui mercati internazionali e in grado di conquistare
spazi significativi del mercato USA? Probabilmente poche. Le italiane?
Pochissime.
E’ così che questo Ttip rischia di trasformarsi in un
cavallo di Troia, servitoci su un piatto d’argento e condito con promesse di crescita del nostro PIL (molto
teoriche) e crescite dei fatturati delle multinazionali Usa (quasi certe). Nel 2015 Obama sarà quasi in scadenza di mandato
e certamente, se riuscirà a portare a casa questo risultato, potrebbe ipotecare
la rielezione di un altro Democratico alla Presidenza degli Usa. Rimane da
capire se i conservatori Repubblicani gli daranno una mano oppure prevarrà nel
partito l’anima isolazionista e protezionista.
E in casa nostra cosa si dice? Finora le notizie di stampa dei
principali giornali a riguardo sono frammentarie, ma generalmente a favore del
negoziato. Del resto la partita si gioca a Bruxelles e fino ad ora resta in
mano agli addetti ai lavori. Certo, sarebbe bello che il popolo europeo fosse
messo in grado di comprendere quali ripercussioni porterebbe questo negoziato
nella vita quotidiana di noi cittadini. Sono quesiti astratti? Quando troveremo
sul bancone del super i nostri amati spaghetti ad un prezzo dieci volte più
basso di quello che siamo abituati noi oggi a trovare, spaghetti americani,
ottimi, che tengono la cottura meglio dei nostri, ma prodotti con grano
transgenico, la domanda allora apparirà in tutta la sua concretezza.
Ma forse sarà troppo tardi per chiedere una
spiegazione…
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