Mentre l’opinione pubblica italiana, o almeno quella che scorre ancora un quotidiano o guarda sonnecchiando un telegiornale, segue febbrilmente le sorti della riforma della legge elettorale, due notizie sono apparse questa settimana, sulle pagine dei giornali, come meteore che hanno lasciato dietro di loro solo polvere di stelle e nulla più.
La prima: Fiat, dopo aver terminato l’acquisto del 100% di Chrysler, ha deciso di spostare la sede legale in Olanda e la sede fiscale nel Regno Unito. Reazione del Governo italiano a questa notizia? La stiamo ancora aspettando. Nel senso che il premier Letta ha dichiarato che i vertici di Fiat l’avevano avvisato già qualche giorno prima (beato lui che era al corrente già da qualche giorno) e il ministro per lo Sviluppo Economico Zanonato ha dichiarato che vigilerà che tutta l’operazione rispetti la normativa vigente. Come se i vertici della Fiat fossero dei ragionieri delle scuole serali e prendessero una decisione che non rispettasse le leggi vigenti… Di fatto nessuna reazione. Dai sindacati invece è arrivato…. il medesimo atteggiamento. Preoccupazione espressa dai leader nazionali per l’occupazione degli operai in cassa integrazione e per gli investimenti promessi anni addietro e subitanea dichiarazione distensiva dei vertici di Fiat: non preoccupatevi, la scelta di de localizzare le sedi legali e fiscali non pregiudicherà gli investimenti in Italia. A dire il vero unica voce fuori dal coro quella della CGIL che ha toccato il tema del mancato gettito delle imposte che non saranno più versate in Italia, ma nessuno ha ripreso il ragionamento e tutto è tornato sotto silenzio.
Proviamo a fare un po’ di conti. Siamo andati a prendere gli ultimi dieci bilanci consolidati ufficiali del Gruppo Fiat dal 2003 al 2012 (si trovano facilmente su internet) e di seguito trovate i numeri (espressi in milioni di euro) delle imposte pagate dal Gruppo in Italia, dal 2003 al 2012. Una nota e una precisazione. La nota: per gli anni 2011 e 2012 non sono state conteggiate le imposte aggregate pagate da Chrysler, versate negli USA. La precisazione: nel 2004 il Gruppo non ha versato imposte causa le pesanti perdite registrate nei due esercizi precedenti, quando la Fiat rischiò il fallimento. Ecco i numeri:
Bilancio Consolidato GRUPPO FIAT
|
Imposte versate in milioni di euro
|
ANNO 2003
|
650
|
ANNO 2004
|
zero
|
ANNO 2005
|
844
|
ANNO 2006
|
490
|
ANNO 2007
|
719
|
ANNO 2008
|
466
|
ANNO 2009
|
448
|
ANNO 2010
|
484
|
ANNO 2011
|
464
|
ANNO 2012
|
420
|
Siete riusciti a fare il conto del totale delle imposte pagate in Italia dal Gruppo Fiat in dieci anni? Sono state pari a quattro miliardi novecentottantacinque milioni di euro. Arrotondiamo a cinque miliardi. Diciamo che ogni anno il Gruppo paga, pagava all’Italia cinquecento milioni di euro di tasse. E consideriamo che gli ultimi dieci anni sono stati anni difficili e di crisi per il mercato dell’auto, in Italia e nel mondo. Ora Fiat si aspetta dall’unione con Chrysler anni in crescita, sia come vendite e sia come margini e quindi anche come tasse, che però da quest’anno andranno nelle casse del Regno Unito di Gran Bretagna. Non tutte, è vero. L’IMU sugli stabilimenti italiani continuerà ad essere versata in Italia, così come l’IRAP sui dipendenti italiani verrà versata in Italia, ma possiamo stimare una perdita, per il fisco italiano, del 50% di entrate fiscali da parte di Fiat? Secondo noi sì. Ma, badate bene, non è il mancato introito di per sé a preoccupare. E’ come questa situazione si è svolta: nell’assoluta indifferenza di tutti. Certo, gli organi di stampa ne hanno parlato, qualche politico e sindacalista nazionale ha fatto finta di indignarsi e poi più nulla.
Il fatto è che la scelta di Fiat di spostare le sedi legali e fiscali, pienamente legittima e legale, nulla di eccepire dal punto di vista formale, viene presa nei confronti di due Paesi facenti parte della Comunità Europea, non del Far East o del Sud America. E’ questo il nocciolo del problema: due Paesi nostri partner europei, con i quali ci sediamo gomito a gomito nei summit internazionali in Europa, ci hanno soffiato da sotto il naso la prima industria privata italiana (ex italiana) e noi non abbiamo preso nessuna contro misura. Qualcuno si è chiesto perché il management di Fiat abbia scelto una sede legale in Olanda? E perché sia stata scelta una sede fiscale in Gran Bretagna? E’ questa l’Europa unita che hanno sognato i nostri nonni, i nostri padri per noi? Davvero vogliamo un’Europa dove esistono Paesi che attirano le nostre migliori aziende, i nostri migliori asset, nel proprio territorio offrendo loro minori imposizioni fiscali, migliori legislazioni per l’industria, il commercio, i servizi? E come pensa il nostro Paese di reagire a questa concorrenza che non si può non definire sleale, perché viene portata avanti da Paesi nostri alleati all’interno della medesima Unione? Silenzio, nessuno risponde. In Parlamento sono tutti intenti a modificare la legge elettorale, fortunati loro… Noi intanto perdiamo il primo gruppo industriale italiano. Seguiranno altri l’esempio di Fiat? Pensiamo di no, in fondo chi ha mai seguito quello che decidevano gli Agnelli in Italia? Nessuno, ma proprio nessuno nessuno…
Seconda notizia: è stata data sui giornali in questi giorni la comunicazione della pubblicazione della ricerca realizzata da Prometeia e dall’Osservatorio dell’Università Bocconi sul tema: pressione fiscale, produzione industriale e occupazione. Cosa emerge da questo studio commissionato da un’azienda produttiva del milanese? Che in Italia le aziende che non hanno impianti produttivi nel nostro Paese hanno mediamente un’imposizione fiscale del 30%, mentre le aziende che producono e quindi di conseguenza assumono mano d’opera dedicata alla produzione, subiscono un’imposizione fiscale che si aggira sull’80%. Le cause? IRAP e IMU la fanno da padroni. E così sono penalizzate dal fisco italiano proprio le aziende che creano lavoro e quindi potrebbero dare vita alla ripresa economica e sociale del nostro Paese. La risposta a questo punto sarebbe ovvia: spostare la tassazione sulle aziende che non producono e non investono nel nostro Paese e liberare dalla pressione fiscale quelle che credono nella rinascita del nostro Paese e investono in Italia. E’ così difficile e complicata portare avanti quest’operazione? L’ormai celebre e famoso “Decreto del Fare” (a proposito, ma che fine ha fatto questo decreto?) non potrebbe iniziare da questa semplice manovra? I vari Grillo, Renzi, Alfano e Berlusconi che cosa hanno da dirci in merito?
Ah già dimenticavo, non si possono disturbare, in questo momento stanno scrivendo la legge elettorale…
Nessun commento:
Posta un commento